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"Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso."
PRIMO LEVI.

Quando conobbi Victor pensai che fosse l'amore della mia vita. Prevedibile per una ragazzina che stava crescendo e stava sperimentando le prime cotte, ma soprattutto i primi amori.

Ma mi sbagliavo, ero innamorata solo di quella
idea. Non ero pienamente consapevole del vero significato, perché l'avevo visto tra i miei genitori, ed era il mio unico esempio. Pensai che tra me e Victor fosse amore perché ogni volta che stavo insieme a lui non avevo più alcun pensiero negativo, e facevo fatica ad addormentarmi quando lui non era nel mio stesso letto. Mamma e Papà mi avevano dato il permesso di farlo rimanere a dormire qualche notte, ed era incredibile perché quella fu la mia vera prima relazione.

In verità non era tutto rosa e fiori perché certe volte
Victor mi faceva piangere. Si comportava bene ma capitava spesso che faceva scelte da persona egoista che non farebbe di tutto per la persona che ama. Anzi, penso che se veramente ami qualcuno saresti davvero disposto a tutto, ed io evidentemente non ero quella persona per lui. Ci teneva davvero tanto,mi voleva bene, gli piacevo e provava qualcosa per me. Ma non mi amava. Ed era evidente il fatto che fossi io nella coppia ad essere più legata all'altro.

Lo notavano tutti e lo notavo anche io, e questo faceva parecchio male. Isobel e mia madre erano preoccupate per me e mi fecero la stessa domanda:

«Victor è davvero la persona che vedi nel tuo futuro?»

Era inevitabile farmi quella domanda perché io avevo confidato che fossi molto tentata dal volerlo lasciare e voltare pagina, ma la verità è che non ci riuscivo perché gli volevo troppo bene.

Victor dopo un bel po' se ne accorse e provò a rimediare facendomi una sorpresa. Quel maledetto viaggio a Barcellona.
Era semplice perché io parlavo molto bene lo spagnolo e potevo facilitare quella vacanza di una settimana.

Non andammo da soli, perché non me la sentivo di stare da sola con lui in un momento critico della nostra relazione, anche se avrebbe dovuto essere l'esatto opposto. Gli proposi di invitare anche Isobel e ovviamente ciò significava che poteva venire anche qualche suo amico. Così alla fine quella vacanza romantica in due si trasformò in una semplice vacanza di una comitiva.

Quando partimmo non riuscii a stargli lontana, a ogni buona occasione lo prendevo e lo abbracciavo, e non volevo staccarmi. Molto spesso però lui stava con i ragazzi e così si ritrovava Isobel a farmi compagnia la maggior parte delle volte. Avevamo prenotato delle camere vicino a un altro gruppo di ragazzi che non conoscevamo.

Le visite durarono solo quattro giorni. Il quinto giorno andammo in un apparente bosco segreto vicino la nostra casa. Quel giorno fu terribile perchè scoprii che Victor era uscito, la sera prima, con gli altri senza dirmi niente. Ma io lo scoprii lo stesso, è così misi il broncio per tutta la giornata. Non capiva quanto i suoi atteggiamenti mi facessero male. Ma soprattutto capii che aveva bevuto fino a vomitare. Gli dicevo spesso di non bere troppo, perché alla fine ci tenevo a lui e non volevo che si facesse del male. Ogni volta però furono parole sprecate.

«Che ti prende?» Disse vedendomi con le braccia incrociate e il viso corrugato.

Già. Lo sapeva, ma me lo chiedeva lo stesso.

Insieme a noi c'erano anche i ragazzi  che avevano prenotato le camere accanto alle nostre e  mangiavano e chiacchieravano a poca distanza da noi. Uno in particolare rimase a guardarmi, come se avesse inteso il mio cattivo umore. Per tutto il tempo non fece che osservarmi, e mi sentii strana. Era un ragazzo magro e alto, con i capelli castani molto corti e gli occhi color ghiaccio che risaltavano da ogni punto. Dylan, era quello il suo nome.

Era cambiato perché Dylan due anni dopo portò i capelli lunghi e dei ricci ben curati, insieme a un fisico più atletico.

Uno dei ragazzi lo chiamò, «È da tutta la giornata che sei pensieroso, Dylan!» Sbraitò, «Che succede?».
Il ragazzo in questione era un asiatico con i capelli rasati e la pelle molto chiara. Era Raiden, però senza i capelli corvini folti, i numerosi tatuaggi e il piercing al naso.

Raiden cambiò prospettiva e posò lo sguardo su di me. Lanciò un'occhiataccia a Dylan. La mia attenzione però non era più rivolta a loro, perché Victor aveva iniziato ad accarezzarmi e farmi il solletico.

«Dai, smettila!»Esclamai ridendo a crepapelle.

«Sei ancora arrabbiata con me?»Mi fece gli occhi da cucciolo.

Scossi il capo, «Non sei tu. O meglio non solo.» Precisai.

Victor mi studiò per bene, infine disse:«Sono sicuro che mi dirai cosa succede, conosco quella faccina pensierosa».

Il mio sguardo si addolcì di colpo e lo abbracciai. «Ti chiedo solo di non nascondermi più le cose, per favore. Mi devo fidare di te.»

«Va bene.»

Quelle furono le sue parole. Così la notte seguente parlai fino a tardi con Isobel nella nostra stanza, fino a che lei si addormentò. Rimasi nel letto a fissare il vuoto ma delle strane voci mi diedero fastidio. Mi alzai e uscii dalla stanza. Vidi Dylan e Raiden discutere di qualcosa. Non mi interessava, ma piuttosto mi interessava sapere dove fosse il mio ragazzo dato che non rispondeva. Lo vidi rientrare a casa a petto nudo e ubriaco fradicio. Rimasi lì in piedi e immobile aspettando la prossima mossa. Noncurante della presenza dei due ragazzi poco distanti da me.

Non seppi cosa fare, perché parlargli in quel momento mi sembrò inutile date le condizioni. Così aspettai circa cinque minuti. Proprio quando decisi di sbrigarmi a entrare, lo vidi uscire dal balcone e fare degli strani movimenti. Non si rendeva nemmeno conto di quello che faceva, iniziò a camminare fino a quando perse l'equilibrio e cadde giù, proprio davanti ai miei occhi.

Dylan e Raiden si allarmarono e dissero qualcosa come "dobbiamo chiamare un'ambulanza!" , ma ormai era troppo tardi.

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Raccontai tutta la faccenda a Dylan che mi abbracciò quando vide i miei occhi colmi di lacrime. Non ricordavamo il nostro incontro di due anni prima, ma come per destino ci eravamo ritrovati e finalmente conosciuti.
«Lola,non è colpa tua.» Mi confortò.

«Lo so.»

«Non è colpa tua.»

«Lo so.» La mia voce diventò sempre più debole.

Il suo abbraccio e la sua presenza però riusciva a calmare la situazione, c'è stato per me senza che io glie lo chiedessi. Victor non lo faceva. Non così.

Victor. Mi chiedo se da qualche altra parte dell'universo tu ci sia ancora, se qualche frammento di te è rimasto come lo è nel mio ricordo. Mi chiedo se quello che ho fatto per te è stato abbastanza, e se l'amore che provavi per me fosse reale, ma semplicemente avevi difficoltà a dimostrarmelo come avresti voluto.

Quelle pagine sul mio diario erano tutte rovinate a causa delle mie lacrime nel momento in cui ho scritto quelle parole.

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