33. The first day of many others

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Alcune persone sopravvivono al caos ed è così che crescono. E alcune persone prosperano nel caos, perché il caos è tutto ciò che conoscono.

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Era passata più di una settimana da quel giorno.
Più di una settimana dalla morte di Silas. Più di una settimana dal mio risveglio e da quando del gruppo sembrava non essere rimasto nulla.

Ci furono dei giorni, i primi giorni dopo aver lasciato la base, in cui mi limitai ad esistere.

Passavo maggior parte del tempo a non fare nulla, rannicchiata nel mio letto a domandarmi come sarebbero andate le cose d'ora in poi. Immaginando come avremmo superato quella morte, come Mya avrebbe potuto.

Domande su domande, in attesa di risposta.
Niente di nuovo, insomma.

La sig.a Martin rifilò una bugia a Sean per non farlo preoccupare durante quei giorni di assenza. Gli disse che ci aveva riuniti per affrontare una serie di allenamenti intensivi, ma io gli raccontai ogni cosa.

Quando tornai a casa in braccio a Noah sarebbe stato difficile inventare qualche altra balla e anche se non lo fosse stato, io non l'avrei fatto. Mi fidavo di lui e volevo renderlo partecipe della mia vita, qualsiasi cosa accadesse.

Ricordavo la sua espressione, il sorriso morire non appena mi vide, il corpo farsi prendere dall'agitazione e la preoccupazione annebbiarli la vista, ma nonostante questo, Sean la gestì al meglio.

Invitò Noah a entrare e fu allora che gli raccontai ogni cosa. Rimase in silenzio tutto il tempo, quasi a voler imprimere ogni singola parola nella sua mente e soltanto una volta terminato. Il suo corpo si lasciò andare sullo sgabello.

Era dispiaciuto. Lo eravamo tutti.

Passai quindi i primi tre giorni a casa sotto consiglio della sig.a Martin, ribadendo che avevo bisogno di riposare e di riprendere le forze per ciò che ci avrebbe aspettato, ma la verità era che non credevo ci fosse più alcun noi.

Il quarto giorno, rimanere a casa divenne soffocante. Così m'impuntai affinché Sean mi lasciasse andare a scuola e soltanto dopo ore di suppliche, questo acconsentì.

Sapevo di non aver più messo piede là dentro dopo l'assalto, lo sapeva anche lui e se non fosse stato per le mie condizioni e per le abilità oratrici di Noah, Sean avrebbe pestato il preside, lo avrebbe denunciato e fatto marcire dietro alle sbarre.

Mi caricai lo zaino su una spalla e da quel giorno, Noah divenne il mio angelo custode.

Eravamo gli unici ad aver ripreso a seguire le lezioni e mi ritenni fortunata di avere almeno lui. Non sapevo come avrei potuto affrontare la normale vita quotidiana dopo quello che era successo.

Unlimited - La paura dell'ignotoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora