42.2. Bugie infernali e realtà paradisiache

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Avrebbe dovuto non pensare ad altro che ai suoi compagni in campo, a guardare la sfera rotolare sul terreno di gioco e a intercettare i passaggi ben calibrati dei bianconeri. Invece, come sempre, aveva tutt'altro per la testa. Dušan se ne stava seduto lì, a gambe larghe, su quella poltroncina bianca dalle rifiniture nere, e aveva una pena negli occhi che, chiunque lo conoscesse bene, avrebbe potuto individuare anche soltanto con un'occhiata distratta. Il fischio d'inizio gli aveva raggiunto i timpani soltanto pochi secondi prima e c'era uno strano silenzio intorno a lui, quasi avesse le orecchie completamente ovattate. Si rese conto che qualcuno lo stesse fotografando da qualche fila in basso. Tenne fisso lo sguardo sul possesso palla bianconero, strinse le mani l'una con l'altra, la scocca del cellulare tra le dita.

Una presenza, costante e velenosa, alla sua sinistra. La pelliccia che gli sfiorava le spalle, il profumo intossicante al gelsomino che gli faceva prudere il naso. Le gambe nude incrociate, a un soffio di distanza dal suo ginocchio sinistro. Dušan si strinse nella giacca pesante, l'umido freddo di quella notte si palesò con un brivido dietro al collo, nonostante il bavero alzato del giaccone. Ma Alyssa se ne stava lì, compostamente seduta, le gambe accavallate, l'abito a lasciarle scoperte, a farlo rabbrividire solamente a guardarla. Alyssa era stata accanto a lui, ormai da un'ora buona, prima in auto, poi in hospitality, in quell'istante in tribuna, davanti a tutti. Davanti alle telecamere, ai cellulari, agli occhi di ogni curioso. Alle foto, ai video, di cui era testimone ma di cui si costringeva a ignorare l'esistenza, lo sguardo fisso sul rettangolo verde.

Da una parte non vedeva l'ora che arrivasse la mattina successiva, il volo per Belgrado, la liberazione di non dover più vedere forzatamente Alyssa, di potersi sottrarre a quella stupida pantomima. Dall'altra non riusciva a immaginarsi di lasciare Torino, l'interno sette, chi ogni giorno gli alleviava le pene di quel periodo infernale. Aveva paura di fallire, enormemente, dopo che tutti si erano congratulati con lui dal venerdì precedente, dall'istante esatto in cui erano state rese pubbliche le convocazioni della sua Nazionale. Aveva paura di non essere all'altezza, dopo quell'infortunio che lo costringeva a guardare quella stessa gara contro la Lazio dalla tribuna, troppo lontano dal campo, troppo lontano dal gioco. Aveva timore di andare e tornare senza aver lasciato traccia, se non quella del proprio sedere sulla panchina di ogni stadio in cui la Serbia avrebbe disputato le proprie partite.

Sapeva che l'unico modo per scacciare via quei demoni era concentrarsi su altro, non lasciarsi trasportare dai pensieri sul terreno scosceso della paura. Ma, nonostante provasse e riprovasse a focalizzarsi su quella dannata partita, qualcosa lo faceva ripiombare in quella spirale distruttiva. Che fosse il pensiero di non essere più in quella città nelle prossime dodici ore, o semplicemente l'idea di aver messo a punto tutto quanto per vedere Marzia a Doha, ma non aver considerato minimamente il fatto che non potesse mai stare con lui. Erano passati soltanto due giorni dall'annuncio della convocazione e, invece di essere sollevato per la notizia, Dušan aveva accumulato ancora più stress addosso.

Stress somatico, da come si strappava le pellicine ogni volta che poteva; da come fletteva i muscoli delle gambe, quelli che nessuno avrebbe mai notato in tensione, quando non sapeva come scaricare l'ansia; da come i suoi tic nervosi fossero esponenzialmente aumentati in frequenza, e continuasse a passarsi la lingua tra le labbra di secondo in secondo. Dušan quasi sobbalzò quando si sentì vibrare il cellulare tra le dita, così strette che quella vibrazione gli era rimbombata sul tessuto connettivo. Diede un'ultima occhiata, e abbassò lo sguardo prima che la rimessa laterale venisse battuta dai biancocelesti, prima che i suoi occhi inquadrassero il display dell'iPhone e quel sorriso, che da ore non gli era comparso in viso, facesse capolino sulle sue labbra.

Possibile che tutti gli
hotel costino così tanto?
Okay che c'è il mondiale
ed è alta stagione, però
santo Dio, le mila euro
A NOTTE 💀
20:48

Neighbourhood Romance | Dušan VlahovićDove le storie prendono vita. Scoprilo ora