"Dimmi che già avete iniziato a giocare e che mi sono risparmiata qualche minuto" esordì Marzia di gran carriera, entrando nell'interno sette. Le aveva lasciato la porta socchiusa non appena gli aveva scritto di essere in ascensore. Dušan se ne stava scompostamente allungato sul divano, il capo appoggiato alla spalliera della penisola e gli occhi volati a inquadrare la figura snella di Marzia. La sciarpa le volò via dalle dita, sistemata sull'appendiabiti accanto alla porta. Venne ben presto seguita dal giaccone nero con cui aveva sfidato quel freddo di inizio di novembre. Dušan si lasciò andare a un largo sorriso quando le notò addosso la felpa nera che le aveva regalato quell'estate, direttamente da Los Angeles.
"E... ecco il fischio d'inizio. No, mi dispiace, devojčica, l'Allegriball è qui che ti aspetta" la canzonò, ammiccando verso il televisore che proiettava una sulla carta ben poco avvincente Hellas Verona-Juventus. Che lui era costretto a guardare dal divano di casa sua. Che lui era costretto a sopportare, i muscoli tesi e la mente a lavoro, per ignorare tutto ciò che di sbagliato c'era in sé stesso. Che lo stava allontanando dal calcio giocato, che lo stava risucchiando in una spirale di se, in una vischiosa e densa fanghiglia di incertezze.
"Mi vado a prendere una barretta, almeno" commentò Marzia sferzante, sorpassando l'isola della cucina per aprire l'anta giusto sopra al forno, e pescare ciò che sapeva fosse stato ordinatamente riposto accanto alle gallette e alle proteine in polvere. Gli lanciò uno sguardo da dietro il mobile, l'arco in muratura separava le due stanze, ma faceva sì che Marzia potesse arenare gli occhi su quel profilo inquieto, le braccia piegate dietro la testa, la mascella contratta, lo sguardo dritto sul televisore. Erano giorni e giorni che lo ritrovava in quello stato. Erano ore e ore che sapeva Dušan cercasse in ogni modo di non pensare a cosa dovesse accadere di lì a poco, eppure ogni pensiero doveva condurlo a quel traguardo.
Marzia si concesse un sospiro, prima di scartare l'involucro della barretta. Approfittò dell'assenza di quello sguardo su di lei per stringere le labbra, cercare di lambiccarsi la mente con qualcosa da fare per distrarlo, nonostante la partita fosse davanti ai loro occhi, nonostante si fosse già spazientito, e dopo un copioso sbuffo, Dušan si fosse lasciato andare a una stizzita esclamazione: "Ma già abbiamo perso palla, che cazzo!"
"Com'è andata stamattina con l'allenamento?" la sentì domandare, prima che quella voce sottile venisse seguita dal rumore sordo della chiusura dell'anta della cucina. Voltò lo sguardo alla propria sinistra, Dušan sentì un lampo in petto quando elaborò quelle parole, una richiesta tanto semplice quanto per lui complessa. Perché tutto precipitava velocemente nella sua testa, tutto crollava, i suoi sogni, la sua carriera, i suoi obiettivi, le sue forze. Di notte, di giorno, quando si fermava a rimuginare su tutte quelle incognite, Dušan riusciva a pensare solo alla negatività che lo circondava. La negatività che veniva da sé stesso e nessun altro.
"Bene, ho fatto una serie di scatti e non c'è stato nessun problema. Poi ho anche passato un bel po' in campo, con tiri e allenamento col pallone" rispose stringato, elencandole la seduta della mattina con pochi particolari. Tornò con lo sguardo sul possesso bianconero nel momento esatto in cui Marzia varcò la soglia del salotto, avvicinandosi a piccoli passi al divano. Notò immediatamente quelle labbra strette, gli occhi di Dušan così concentrati sulla partita per tentare di non pensare ad altro.
Erano due settimane che cercava di farlo. Di distrarsi. Di non rimuginare. Di evitare l'argomento. Erano due settimane che, ogni volta che si vedevano, Marzia cercava di farlo aprire. Per evitare che detonasse all'improvviso, per prepararlo a qualsiasi evenienza. Nonostante fosse certa che non ce ne sarebbe stato bisogno: sarebbe partito per realizzare il suo sogno, anche se non totalmente nelle condizioni per farlo.
"Ancora il piede debole?" gli chiese, accomodandosi accanto a lui. Gli sfiorò con il ginocchio la coscia fasciata dalla tuta nera, sistemandosi a gambe incrociate sul cuscino grigio. Marzia fissò lo sguardo sulle loro gambe vicine, sul contrasto tra i suoi leggings borgogna e il colore scuro che portava addosso Dušan. Una macchia tetra su quel divano chiaro, un buco nero di pessimismo che sembrava aver risucchiato tutta l'energia positiva in quella stanza, in quella casa, in tutta Torino. E, ogni giorno in cui si avvicinavano alla sosta del campionato, lui diventava più scostante, chiuso in sé stesso, lontano dalle giocose risate che popolavano sempre quello spazio quando erano loro due ad esserne protagonisti.
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Neighbourhood Romance | Dušan Vlahović
FanfictionMarzia, romana in trasferta a Torino per studiare, dopo l'ennesimo sfortunato incidente con le sue coinquiline, viene costretta ad accettare l'invito della sua amica e collega Giulia nel trasferirsi nel lussuoso appartamento che suo padre le ha lasc...