Capitolo 1

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L'aria gelida della mattina a Vancouver è così fredda da penetrarti le ossa, così fredda da farmi venire la voglia di ritornare in Montana.
Durante il percorso tra il dormitorio e la Columbia la sciarpa mi copre quasi gli occhi e il cappello arriva fin sotto le sopracciglia. Gli stivali scivolano lungo il sottile strato di ghiaccio che si crea sulla superficie dei marciapiedi.
Mi fermai davanti alla porta del dormitorio di Joe, il gradino era così basso che la neve aveva coperto la parte più bassa della porta.
Joe aprì, il cappello blu dei Vancouver Canucks gli copriva gran parte delle orecchie che, una volta uscito completamente dal dormitorio, si colorarono di rosso.
"Buongiorno" disse con il suo solito piccolo ma luminoso sorriso.
Mi stampò un rapido bacio sulle labbra facendomi ritrovare ad un centimetro dai suoi occhi color ghiaccio, questa distanza mi permise di vedere qualche capello biondo cenere sbucare da sotto il berretto e la rossa punta del suo naso colorarsi sul suo volto pallido.

"come ti senti all'idea di ritornare in Montana per l'estate?" mi chiese Ava fissandomi con i suoi occhi blu.
"non lo so, mi mancherà Vancouver ma dopo un anno e mezzo qui credo che sarà piacevole tornare a casa" le dico sorridendo.
Mi mancava l'aria del montana, l'odore dei campi, dei ranch e il calore del sole che riscalda la pelle.
"Joe riuscirà a vivere senza l'hockey?" disse scrutandolo dall'altro lato della mensa.
Lo guardai, era seduto al tavolo della squadra dell'università. I capelli biondi scendevano lungo la fronte, gli occhi blu, la pelle pallida e le labbra color pesca. Era il più bello, o almeno per me lo era.
"starà bene, dopo tutto si tratta di un mese, sopravvivrà ai rodei di whitefish" lo credevo davvero,  dopotutto il problema più grande non erano i cavalli.

3 mesi dopo

"Signorina Brown" mi voltai verso il professor Taylor che si alzò dalla poltrona dietro la cattedra.
"volevo dirle che è stata la studentessa più brillante del semestre, spero che sia dovuto alla sua fervida intelligenza e non al fatto che l'università fosse mediocre per quest'ultima" non lo credevo, la Columbia era la migliore, spostarsi dalla piccola cittadina del montana per andare a Vancouver doveva valerne la pena, ed era così.
"solitamente non sono modesta ma purtroppo mi costringe a comunicarle che la Columbia è un'ottima università, la ritengo una delle migliori" gli risposi sorridendo
"allora la prego di non dimenticarselo, non voglio perdere la mia studentessa migliore e nemmeno il mio secondo studente migliore"
Joe era bravo, ma la maggior parte dei suoi voti venivano gonfiati dagli insegnanti per il merito nella squadra sportiva.
"stia tranquillo, tra un mese lui sarà di ritorno e io tornerò per settembre" joe doveva continuare ad allenarsi e non aveva accettato la mia proposta di trattenersi in montana tutta l'estate, dopotutto aveva ragione, alla fine dell'estate avrebbe sostenuto dei provini con delle squadre importanti e doveva arrivare a quel giorno in forma perfetta.

trascinai la pesante valigia che colpì rumorosamente i gradini che portavano nell'aereo.
Joe la tirò su con un rapido movimento, facendola sembrare leggera come una piuma.
Percorsi il corridoio dell'aereo fino ad arrivare ai posti da noi prenotati, posai lo zaino sotto il sedile davanti al mio e osservai Joe sollevare le valige nella cappelliera, nonostante avesse addosso una giacca, rigorosamente della squadra di hockey, riuscì ad immaginare il suo braccio contrarsi in quei movimenti. Il suo fisico era atletico, spalle larghe, braccia e petto spessi, nonostante l'aspetto slanciato.
La pallida schiena era ricoperta qua e là da nei e una piccola voglia, quasi a livello della spalla, a forma di stella.
Era bello, era impossibile non accorgersene, per me la sua bellezza era come la prima nevicata che vidi a Vancouver, e poi era buono. Ricordo di averlo distinto subito tra i giocatori della squadra di hockey quando, dopo aver accettato come attività per i crediti extra quella di aiutare il coach della squadra di hockey a creare ed appendere le locandine per il derby, mi ritrovai da sola a doverle appendere per tutta l'università. Lo ricordo uscire con i capelli ancora bagnati dallo spogliatoio e il borsone su una spalla.
Sbuffai, era già il sesto giocatore ad uscire e immaginavo che come i precedenti mi avrebbe ignorato, ma invece si avvicinò sorridente.
"montana giusto?" disse lui.
"se sei qui per fare banali battute sui ranch e i cavalli puoi anche evitarle, ne ho sentire abbastanza" dissi mentre strappavo un pezzo di scotch dalla piccola ruota trasparente.
"in realtà vorrei darti una mano, dopotutto se non ci fossi tu ad appendere le locandine io e gli altri ci ritroveremmo a giocare con gli spalti dei nostri fan vuoti" disse lui sollevando una manciata di locandine da terra. Dopo quel giorno iniziò a rivolgermi la parola nei corridoi, in mensa e persino quando si avvicinava agli spalti alla fine delle partite, fino a quando non mi chiese di uscire. Tutti mi invidiarono, tutti volevano essere me, la ragazza di Joe Wilson, il giocatore più forte della squadra di hockey, si zittirono quando capirono che a me non interessava l'hockey e nemmeno la fama, ero la ragazza del montana a cui piaceva il sole e i campi.
Andai ad ogni sua partita , i piedi perennemente congelati, l'adrenalina delle partite punto a punto, l'ansia durante le sue cadute e l'emozione di quei baci alla fine di ogni partita.
Quando vincevano andavamo a mangiare con i suoi amici da Dino's pizza, invece quando perdevano lo accompagnavo nel dormitorio, accendevamo la piccola stufetta a gas e seduti sul suo morbido tappeto vedevamo un film.
Un giorno mi portò addirittura a pattinare sul lago ghiacciato, ero terrorizzata, mi disse "dammi le mani e guardami negli occhi" pensai che era facile per lui che passava la gran parte del suo tempo con i piedi nei pattini ma pian piano iniziai a fidarmi di lui

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