Capitolo 6

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4 anni prima
                                       OLIVER
Lasciai cadere la bici sul terreno, corsi verso la scura staccionata del recinto e ci misi un piede sopra, sporgendomi verso il cavallo. I suoi grandi occhi mi guardavano fisso e il manto, di color marrone, mi scorreva sotto le mani.
"ei!" una voce mi fece sobbalzare. Guardai verso il portico della casa e vidi una ragazza che avanzava verso di me. Percorse velocemente il grande cortile e si fermò a qualche metro da me. La riconobbi subito, era Amelia Brown, era nel mio stesso corso di scrittura. Aveva dei lunghi capelli marroni, una frangetta svolazzante sulla fronte, un paio di lentiggini sul naso e gli occhi cervoni. Tra quei lunghi capelli aveva legato qualche piccola treccia.
"mi dispiace" dissi "vado via subito" balbettai.
Lei rise, si spostò i capelli dietro le spalle e disse
"Oliver Murphy giusto?" annuí in silenzio, ero sorpreso che si ricordasse il mio nome.
"puoi restare, e venire quando vuoi a vedere i cavalli. Mi sembri un tipo gamba....sentiti onorato, non lo permetto a tutti" disse lei rivolgendomi un piccolo sorriso, le si arricciò il naso, stropicciando le piccole lentiggini.

Andai spesso a casa dei Brown, speravo di imbattermi ancora in Amelia. Qualche volta la sorpresi a spiarmi dalla sua finestra, altre volte ancora la vedevo seduta sul portico, in quei casi tornavo indietro, verso casa, preso dall'imbarazzo.
Avevo paura che mi ritenesse uno sfigato, dopo tutto era quello che ero, leggevo continuamente libri, scrivevo storie, giocavo ai videogame e non facevo parte di nessuna squadra sportiva della scuola.
Mi ritrovai spesso ad ascoltare incantato le considerazioni sui libri e le letture dei saggi di Amelia, durante il corso di scrittura, aveva un'intelligenza arguta, era simpatica e gentile con tutti. Osservavo le sue labbra color fragola, aprirsi e chiudersi nel pronunciare le parole, perdendomi spesso parti dei suoi discorsi.

Scesi frettolosamente le scale "arrivo" strillai.
Aprí la porta e lei era lì, i suoi grandi occhi cervoni a fissarmi, si dondolava avanti e indietro nelle sue converse nere consumate, le mani aggrappate alle fibbie dello zaino. Mi rivolse un sorriso "credi di potermi aiutare con la scrittura sul saggio di Dickens?" inclinò leggermente la testa, sollevando un lato della bocca in un lieve sorriso.
"si...si certo" balbettai. La feci entrare, era maggio ma lei era già abbronzata. Era ricurva a scrivere e avevo notato che quando era molto concentrata tirava fuori la lingua "è un vizio che ho da quando sono piccola" disse. Ci scambiammo pareri, consigli sul saggio e poi, con imbarazzo, mi obbligò a farle vedere la mia collezione di videogames e di libri.
"fico, mi piacciono i nerd" disse lei ferma davanti alla mia libreria con le mani strette nelle tasche.
Era vero, non lo diceva per dire, presto mi confidò che la sua popolarità a scuola era data dalla sua bellezza e che se Katie, la sua migliore amica, fosse venuta a sapere che giocava ai videogame e guardava gli sport maschili, forse, non le avrebbe rivolto più la parola e che a quel punto sarebbe crollata giù dalla piramide sociale della nostra scuola. Pensai che Katie fosse una persona stupida, Amelia era forte, sicuramente più forte delle ragazze che andavano in giro per la scuola sbattendo eccessivamente le ciglia ogni volta che parlavano con un ragazzo.

Io e Amelia ci ritrovammo spesso a fare i compiti insieme. All'inizio mi rivolgeva qualche parola in pubblico e ogni volta che lo faceva le sue amiche le rivolgevano sguardi disgustati. Fu così che decisi che non sarei mai stato io il primo a salutarla, avevo paura di metterla in imbarazzo.
Un giorno si sedette davanti a me, al tavolo nella mensa,si fermò a guardarmi interdetta, non disse nulla per qualche istante. Con il boccone di sandwich ancora in bocca scrollai le spalle e le allungai il panino addentato. Lei lo ignorò.
"Se non vuoi più essere mio amico puoi dirlo" disse lei. Improvvisamente mi sentì inconsistente, come se fossi un pezzo di formaggio sciolto,certo che volevo essere suo amico. Mandai giù il boccone, con difficoltà, improvvisamente mi sembrava di mangiare un cactus.
"certo che voglio essere tuo amico" dissi
"allora perché non mi saluti mai? Non vieni nemmeno più a salutare Magnus" disse agitando qua e là le mani. Era dispiaciuta le si leggeva in volto.
Magnus era il suo cavallo, volevo andare a casa sua, amavo il suo cortile, il suo portico. Avevo pensato tante volte a come fosse all'interno quella casa. È solo che un giorno, quando arrivai vicino al recinto, come di consueto rivolsi uno sguardo verso la finestra della sua camera. Katie era lì, ridevano e scherzavano. Pensai che se mi avesse visto, avrebbe deriso Amelia.
"non mi interessa, se vorranno farmi diventare una sfigata sono libere di farlo" disse
Sentì come un prurito lungo tutto il corpo, avrebbe fatto questo per me?

Quel giorno, all'uscita della scuola, mi raggiunse verso il parcheggio delle bici. Sganciò la sua dal sottile palo a cui era attaccata e aspettò che io facessi lo stesso.
"ti va di fare un giro?" mi chiese. Non potevo, mio padre mi aspettava a casa. Aveva poco tempo durante le sue pause pranzo, sapevo che mi avrebbe detto di sì se lo avessi avvisato ma, mi dispiaceva lasciarlo mangiare da solo. Mi allungò il suo cellulare, era piccolo e da un'estremità si diramava un laccetto con perline colorate. La guardai sorridere e pensai che per una volta potevo lasciare papà con il suo solito piatto di pollo. Lo afferrai e mentre digitavo il suo numero lei sorrise emozionata.

Arrivammo in prossimità di un piccolo laghetto. Lasciò cadere la sua bici sul terreno, corse lungo il piccolo pontile e si fermò all'estremità di quest'ultimo, la punta scolorita delle converse sbucava dalla piattaforma. Si voltò verso di me sorridente e poi, quasi come uno scatto, si sfilò le scarpe, la maglietta e i pantaloncini, che caddero sul legno scolorito del pontile. Mi percorse un brivido lungo la schiena, cercai di distogliere lo sguardo dalle sue mutande bianche e dal reggiseno rosa scolorito. Fece qualche passo indietro, per prendere la rincorsa, in un istante la vidi balzare a mezz'aria e dopo un secondo  SPLASH! era in acqua.
Riemerse rapidamente, la frangetta era attaccata sulla fronte, le lentiggini si illuminavano sotto gli occhi verdi scintillanti.
"Non vieni Murphy?" disse con tono di sfida e un sorrisetto malizioso.
Non mi chiamava mai per cognome, diceva che Oliver era un nome troppo dolce per non utilizzarlo
"frutto dell'albero d'ulivo, è simbolo di pace" disse facendo sembrare banale ciò che per lei era sorprendente.
Camminai lungo il pontile. La guardai galleggiare nel mezzo del lago. Ero imbarazzato, non volevo spogliarmi, non davanti a lei.
"se vuoi mi volto" disse lei quasi leggendomi nel pensiero. Scossi la testa. Ero imbarazzato ma lei era stata così grande a spogliarsi davanti a me.
Mi sfili la maglietta, che lasciai scivolare lungo il braccio.
"CHE MUSCOLI OLIVER MURPHY!!" strillò lei ridacchiando.
Non ero secco, non ero nemmeno grosso. Ero robusto e a furia di aiutare mio padre, con i lavori della sua ditta da tutto fare, mi iniziarono a sbucare i muscoli. Passavo i pomeriggi a rompere e sollevare legna, a montare capanni nelle case di whitefish e a ridipingere le case delle vecchie signore. Più di una volta mi osservai in mutande davanti allo specchio, facevo strane pose per osservare i muscoli contrarsi e guardare come il mio corpo stesse cambiando.
Mi sfilai i bermuda, guardai Amelia che arrossì imbarazzata, distogliendo lo sguardo verso il mio volto.
"dai sbrigati!!" mi intimò lei.
Mi sfilai le scarpe e mi sporsi verso l'estremità del pontile. L'acqua sembrava gelida.
"al mio 3" disse avvicinandosi di qualche metro
"1...2...3!!!!" urlò
Mi lanciai, impattai con l'acqua, era fredda, una volta arrivato giù, il mio piede sfiorò qualcosa di viscido e riemersi rapidamente.
"bravo Oliver!!" disse lei schizzandomi.
Sorrisi. Era stato bello, era stato bello farlo con lei.

Tirò fuori dallo zaino un grande telo verde mela, lasciando cadere qualche libro sul terreno. Si avvicinò a me e con un'estremità dell'asciugamano mi avvolse, stringendo l'altra attorno a se. Le nostre braccia bagnate si toccavano, erano come incollate tra loro. Sentivo i brividi percorrermi lungo la schiena. Cercai di toccarle la mano con un dito ma una voce mi spaventò, facendomi rapidamente divincolare dall'asciugamano.
"Amelia!" rivolsi lo sguardo verso il ragazzo che percorreva il sentiero. Era alto, moro, gli occhi nocciola e piazzato. Mi guardò ma come se fossi stato un pezzo della vegetazione circostante mi ignorò.
"Jason..." commentò lei. Sembrava scocciata, disturbata. Solo dopo capì che era Jason Foster, il capitano della squadra di basket della scuola.
Si avvicinò ad Amelia le accarezzò una guancia e appena la sua mano entrò in contatto con il suo viso lei si scostò. Sentivo il sangue ribollirmi nelle vene, era come guardare una ruspa passare su un campo di margherite. Fu la prima volta che provai gelosia nei suoi confronti. Sentì delle risatine femminili provenire dalla fine del vialetto, in pochi istanti ci ritrovammo Katie e altre ragazze davanti a noi.
Salutarono Amelia e quando lei si avvicinò alle nostre bici, Jason disse "non resti?". Amelia non lo guardò nemmeno, si infilò rapidamente i vestiti che si incollarono sulla biancheria ancora bagnata, si mise lo zaino sulle spalle e mi guardò.
"ho da fare, con Oliver" guardai Jason, mi rivolse  uno sguardo, poi sorrise e andò verso il pontile.
Raccolsi la bicicletta e seguì amelia. Non facemmo niente dopo, ci dividemmo nel punto in cui il sentiero si diramava nelle due opposte direzioni delle nostre case, ma fui comunque felice che lei preferì me quel giorno.

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