Capitolo 2

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Per tutto il viaggio fino a casa i miei genitori non fecero altro che riempire Joe di domande sullo studio, sull'hockey, sugli amici e su di me, una volta arrivati a casa si respirò un po' di tranquillità.

"mi piace la vostra casa" commentò Joe sorridendo
"quando avevi parlato di recinti con cavalli e una lunga distesa di prato avevo paura di ritrovarmi in un posto completamente desolato, non che questo non lo sia, però è più bello di come lo immaginavo"
Joe era abituato allo scuro cielo canadese, alle distese di neve e mi aveva confessato che era riuscito ad andare qua e là per l'America ma solo per le partite di hockey, quindi non era mai riuscito a visitare e godersi i posti in cui si trovava.
"ho preso questo per te.." mi allungai verso la busta di color blu che pendeva dalle sue mani.
"perché questo regalo?" gli domandai mentre cercavo di staccare le spille che mantenevano chiusa la busta
"un ringraziamento per avermi ospitato e per quello che fai ogni giorno" commentò lui dondolandosi sui talloni, era teso.
Mi era capitato di notare la tensione sul viso di Joe poche volte: durante le partite e la prima volta che ci baciammo. Mi aveva portato in un bosco e ebbi un incontro ravvicinato con un alce, il cuore mi sobbalzava dall'emozione e quando l'animale andò via ero ancora pietrificata, dopo qualche istante mi girai e notai che per tutto il tempo lui aveva fissato me, si avvicinò mi mise i capelli dietro l'orecchio
"non è poi così diverso da un cavallo" sghignazzò
Lo era invece, le corna enormi, il respiro caldo che usciva dalle sue narici e i lenti movimenti tipici di un'animale di quella stazza.
"lo è invece" dissi divincolandomi dalle sue braccia, ricordo che mi incamminai lungo il vialetto dell'auto, Joe era dietro di me, poggiai male il piede sul ghiaccio depositato sulla terreno e scivolai ,Joe mi aiutò a tirarmi su, perdevo sangue dal polso, ci ero atterrata sopra. Scoppiò nel panico, era teso, non sapeva cosa fare.
"Sali in macchina, ti porto in ospedale"
commentai che non ne sarebbe stato necessario ma quando alzai la manica, al di sopra del polso, notai che forse mi avrebbero dovuto mettere qualche punto.
Fu quando uscì dall'ambulatorio dell'ospedale che vidi Joe aspettarmi seduto sul pavimento.
"non potevi usare una sedia?"gli domandai, prendendolo in giro.
"Erano tutte piene, mi sono alzato per far sedere una donna incinta, continuava ad urlare e lamentarsi, non oso immaginare il dolore che stesse provando" disse spaventato, come se prima o poi nella vita lo avrebbe dovuto fare.
Arrivati all'auto si avvicinò a me e disse
"mi dispiace per oggi, avrei voluto che andasse diversamente, aspettavo da tanto questo giorno, volevo portarti in quel ristorante di cui parli sempre, quello tutto in legno, sulla montagna" era dispiaciuto, mortificato, come se il ghiaccio l'avesse messo lui
Mi avvicinai lentamente, ci guardammo per qualche istante, poi posai una mano sulla sua spalla, mi alzai sulle punte. Mi avvolse il braccio attorno al fianco per tenermi dritta. I suoi capelli scivolarono lungo il suo volto, finendo per accarezzarmi la fronte. Si allungò verso di me e mi baciò.

"Joe è bellissima" dico osservando la collana dorata a forma di cuore, si apriva e dentro aveva inserito una nostra foto
"so che presto tornerai in Canada ma so che non resterai per sempre, quindi questa collana è per ricordarti di me, per non farti perdere troppo nei campi del montana, ricordandoti la neve del Canada"

Le ruote della bici rimbalzavano ad ogni sassolino del viale, amavo andare in bici, amavo la sensazione del calore del sole sulle braccia che sembrava abbronzarti.
Lasciai la bicicletta poggiata sul portico dei Murphy, salì i quattro gradi di legno scricchiolanti e bussai alla porta. Aspettai qualche istante e poi si aprì.
"Amelia..." pronunciò il mio nome quasi sussurrando e come un brivido mi percorse tutta la schiena. Avevo sentito pronunciare il mio nome da lui in mille sfumature diverse, spaventato, arrabbiato, dolce e disperato.
"Oliver.." restammo per qualche istante a fissarci. Non era molto alto, era di carnagione chiara, il volto ricoperto da lentiggini, gli occhi cervoni e i capelli bruni che gli cadevano sul volto. Era sporco, aveva indosso i guanti da lavoro. Sentì un calore divamparmi nel corpo, come se qualcuno mi avesse dato fuoco dall'interno. Lo riguardai negli occhi per poi ricordarmi cosa dovessi dire.
"em, mia mamma ha bisogno di aiuto nel giardino" balbettai. Restò per qualche istante a guardarmi, poi accennò un sorriso e disse "si, va benissimo, prendo le chiavi del pick up"  e rientrò velocemente in casa.

Sollevò la mia bici com un rapido gesto, era più muscoloso di quanto ricordassi, la caricò sul retro del pick up e salimmo in auto. Il silenzio era assordante fino a quando Oliver non parlò.
"com'era il Canada?" era una domanda di cortesia, Oliver sapeva di Joe, sapeva che eccellevo nello studio e sapeva anche che avevo molti amici, non aveva bisogno di sentirselo dire.
"bello, mi ci sono trovata bene" tagliai corto
"lavori per la ditta di tuo padre ?" il padre di Oliver, Travis, aveva una ditta di tutto fare, mentre sua madre, Janet credo, lo abbandonò quando era ancora piccolo per andare a vivere con un ricco uomo di New York, sapevo solo che mandava i soldi ad Oliver ogni mese.
"la mamma è morta, non ho i soldi per pagare l'università e la ditta non stava andando bene, quindi sono rimasto a whitefish a dare una mano a papà"
non avevo idea che la madre di Oliver fosse morta, come potevo, dopotutto non la conosceva nessuno, credo che la metà della cittadina non sappia nemmeno chi sia.
"mi dispiace per tua mamma" dissi
"non dispiacerti, lei non lo ha fatto quando mi ha abbandonato" la mascella era serrata, la mano stretta sul volante, le nocche risaltavano sotto i guanti da lavoro.
"non puoi abbandonare il tuo sogno, volevi andare all'università e studiare, scrivi benissimo Oliver, non puoi lasciarti scappare il tuo futuro. Ci saranno delle borse di studio" commentai senza prendere neanche un respiro tra una frase e l'altra
"le borse di studio non vengono date a me, quelle sono per i giocatori di football, di basket, di hockey.." commentò lui lanciandomi una veloce occhiata.
Non commentai, era così, alla columbia i compagni di Joe e anche Joe erano benestanti, potevano permettersi l'università anche senza la borsa di studio, ma i loro genitori investivano i soldi nello sport, facevano tornei prestigiosi, incontravano persone importanti, diventando così non solo dei semplici giocatori ma delle persone affidabili, persone meritevoli.

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