Capitolo 4: Ordini

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Hans aveva dormito male quella notte. Il sonno, di solito pacifico e riposante, era stato disturbato da pensieri turbolenti e inquietanti che lo avevano tormentato durante le ore buie della notte. Era stato ossessionato da visioni della sua giornata trascorsa al campo, dalle urla disperate delle prigioniere, dal fumo che saliva dai camini e dalle ombre oscure che si allungavano lungo i fili spinati del campo di concentramento. Era stato un incubo che lo aveva trascinato nel baratro dell'orrore nazista, risvegliando vecchi fantasmi che credeva di aver sepolto per sempre.

La sveglia alle 4.30 del mattino non aveva fatto che peggiorare il suo umore già tetro. Hans si sentiva stanco e irritato, mentre si preparava per la giornata che lo attendeva. L'idea di dover affrontare un'altra giornata di lavoro tra le Muselmann¹ della baracca della corrispondenza lo riempiva di disgusto e rabbia. Non sopportava l'odore stantio e l'atmosfera oppressiva che permeava la baracca, né la vista delle prigioniere ridotte in uno stato di terrore e disperazione che lo faceva sentire più in colpa di quanto non volesse ammettere.

Quando finalmente arrivò in quello che chiamava a malapena "ufficio", il suo umore cupo si rifletteva chiaramente sul suo volto. Con lo sguardo freddo e l'espressione rigida, si preparò a affrontare un'altra giornata nell'abisso dell'orrore nazista, fedele al suo dovere e alla sua ideologia, anche se dentro di sé sapeva che qualcosa si stava sgretolando lentamente, come un castello di sabbia portato via dalle onde implacabili del destino.

Tale consapevolezza si cristallizzò quando, a pochi passi da lui, incrociò lo sguardo della nuova prigioniera. In quel momento, Hans sentì un brivido corrergli lungo la schiena, un presentimento cupo che si insinuava nella sua mente come un'ombra sinistra. C'era qualcosa in quegli occhi, qualcosa che scuoteva le fondamenta stesse della sua convinzione, eppure non riusciva a identificarlo chiaramente. Era come se il destino avesse intrecciato i loro destini in un modo che lui non riusciva a comprendere, scosse la testa per riprendere lucidità. Era un soldato del Terzo Reich e lei era il nemico.

« Prigioniera, il tuo numero? » chiese in tono glaciale.
Rachel lo guardò confusa, per lei quello che aveva chiesto il tenente non aveva alcun significato, non avendo mai ricevuto un tale codice. La sua mancanza di risposta scatenò la sua ira e il suo disprezzo, che si manifestarono immediatamente nell'ordine crudele di farla marchiare come bestiame. Era una pratica disumana, ma per Hans era semplicemente la prassi, era ciò che gli richiedevano i superiori, anche se rappresentava solo un altro modo per sottomettere e umiliare le prigioniere del campo.

Ordinò a Lenka, con cui la ragazza sembrava aver stretto un qualche tipo di legame, di accompagnarla e di riportarla immediatamente a lavoro. La sua voce era fredda e autoritaria, priva di ogni compassione o pietà. Per lui, Rachel non era altro che una pedina nel macabro gioco della sua ideologia nazista, da manipolare e controllare a suo piacimento. O così voleva autoconvincersi.

Mentre Rachel si alzava per seguire Lenka, poteva sentire il battito frenetico del suo cuore, il terrore che la avvolgeva come una morsa. Era un segno tangibile della sua impotenza di fronte alla crudeltà del soldato nazista, un'altra ferita inferta alla sua dignità e alla sua umanità. Ma sapeva che non poteva opporsi, non in quel luogo di disperazione e disumanità. Doveva solo chinare la testa e obbedire agli ordini, mentre il peso del suo destino si faceva sempre più opprimente sulle sue spalle.

Hans vide la prigioniera lanciargli uno sguardo di fuoco, un'espressione di sfida che risvegliò qualcosa di oscuro dentro di lui. Nonostante cercasse di sopprimere quel brivido di piacere che gli corse lungo la schiena, non poté fare a meno di sentire l'emozione che lo pervadeva. Era una sensazione sconcertante e inquietante, una strana attrazione che sapeva di dover combattere con tutte le sue forze.

Quelle strane sensazioni che la prigioniera gli stava suscitando dovevano essere bloccate sul nascere. Hans si sentiva confuso e frustrato, incapace di comprendere perché quella ragazza riuscisse a scuotere le sue convinzioni con così poco sforzo. Con un gesto impulsivo, sbatté il pugno contro la scrivania, facendo tremare tutte le ragazze presenti nella baracca. L'aria si riempì di tensione e di timore, mentre Rachel, come tutte le altre, abbassò lo sguardo, sconfitta da quella dimostrazione di violenza e di potere.

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