lucidità

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Ghali's POV

Mentre le luci delle strade si affievolivano dietro di me, guidai senza meta attraverso la notte, cercando di scacciare i pensieri che mi assillavano.

Sentivo l'adrenalina di quello che era appena successo scorrermi nelle vene.
Ma questa volta, non era per niente accompagnata dal senso di potere che spesso sentivo in quei momenti, ma da un senso di disprezzo. Disprezzo verso me stesso.

Adesso, tornare a casa significava confrontarmi ancora una volta con mia madre, e non ero pronto per un altro litigio.

Non avevo mai capito cosa avessi sbagliato, come fossi finito in queste condizioni, perché la mia vita non mi aveva dato tregua sin da bambino.

Volevo essere un ragazzo normale, un ragazzo come gli altri, ma allo stesso tempo non avevo la possibilità di esserlo. Che cosa potevo fare per uscire dalla merda che mi circondava?

Alla fine, dopo quella che sembrava un'eternità ma che in realtà era solo un'ora, parcheggiai davanti a un motel, in una zona non molto raccomandabile, ma ero abituato a queste cose vivendo a Baggio.

Non era il massimo, ma era tutto ciò che potevo permettermi con i soldi che avevo dietro.

Entrai, notando una signora dietro la reception.
Aveva l'aria annoiata, i capelli rossi le scendevano scompigliati sulle spalle, indossava degli occhiali e si trovava davanti al computer con gli occhi fissi sullo schermo mentre sorseggiava un caffè per restare sveglia.

"Vorrei prenotare una stanza." Dissi posizionandomi difronte al bancone, poggiandoci le braccia sopra e picchiettando su di esso con i polpastrelli.

Maria, così diceva la targhetta posta sulla sua divisa, alzò appena un sopracciglio come se fosse annoiata dal mio arrivo.

"Quante notti?" Chiese bruscamente, come se ogni parola le costasse un grande sforzo.

"Una sola." Risposi, cercando di mantenere la calma nonostante il suo tono brusco.

Lei sbuffò iniziando a digitare qualcosa sulla tastiera del computer, senza neanche alzare lo sguardo verso di me.

"Ci sono stanze disponibili al secondo piano." Mormorò, come se non potesse essere disturbata a fornire ulteriori dettagli. Non mi chiese neanche i documenti.

"Va bene." Dissi semplicemente, già abituato alla sua mancanza di entusiasmo.

Dopo un po' mi consegnò una chiave, "Stanza 215."

La presi senza neanche ringraziarla, per poi dirigermi verso l'ascensore premendo il pulsante per il secondo piano. Forse rilassarmi mi avrebbe aiutato a trovare la calma che cercavo così disperatamente.

Entrai in camera, subito liberandomi dei vestiti, restando in boxer. Presi dalla tasca della giacca il sacchetto con l'erba e le cartine, sedendomi sul letto iniziando a rollare. Ma sapevo già che non mi sarebbe bastata. Avevo bisogno di alcool.

Portai la canna alla bocca senza accenderla e iniziai a rovistare nel minibar, trovando una bottiglia di Vodka che forse avrebbe fatto proprio al caso mio.

Volevo perdere la lucidità.

Iniziai a bere direttamente dalla bottiglia, stendendomi sul letto, lasciandomi andare completamente.

Ne scolai quasi metà e dopo aver fumato, non capivo più un cazzo. Sentivo la testa pesante, ma questo non mi fermò.

Era come se volessi stare male, avevo bisogno di sentirmi a pezzi, come la mia vita, come facevo sentire mia madre, come ogni cosa che prima o poi riuscivo a rovinare.

All'improvviso sentii gli occhi bruciare, il petto mi faceva male, mi sentivo senza respiro. Mi alzai dal letto e iniziai a camminare avanti e indietro.

La stanza sembrava farsi sempre più piccola e non trovavo via d'uscita. Preso dalla rabbia, dalla tristezza, dal sentirmi chiuso non solo qui, ma anche in una realtà opprimente, lanciai la bottiglia che tenevo in mano contro il muro.

Misi le mani tra i dread, portandoli indietro e facendo respiri profondi, sedendomi a terra.

Guardai il cellulare e senza pensarci due volte lo presi tra le mani. Avevo bisogno di lei.

Con le dita tremanti e lo sguardo offuscato, trovai il suo nome tra i contatti.

Le scrissi 'Mi manchi.'

Fissai lo schermo aspettando quella risposta che sembrava non arrivare mai.

Non mi importava se fosse tardi, se stesse dormendo, io avevo bisogno di sentire la sua voce, quindi iniziai a chiamarla interrottamente finché non rispose.

"Pronto? Chi è?" Disse con voce piena di sonno.

"Selene, s-sono io." Biascicai strofinandomi il viso.

"Ghali? Che succede? Perché mi chiami a quest'ora?" Iniziò ad impancarsi facendo domande senza fermarsi come al suo solito.

Provai un groppo alla gola, mi sentivo in colpa, in colpa per ogni cosa che fino a quel momento avevo fatto. Non per aver preso a pugni quel bastardo, sia chiaro, non provavo pietà per lui, ma proprio per il fatto che sia arrivato a fare quelle cose. Com'ero finito dentro questo schifo?

Ma non potevo confessarglielo, non poteva saperlo o sarebbe scappata via, ed egoisticamente volevo tenerla con me anche sapendo il casino che sono.

"Ci sei?" Chiese dopo un po' non ricevendo una risposta.

"Si, sono qui. Ti h-ho chiamata perché...non lo so, non so perché, non sto bene e ho bisogno..." Cominciai a parlare, non sapendo neanche io quello che volessi dire, le mie idee erano così confuse, quello che provavo era troppo. Troppo.

"Di cosa? Mi stai facendo preoccupare..." Parlava sussurrando ma riuscivo a sentire tutta la sua paura e sincerità. Aveva percepito la mia angoscia.

"Ho bisogno di te." Conclusi chiudendo gli occhi, portando la testa indietro, fissando il soffitto.

Selene non rispose per qualche momento, e quel suo silenzio mi terrorizzò. Avevo esagerato, mi ero esposto troppo con tre sole parole.

Succedeva sempre in passato quando cercavo di aprirmi con le persone, mi respingevano e mi pentivo di averlo farlo. Per quel motivo mi ero chiuso in me stesso.

Stavo per ritirare le parole e chiudere la chiamata, ma la sua voce mi fermò.

"Dove sei?"

Aggrottai la fronte alla sua domanda, "Perché me lo chiedi?"

"Perché voglio venire da te."

FADE INTO YOU | ghali.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora