𝑳'𝒂𝒏𝒈𝒆𝒍𝒐 𝒅𝒊 𝒑𝒊𝒆𝒕𝒓𝒂🪦

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«Mel sei sicura che sia la strada giusta? Stiamo camminando da una vita»

«Si te lo giuro, la faccio tutti i giorni» mi rispose lei saltellando allegramente tra un sasso e l'altro

Non ero sicuro di dove mi stesse portando, a scuola la definivano tutti quanti pazza e lo ammetto, un po' credevo lo fosse per davvero: aveva sempre la testa fra le nuvole, lo sguardo fisso nel vuoto e non la smetteva mai di scarabocchiare sul quel suo strano taccuino marrone. Non era poi tanto assurdo il fatto che non avesse amici.                                                                              

Dopo interminabili minuti di cammino arrivammo sulle sponde di un ruscello, sentii il suono dell'acqua scorrere verso la valle e mi fermai a riprendere fiato sapendo che se mai avessi dovuto attraversare quel torrente avrei avuto bisogno di molta più aria in corpo di quanta ne avessi

«Mel dove diamine mi stai portando?» le chiesi appoggiando una mano sulla corteccia di un albero

«Siamo arrivati Ray, è proprio lì guarda» mi rispose indicando un punto indefinito al di là del corso d'acqua

Feci qualche passo in avanti, la prima cosa che notai fu un enorme statua in marmo di un angelo: era insolito trovarne una in mezzo alla foresta, di solito sculture del genere sono tipiche dei cimiteri o luoghi sacri come le chiese. Lo sguardo era triste e rivolto verso il basso, le ali erano contornate da una lunga liana d'edera che più che sembrarci appoggiata sopra era come se fosse nata e cresciuta attorno a quella figura di pietra.

Abbassai poi gli occhi in direzione dello sguardo dell'angelo, qualcosa aveva attirato la mia attenzione. Qualcosa di cupo, di inquietante, qualcosa che mi fece accapponare la pelle e rabbrividire tutto il corpo, qualcosa che mi fece salire il vomito e che mi costrinse a sorreggermi all'albero lì a fianco per non cadere di faccia nel ruscello

«M-Mel...Mel cos'è quello?» balbettai tremante

«Quello è Tim» esclamò lei sorridendomi «Te l'ho detto che volevo farti conoscere il mio migliore amico. Salutalo avanti, non fare il timido»

«Mel...» sussurrai cercando trattenere il conato di vomito e il pranzo fatto poche ore prima «Mel...quello è un cadavere»

«No, quello è Tim» rispose lei aggrottando le sopracciglia «A lui piace tanto leggere sotto la statua dell'angelo»

Per quel poco che riuscii osservai meglio il corpo di quel povero disgraziato appoggiato alla pietra in posizione seduta, con un libro aperto appoggiato in qualche strana maniera sulle ginocchia; il viso era sciupato, per metà decomposto e per metà putrefatto, delle mani non era rimasto più nulla se non un mucchietto d'ossa, così come dei vestiti che erano sgualciti, sporchi e praticamente ridotti in polvere oltre che ad essere invasi dalla più stravagante varietà di insetti che avessi mai visto

«Mel...» le chiesi prendendola per un polso e avvicinandola a me «Da quanto tempo Tim legge sotto l'angelo?»

«Non lo so, l'ultima volta stavamo studiando per la verifica sulle capitali» mi rispose guardandomi e sorridendomi dolcemente

Feci un rapido calcolo e sbiancai di colpo. Anch'io avevo svolto una prova simile in passato, in seconda elementare per la precisione: la maestra ci aveva fatto comprare un libro uguale a quello sgualcito che riuscivo a vedere sulle gambe del cadavere di fronte a me. Avevo poca memoria di quei tempi, gli anni delle elementari erano stati abbastanza tremendi per tutti quelli che conoscevo, sopratutto per chi le aveva frequentate nel mio stesso periodo.

Non avevo mai pensato al motivo per cui fossero state tanto complicate e dolorose, ma osservando il corpo decomposto di quello che sembrava essere un ragazzino di neanche dieci anni mi ritornarono alla mente quelle voci di corridoio che giravano per la scuola. Ricordo le maestre preoccupate e i genitori che bisbigliavano fra loro raccontando la storia tragica di come nella scuola del paese vicino fosse scomparso un bambino.

Non avevo mai creduto a quelle storie, ma davanti a quell'inquietante scenario iniziai a ragionare sul fatto che io e Mel non avevano frequentato la scuola, sul fatto che lei si fosse trasferita nella mia città solo pochi anni prima e sul fatto che i miei calcoli non potevano che essere corretti.

Quel povero Tim era seduto a leggere sotto l'angelo piangente da quasi dieci anni.

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