LAURA

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Mi piacerebbe lanciarti nel cielo. 

Vedere il tuo corpo che pian piano sale.

Collocarti nel posto più giusto, la stella più fragile dell'universo.

Ultimo.

Due settimane, erano passate due settimane da quella sera. 

Due settimane di silenzi, sguardi mancati, cuore a pezzi, due settimane che non lo vedevo, non veniva al campus, aveva saltato le partite, era sparito. 

Due settimane senza Luna. 

Era sparito, ed incondizionatamente ero sparita anche io. Mi buttai sullo studio, pagine su pagine di storia che non era la mia. 

Due settimane di vuoto, di chiamate rifiutate, di inviti non accettati. 

Sia Mia che Mike avevano insistito per  farmi uscire, ma ero stata io a supplicarli di lasciarmi del tempo per capire. 

Dovevo capire, so che avevo detto di volerci provare, so di aver detto che lo avrei amato da lontano, ma dopo quelle sera ho capito che non riuscirò mai a farmi una vita se la sua presenza in qualche modo mi trattiene li.

Era domenica mattina, quando il campanello del mio appartamento iniziò a non smettere di suonare. 

Suonava, continuava ad urlarmi nelle tempie, ero stanca, mangiavo poco ultimamente, ero sopraffatta dalle brutte sensazioni. Nella mia mente giravano sempre le stesse scene, quelle di mia madre, pronta a sotterrare la mia anima pur di arrivare dritta ai suoi obbiettivi, poi c'era Marco che nonostante la cattiveria, l'arroganza e tutto ciò che mai e poi mai un uomo dovrebbe far provare ad una donna se ne stava li, a guardarmi dall'alto, ed infine lui, il protagonista della scena più dolorosa di tutte, quella che sapevo avrebbe fatto male e che dentro di me sotto sotto la aspettavo, sentivo che prima o poi sarebbe apparsa davanti ai miei occhi. Ero a pezzi e cercavo di ricompormi con frammenti di ricordi. 

Ma quel giorno quel trillo del campanello non voleva saperne di cessare, di smettere di farmi allontanare da quei ricordi che mi scaldavano un po' l'anima.

Seppur contro voglia andai quindi ad aprire, dietro quell'insistenza c'era uno sguardo di chi era stata trascurata fin troppo, c'era Mia.

Capii subito nel suo volto che qualcosa anche per lei stava andando male . 

<Ehi, che succede?> Era strana, tanto strana. 

Un forte senso di colpa mi attanagliò lo stomaco, l'avevo trascurata, era la prima volta che mettevo al primo posto i miei bisogni rispetto a quelli degli altri. Non lo facevo mai, ecco perché arrivavo spesso al punto di non ritorno, arrivavo a tener tutto dentro fino a farlo scoppiare, lo facevo per sentirmi meglio, era sempre stato un sollievo per me riuscire a trovare le soluzioni per gli altri, io vivevo nel bene degli altri.

Lei mi abbracciò forte, come a chiedere aiuto. 

<Scusami> Non sapevo cos'altro dire. 

<Hai un attimo di tempo?> 

<Certo, vieni> La invitai a sedersi.

Il divano accolse tutti i nostri dolori. 

<Come stai? non ti vedo bene> Domandò, scrutandomi in volto.

<Non ti preoccupare per me, tu come stai?> 

Avendola davanti il bisogno di sotterrare i miei problemi divenne grande. 

Ed ero veramente a pezzi, la testa mi girava e faceva male ogni volta che mia madre mi mandava l'ennesimo messaggio per ricordarmi di quanto fosse delusa da me, e Marco? era tornato all'attacco dopo l'appoggio di mia mamma. Mi scriveva ogni giorno, era assillante, loro due insieme erano assillanti, volevamo farmi credere di essere io sbagliata, e probabilmente ci stavano anche riuscendo. Avrei voluto urlare tutti i problemi, avrei voluto urlare che mi facevano male, che mi squarciavo il cuore, ma in quel momento sentivo così forte il dolore che Mia aveva dentro che non potei fare altro che mettermi in pausa per far tornare a vivere lei.

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