LAURA

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Ti amerò da lontano, in silenzio con il cuore pieno e gli occhi tristi.

Ti amerò senza averti, senza un noi. Ti amerò e basta. 

Ma ti prego, lasciami andare. 

Martina G.

Quella volta lo schianto lo sentii davvero, avevo ancora addosso la potenza di quelle parole. Avevo tra i capelli il rumore del vento che mi portava giù, verso l'asfalto. 

Mi ero ripromessa di tenermi quel sentimento per me, ma quella giornata era stata difficile, quella giornata con lui mi aveva portato a dire la verità, a buttare fuori quella confessione. Non ero io ad essermi illusa, non ero io ad essermi immaginata cose inesistenti. Molto probabilmente avevo frainteso, avevo intrepretato i suoi sguardi, i suoi atteggiamenti a mio piacere, molto probabilmente era solo un finto castello di sabbia, ma il mio sentimento non era finto, lo sentivo battere forte, togliermi il respiro e la ragione, ed io, nonostante tutto, nonostante i lividi accusati dopo la caduta, nonostante la verità picchiata in viso come uno schiaffo, sentivo solo una cosa: rischia ancora, magari ti fai male, magari picchi così forte da distruggerti del tutto o magari la trovi la felicità che stai cercando.

Lo guardai svegliarsi, era stanco, il volto tirato e gli occhi pesanti lo rendevano ancora più cupo. C'era qualcosa in lui, ne ero sicura, aveva paura non volevo e non potevo credere a quelle parole, a quella cattiveria, lui non era cattivo, era spaventato, io me lo sentivo.

<Va bene> Sbiascicò mezzo assonnato. 

A fatica, si alzò dal sedile e  mi seguì verso la porta d'uscita. Ovviamente, con ancora un piede sulla scala che portava giù dall'aereo, aveva già una sigaretta tra le labbra. 

<Cos'è questa storia che vai alla festa?> Domandò, visibilmente nervoso.

<A te che importa?> Domandai stizzita.

<Hai ragione non me ne importa niente> Ringhiò, non riuscendo a nascondere il suo tono di voce. 

Se avessi dato retta alla mia impulsività avrei iniziato a tartassarlo di domande, a chiedergli il perché, a chiedergli il motivo della sua domanda, a chiedergli come mai aveva quella faccia, invece no, non dissi niente.

Lo amavo, lo volevo, ma non lo avrei supplicato, non lo avrei mai obbligato ad amarmi. Quella notte era stato chiarissimo, dovevo farmi la mia vita.

Sicuramente, vista la mia testardaggine non me ne sarai mai andata totalmente, l'idea di volerlo aiutare ad imparare a vivere era sempre solida nella mia testa, avrei comunque provato a farlo, magari da lontano, in silenzio o in qualsiasi altro modo possibile ma non avrei smesso di farlo.

Il suo volto era scuro, ma a preoccuparmi era il suo silenzio, era assordante. Neanche una parola. 

Aspettai che terminasse la sigaretta per poi dirigermi verso l'uscita. Mi sentivo così strana, fino a qualche ora prima eravamo immersi nel nostro mondo, e ora eravamo fuori, ad osservarlo sgretolarsi tra le parole non dette. 

<Non una parola> Grugnì dopo aver visto Mike e Mia avvicinarsi verso di noi. 

Erano venuti a prenderci, ma anche loro sembravano strani, tutto sembrava strano. Come se il mondo improvvisamente fosse diventato un segreto.

Indossai un sorriso, ormai ero esperta a farlo e raggiunsi Mia. Un grande abbraccio mi addolcì un po' l'anima. 

Abbracciai anche Mike, mi sentii di farlo, era pur sempre un amico ormai, rimase contento del mio abbraccio, testimone la foga con la quale lo ricambiò.

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