CAPITOLO 3

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ERIK

La vita può passarti davanti in un attimo, ti scivola via e tu non puoi fare niente. Sono uno stupido che è convinto di poter controllare tutto, quando invece è stato proprio il mio essere così ad avermi condotto nella situazione dove mi trovo. Lei non mi guarda, i suoi occhi verdi che amo non mi sorridono ed è colpa mia. Ho rovinato tutto perché sono un mostro destinato a soffrire. Passerò la mia vita a pagare per gli errori che ho commesso e nessuno potrà salvarmi da me stesso.

«Ti prego amore mio svegliati» le sussurro, mentre le accarezzo il viso. Lei non risponde ma so che è viva. Stringo la sua mano nella mia e poi la bacio. Qualcuno mi parla ma io non ascolto, voglio solo starle accanto.

«Signore deve lasciarci lavorare». Mi volto appena verso il medico e lo guardo truce.

«Voglio rimanere con lei».

L'uomo sospira pesantemente mentre ci dirigiamo verso la sala operatoria.

«Ci lasci lavorare, sta rallentando il nostro lavoro» protesta l'uomo. Mi guardo intorno spaesato, non riesco a ragionare in questo stato. Lascio andare la mano di Elisa e la guardo mentre la portano nella sala operatoria in fondo al corridoio.

Mi lascio andare sulla prima sedia che vedo e prendo la testa tra le mani. È solo colpa mia se lei è in questo stato, sono un mostro. Ho rovinato la cosa più bella che avevo con le mie mani. Non riesco a stare fermo, devo fare qualcosa.

Mi alzo, cammino avanti e indietro per il corridoio. Per la prima volta nella mia vita, ho paura. «Cazzo» urlo tirando un pugno al muro.

«Erik».

Claire si avvicina allarmata, mi posa la mano sulla schiena. Alle sue spalle Logan, Jason e mio fratello Lukas mi guardano preoccupati. Non riesco a parlare, ho la gola secca. Il battito del cuore accelera mentre guardo le mie mani, sono sporche di sangue, il sangue della donna che amo.

Stefan l'ha picchiata ed è colpa mia. Digrigno i denti e guardo verso un punto imprecisato.

«Quando sono arrivato aveva perso i sensi. C'era tanto sangue e lei non si svegliava...» non riesco a continuare, mi sento morire. Non dimenticherò mai ciò che ho visto, quello era il risultato delle mie azioni. Non riesco a capacitarmi che stia succedendo veramente.

«Dov'è adesso? Come sta?» chiede mio fratello facendo un passo avanti.

«Io non lo so, non si è svegliata».

«No no no, lei non può...» protesta piangendo Claire.

«Non provare a dire quella parola. Lei starà bene perché è forte» dico in tono minaccioso, come se fosse lei la causa dei miei problemi. Un altro colpo al muro. La rabbia e la disperazione aumentano sempre più perché non voglio perderla e l'idea mi sta uccidendo. La voglio accanto a me per tutta la vita, non può abbandonarmi. Le nocche sanguinano ma io non sento altro che il mio cuore sgretolarsi in mille pezzi.

Passano ore che sembrano anni, continuo ad andare avanti e indietro nell'attesa che qualcuno mi dica qualcosa. Voglio sapere come sta, voglio vederla. Gli altri sono scesi al bar per prendersi un caffè e io non riesco a muovermi da dove sono.

«Signor Truston» qualcuno mi chiama. Voltandomi di scatto mi trovo a pochi centimetri un uomo con il camice.

«Sono il dottor Thomas Miller, mi sono occupato della signora Ston».

«Come sta?»

«La signora Ston si riprenderà. Ha riportato delle fratture, due costole rotte e alcuni ematomi ma i parametri vitali sono buoni. Con le cure e tanto riposo si riprenderà del tutto».

Il sangue mi pulsa nelle vene mentre un groviglio si fa sempre più pesante nello stomaco.

«Come sta il bambino?»

L'espressione dell'uomo che prima sembrava indifferente muta, non c'è bisogno che dica qualcosa, lo vedo il dispiacere.

«Purtroppo non siamo riusciti a salvarlo, la situazione era complicata più del previsto ed era privo di battito».

In nostro bambino non c'è più. Mi passo la mano sul viso sospirando. Mio figlio ha pagato per i miei errori e questo non potrò mai perdonarmelo. Il mio corpo si irrigidisce mentre lo sguardo si sposta oltre l'uomo in direzione della sala operatoria.

«Voglio vederla». Ho bisogno di vederla, ho bisogno di lei e lei avrà bisogno di me. Non so come affronteremo la situazione, i progetti di una famiglia sono svaniti nel nulla. Un vuoto va aumentando dentro di me, ogni secondo che passa mi avvicina sempre di più all'oscurità. Ho bisogno della mia luce, ho bisogno di lei prima che sia troppo tardi.

«Verrà sistemata in stanza, passerò per il controllo tra qualche ora».

Mi siedo e fisso il vuoto. Nostro figlio non c'è più. Il battito del cuore accelera, l'aria non mi basta più, sto soffocando. Il suono delle ruote della barella attira la mia attenzione, sollevo lo sguardo e la vedo. Mi alzo di scatto e seguo gli infermieri fino alla camera, aspetto in un angolo che la sistemino ma uno di loro mi fa segno di uscire. Non protesto, impotente, esco e attendo. Come farò a dirle che il nostro bambino non c'è più? Come posso dirle che per causa mia i nostri progetti di una famiglia sono svaniti. Mi copro il viso e per la prima volta dopo tanto tempo mi lascio andare e piango perché sono la causa di tutto.

OK, anch'io ho pianto mentre scrivevo questo capito. Momento triste...

Mercoledì nuovo aggiornamento. Baci

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