Passando le Alpi, Don Livio, prima di prendere la via principale conducente alla stradina terminante con la cappella, scelse la direzione opposta, andando con i suoi due amici, Eugenio e Bandito (esanime), ad una grande cattedrale gotica, con volontà di rivedere un suo caro, vecchio amico. Della giovinezza del prete non si è parlato molto, se non nell'introduzione al romanzo, parlando per lo più della sua situazione passionale dunque dell'immenso amore in Dio, nonché della madre e del padre. Tuttavia, Don Livio, essendo un personaggio che va analizzato sin dalla tenera età, bisogna dare notizie nel dettaglio.
Il vecchio prete, da ragazzo, passò decenni nel collegio religioso, ove ebbe modo di apprendere le osservazioni dei più grandi teologi. Tale edificio, parlando del collegio, si divideva in più camerate: alcune riservate alle donne, alcune agli uomini. Il futuro Don non disdegnò ad intraprendere rapporti d'amicizia con alcuni suoi compagni, ma strinse un legame inscindibile con uno scrittore, nonché teologo e pittore. Costui, di cui il nome era Clemente Maria, s'appassionò a Dio grazie ad un fatto accaduto in estrema fanciullezza. Un giorno stava passeggiando nella luminosa campagna con alcune sue amichette, quando andò a ridosso di un vecchio albero di noce giocando a nascondino con Emilia Antonia, nascondendosi. La giovine Emilia avanzava avvicinandosi all'albero, quando il piccolo Clemente decise di cambiar luogo in cui nascondersi. Vide su di un grande masso un'incisione. La lesse. Non appena terminata la lettura, andò a casa, perdendosi agli occhi della bambina.
Stette lungo tempo in silenzio, ragionando sul messaggio inciso sul masso, ed andò da sua mamma, dicendole con parole chiarissime: - "Andiamo a messa, che oggi è domenica."
Don Livio arrivò, ed entrando in una gigantesca cattedrale gotica, camminò adagino sino al coro di tale chiesa, con il suo amico Clemente Maria che l'aspettava. La cattedrale, lunga e sviluppata in altezza, si componeva di varie cappelle, poste lungo il perimetro di un doppio deambulatorio, che circondava l'abside parendo un ventaglio. Anche il vecchio Clemente, standosene seduto su d'una panca di una delle cappelle leggeva il breviario sotto voce dicendo un'antica preghiera.
Don Livio, abituato a luoghi piccoli, nonché mai provando l'esperienza di celebrare messe in imponenti chiese, restò a disagio, vivendo un'esperienza che l'emozionò.
Era mezzogiorno, un sole cocente illuminava ogni singola zona della grande spianata quando i due amici camminavano lungo un sentiero abbellito da piante, per lo più profumate. I due si misero comodi sedendo su una panchina, ed il vecchio Clemente, comprendendo la volontà di Livio nello stare in silenzio, iniziò lui col proporre un argomento di cui dibattere.
– "Ne è passato di tempo da quando ti vidi l'ultima volta, vecchio mio amico. Non pensavo venissi qui a trovarmi in questa maestosa chiesa. Cosa ti porta qui?"
– "Vedi... amico mio, son passato di qui tante volte, e sapevo della tua presenza come membro della Chiesa, che oggidì decisi di rivederti. Son anni che mi dirigo spesso in una cappella nella pianura qui vicina."
– "Un giorno un uomo di mezz'età arrivò bussando alla porta della chiesa, e diceva d'aver usurpato una cappella. È il motivo che ti porta qui?"
– "In verità sì." – confermò Don Livio.
– "Quell'uomo voleva che gli perdonassi le sue pecche siccome privò la chiesa dei suoi beni per venderli guadagnando un po' di soldi per la sua anziana madre.
Abbandonò anche la sua compagna. In ogni modo, l'aiutai. Ma vieni... è il momento del "gioco" quotidiano, è l'ora degli scacchi! Seguimi... nel mio studio."
– "Sono un appassionato di scacchi, amo questo gioco da quando ero bambino, e sono ansioso di una partita." – commentò Don Livio, che nel frattempo seguiva ogni singolo passo del suo vecchio amico.
Giunti nello studio dell'altro anziano prete, l'amico cacciò da un armadietto del seicento un'antica scacchiera, e poggiandola sul tavolino di gioco, s'apprestarono a disporre nella posizione inziale trentadue pezzi. Don Livio giocava con il nero; Clemente, invece, si ritrovò le pedine bianche davanti. La partita giocata, vinta ovviamente da Livio, fu completamente identica a quella combattuta tra il grande Paul Morphy, che giocava muovendo i pezzi neri in quell'occasione, e Jules Arnous de Rivière, che giocava muovendo le pedine di gioco bianche.
– "Ma come... sai sempre trovare la soluzione più adeguata... conosci le strategie che portano alla vittoria... hai studiato le tattiche di gioco meglio di quanto ne sappia io... sei un genio!"
– "Non sono un genio, son solo Don Livio, un uomo di nobili origini, che non volle mai porsi come avaro al prossimo, ma gentile e comprensivo."
– "Io la stimo molto, lei mi stupisce ogni volta che la sento aprir bocca."
- "Perché mi da del lei?" - domandò Livio senza accorgersi d'averlo fatto anche lui.
– "Suppongo che v'è stima a vicenda."
– "Interessante, sì... arguta osservazione ammirevole decisione."
Era giunto il tempo che Livio e Clemente si separassero di nuovo. Toccava ad ognuno prender la propria strada, e così accadde, che i due, non appena un saluto conclusivo, non s'incontrarono mai più, almeno in questo mondo.
La cappella comunicava con un boschetto di ovviamente piccole dimensioni, e Don Zunino Livioncello scavò in quel posto una buca ampia e profonda, nella quale mise il corpo esanime del signor Bandito (o Mendicante)
Dopo una preghiera e l'abituale segno di croce, il vecchio prete si scotolò quella terra o dicendo meglio, fango di dosso, salendo nuovamente sul suo asinello, dirigendosi alla cappella.
Una volta giunto alla fatidica cappella, il nostro Don Livio vide un semplice caos: le antiche raffigurazioni di gente divina erano rovinate e le poche seggiole disseminate a casaccio nel piccolo ambiente, evidenziavano uno spazio non più ai suoi splendori inziali. L'unica cosa che si salvò da una tale tragedia, fu l'altarino antichissimo. Poveretto il Don Zunino Livioncello, tutto il suo sforzo per sistemare la cappella si rivelò apparentemente vano. Nel mentre si diresse alla cappella un bambino intento a sedersi su un gradino del piccolo edificio. Portava con sé due caprette al pascolo che, una volta lasciate libere, iniziò l'accoppiamento.
– "Chi è lei! – esclamò il giovane. – Come ti permetti tu di macchiar il buon nome di Dio. Ti rendi conto di quel che hai fatto con la tua sciocchezza!"
– "Ragazzino... – disse il vecchio Don Zunino. – sono come mi vedi, e non mi è passata l'idea in mente di far la sciocchezza che tu intendi."
– "Giustissimo! Chi è l'autor d'un tal delitto?" – chiese il giovine.
– "So chi è stato, me l'ha detto il mio amico, ma non conosco quest'uomo."
– "Chi è il tuo amico?" – domandò il bimbo.
– "L'uccellino che vedi volar di lì."
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DON ZUNINO LIVIONCELLO
FantasyDon Zunino Livio è un vecchio prete che si ritrova a vivere esperienze a dir poco inspiegabili e stravaganti. Come condizioneranno la vita del nostro caro padre? Saranno solo fonte di follia o messaggi di chissà quale divinità? Buona lettura!