CAPITOLO 7 - I due ladroni

3 1 0
                                    

In Francia, due poveri italiani ch'abitavano in quella nazione, se la spassavano conversando lungo le vie di campagna. I due non avevano né casa né soldi, e camminavano vedendo, tra monti e vallate, un minuscolo paese arroccato su d'un colle. Uno dei due, che si chiamava Ludovico, ipotizzò al suo compagno di non andare sprecando energie in un paese abbastanza povero, giacché in un posto così all'apparenza, era impensabile che i due guadagnassero qualche soldino snello.

- "Non voglio andare chissà dove, - iniziò Tonino, l'uomo che andava con il signor Ludovico. - dobbiamo dapprima trovare lavoro in posti piccolini, persino sperduti. E poi, se noi volessimo andar a Lione, per avere vantaggi di trovarlo dovremmo spostarci camminando a lungo.

Camminando a piedi, muovendoci per chilometri, saremmo defunti nemmeno a metà strada!"

- "Penso che tu abbia ragione, - disse Ludovico. - ma se sei un uomo coraggioso e determinato, che si pone degli scopi, dovresti cercare sempre il meglio, non il peggio."

- "Io voglio e devo prima iniziare da piccoli sgobbi, per poi guadagnare un bel po' di soldi, e dirigermi in città."

- "Se non c'è altra soluzione, andiamo in campagna."

- "Vada per la campagna!" - disse Tonino, che camminò con Ludovico al paesello arroccato sul colle dinnanzi ai due.

Tuttavia, andando al paese, e passando un antico arco a tutto sesto che conduceva ad una piazzetta con una chiesa sulla destra, non trovarono anima viva. Ludovico, sentendosi a disagio, disse: - "Non c'è nessuno qui."

- "Io non penso.

Vedo del cibo nelle case." – replicò il suo compagno.

Ludovico disse a quel punto: - "Rubiamo quel che si può."

- "Sei un pazzo. A quel paese la mamma che cagò quella zucca che hai sulle spalle!" – enfatizzò Tonino.

E Ludovico non si trattenne all'insulto: - "A quel paese la mamma che cagò quella bocca che ti ritrovi!"

Ludovico camminò andando all'uscio di una delle case sulla sinistra, opposte alla chiesa. Rompendo la porta lo passò, cacciando quel che trovò in bella vista: pochi spiccioli sul tavolino, che subito lo condizionarono, e del cibo caldo, mettendo dapprima quello contenuto nei piatti nella padella, poi portando la stessa nella piazzetta poggiandola su d'una panchina.

Anche Tonino, seguendo Ludovico, si convinse a portar via qualcosina, ma non troppo, e sedendosi su quest'ultima mangiò il cibo con un cucchiaio che teneva sempre a portata di mano, da permettersi ogni volta una posata. I due, una volta compiuto il colpetto, andarono ad un grande albero che dominava nella ricca spianata. Questo era un albero di mele, dalle quali i due birbaccioni rimasero sfami.

– "Ah... che sofferenza mangiare la frutta!"

– "Ti capisco." – disse il Tonino.

– In ogni modo abbiamo mangiato tanto sino ad ora."

– "Porcana! non ho mangiato in tal modo da quando mamma m'allattava!"

– "La fame è fame!" – "Forse non te l'ho mai detto, ho una moglie giovine, anche lei tanto povera. Sfortunatamente è rimasta gravida... ti saluto.". Ludovico, dopo aver salutato l'amico, se n'andò via con sua moglie, che l'aspettava.

Tonino, invece, andando in Provenza, giunse ad una cappella, governata da un cappellano.

Quando il vecchio prete portò con sé il Bandito, personaggio alquanto affascinante, morì, giacché il suo cuore non resistette più a tale fatica. In quei giorni, Don Livio, era andato in Francia ancora una volta a ritrovare quella cappella, poiché spesso capitava che venisse usurpata (come detto pocanzi) d'alcune sue insignificanti ricchezze, ma molto importanti per il vecchio prete. Ma subito l'abbandonò, giacché contava su Tonino, che venisse da lui protetta. Prima d'andarsene raccomandò a Tonino, oramai cambiato, di vigilare specialmente su di alcune cose, ma non appena andò via, Tonino, abituato di già a rubare, svuotò tutto il piccolo edificio, tenendo con sé quello che gli parve più utile. Don Livio, casualmente, avendo una visione in sogno, vide anche la monaca, che gli raccontò di tutto. Tornò alla chiesetta in men che non si dica e, leggendo un biglietto con la scrittura di tale signora, comprese una cosa assai rilevante: tutto quello che aveva visto e dimenticato (cose narrate all'inizio della narrazione) avevano una moltitudine di significati, ossia: quell'evento che accadde durante la prima messa che v'ho raccontato, penso che anche il gentile lettore l'abbia compreso appieno.

Ma una lettura più attenta, poteva far comprendere che una delle tantissime osservazioni della monaca era alquanto errata (se lei si sente peggio non è Dio). Secondo una delle tante dichiarazioni della monaca in sogno, andata prima di lui in Paradiso, Dio premierà, portando nel Regno dei Cieli, solamente chi s'angoscia, e chi cerca insistentemente, ottenendo risultati talvolta buoni, talvolta cattivi, di vivere una vita serena; e il prete, angosciandosi tanto, ha quasi la certezza d'andarci. Un giorno l'assai distrutto Don Livio, tra mille pensieri e tra mille parole, andò in Paradiso, e lì restò per l'eternità. Ah, povero Don Livio, che non ha potuto godere di una vita normale! Eppure, non si può avere di tutto dalla vita, ma bisogna aspettarsi di tutto, no? Il Paradiso è un luogo assai complicato, tuttavia là ritrovò alcune delle sue più importanti compagnie in vita: la monaca.

La signora, spesso presente nell'inizio del mio romanzo, di cui mai ho dato notizie dettagliate, aveva una storia molto simile a quella vecchio prete Don Livio.

La famosa monaca, o meglio dire Graziella de Amicis, s'appassionò a Dio un po' per pretesto.

Mi spiego, quand'aveva trent'anni ne visse d'esperienze che potevano essere paragonate pressappoco a quelle del vecchio, eppure qualcosa cambiò drasticamente: se Don Livio non perse mai la fede in Dio, lei la perse più volte, ma diventò comunque monaca affinché Dio la rendesse immune a tutte queste situazioni che viveva quasi ogni giorno.

Quindi lei, un giorno, stancandosi del tutto di questa vita, decise una volta e per tutte di cedere alle tentazioni di Dio. In un primo momento la futura monaca non s'interessava affatto della comunità ecclesiastica; ma poi, ragionandoci su, capì ch'era meglio per lei, per i suoi genitori, e persino per Dio, farsi appunto monaca.

Lo fece per non avere più problemi, nonché per vivere una vita serena come si suol dire in grazia di Dio. Si potrebbe pensare, riflettendoci un poco, che la monaca, vivendo pressappoco le stesse esperienze di Don Livio potesse avere anch'ella riservato lo stesso posto che aveva il prete. Ma, in realtà, la vecchia monaca meritava molto di più, poteva difatti definirsi una grande mente pensante, che come tutte le menti pensanti, oltre ad avere un'immensa, ma allo stesso tempo delicata curiosità, possiedono anche un cosiddetto spirito critico, capace per chi lo possiede di mettere in discussione ogni cosa, anche per poi considerarla vera e giusta.

Una notte, Tonino stava dormendo come un ghiro quando d'un tratto vide in sogno avanti a sé il buon Don Livio che, parlandogli della sua improvvisa morte, gli raccomandò di tornare alla Cappella poiché v'era nascosto qualcosa al di sotto dell'altare. Tonino, a primo impatto e strafottente qual era non ascoltò il trapassato; ma poi, con dei possenti mal di testa che dominavano quasi ogni giorno, decise di recarsi a sentimento di nuovo alla cappella ove lesse un biglietto posto veramente al di sotto dell'altare, che diceva con estrema precisione ciò che venne detto dalla monaca al vecchio prete tempo prima.

Tonino pianse casualmente leggendo una descrizione che lo commosse del Paradiso.

Sapeva che la descrizione che lesse somigliava molto a quella che le era stata raccontata da Livio quand'era ancora in vita.

DON ZUNINO LIVIONCELLOWhere stories live. Discover now