Leoni

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"Aspetta, Ale..."

Gianluca fu il primo a staccarsi da quel bacio, e io feci altrettanto, interrogandolo con lo sguardo, spingendolo a darmi una spiegazione per quell'interruzione.
"Se continuiamo così, finisce male" disse, imbarazzato, portando una mano dietro la sua nuca.
Io non potei fare altro che accompagnare quella risata.
"Hai ragione" ammisi, storcendo un po' la bocca, perché comprendevo bene quella sua difficoltà.
Sospirai trattenendo il fiato qualche istante, prima di riportare gli occhi su di lui. Il calciatore tornò ad avvicinarsi, questa volta per stringermi in un abbraccio, e io mi posai con la testa contro il suo petto, godendo del suo profumo.

"Senti, perché non vieni a pranzo da me?"
Alzai gli occhi verso di lui, annuendo. "Va bene, avverto che non torno, allora."
"Andiamo." Mi porse la mano, che strinsi nella mia, intrecciando le dita con le sue, e tornammo in macchina.

"Insomma, non vivi da sola?" La deduzione doveva essergli arrivata dalla mia necessità di avvertire chiunque ci fosse con me a casa, e io scossi la testa, tenendo lo sguardo sulla strada.

"No, siamo io e mia sorella."

"Lei mi sa che l'ho vista in qualche tua foto, siete identiche! Ma non siete gemelle?" La domanda me la porse guardandomi, e io prontamente spinsi contro la sua guancia per riportarlo con gli occhi sulla strada, divertita.

"Guarda la strada, che lo sai che succede, se famo l'incidente..." e il proseguo di quella rima era "muore solo il conducente", ma non ero sicura che lo sapesse. "Comunque, no, è un anno più piccola."

"Allora, ogni tanto parli anche romano," sbuffò una risata ed io mi limitai a scuotere le spalle, ancora sorridendo. "Ed anche due gatti."

"Sì, ci sono anche loro," annuii sbuffando una risata, "Gandalf e Galadriel. Papà diede il nome al primo e, per rimanere coerenti, abbiamo scelto un altro personaggio del Signore degli Anelli per il secondo."

"Pensa, io non l'ho mai visto."

"Questo perché sei pessimo," ammisi sollevando un sopracciglio per prenderlo in giro, e lui mi guardò fintamente contrariato, senza ribattere.

In poco, arrivammo a destinazione. Il suo appartamento si trovava all'ultimo piano di un palazzo moderno, bianco e illuminato al suo interno dalle grandi finestre corrispondenti ognuna ad un balcone. Il suo era perimetrale, circondava l'intero edificio, e la luce che proveniva dall'esterno lasciava risplendere le striature nere e grigie del marmo bianco sul pavimento.

Quando arrivammo, mi fece accomodare nel salone, un open space che inglobava anche la cucina.
Tutto, al suo interno, era sui toni chiari, dalla penisola in acero al divano in alcantara beige, alle pareti e gli infissi bianchi.

"Lo sai che non cucinerò davvero e che, al massimo, possiamo ordinare qualcosa, sì?"
Rise chiudendo la porta alle sue spalle, prima di raggiungermi.
Io scossi la testa, voltandomi verso di lui, prima di prendere il suo viso tra le mani e posargli un bacio sulle labbra.

"Dai, cuciniamo insieme, ti aiuto io."
"Mmh, va bene. E che cuciniamo?"
"E che ne so? Che hai in casa?"

Lui scosse le spalle e, dopo avermi presa per mano, mi portò in cucina a frugare tra le dispense ed il frigorifero. Tutto quello che trovammo fu della pasta, qualche barattolo di salsa di pomodoro, pesto ed altri sughi pronti, ed un paio di birre.

"Ma ogni tanto fai la spesa?"

Quella domanda mi venne spontanea, davanti ad un frigo praticamente vuoto, dal quale tirai fuori una salsa ai funghi.

"Solo quando capisco di non avere alternative. Di solito, o mangio a Trigoria, o ordino da qualche parte."

Ascoltando le sue abitudini, capii quanto i nostri mondi fossero diversi. Non vivevo in una condizione disagiata, anzi, ma nonostante ciò non era minimamente pensabile, per me, mangiare ogni giorno fuori o, ancora, ordinare ogni sera da un ristorante diverso. Per lui, invece, quella era la normalità.

"Almeno sai dove sono le pentole?"
"Si, quello si."

Aprì il più grande dei tre cassetti posti sotto i fornelli, e da lì tirai fuori una pentola, che riempii con l'acqua, prima di metterla sul fornello.

"Ed ora aspettiamo."

Sospirai voltandomi verso di lui, prima di stendere le braccia ed incrociarle dietro il suo collo.

"Che vuoi fare, nel mentre?"

Sembrava inconcepibile, per lui, rimanere con le mani in mano solo ad aspettare, tanto da dover subito cercare qualcos'altro da fare.

"Tu che fai, di solito?"
"Gioco a Fifa."
"E giochiamo, allora."

Ridei, mentre lui rimase positivamente sorpreso, così raggiungemmo il divano e, dopo aver avviato la Playstation ed il gioco, mi porse il joystick.

"Allora, io ci ho giocato due volte in vita mia ed a livello dilettante, quindi vedi che puoi fare."
"Cercherò di non umiliarti troppo."

Gli diedi una spallata scherzosa, decisamente attutita dai suoi muscoli, ed iniziammo la partita. Il miglior risultato che ottenni fu di perdere 4 a 1 e, tra una partita e l'altra, riuscimmo anche a finire di preparare la pasta.

Ci sedemmo al tavolo di cristallo davanti ad una delle grandi finestre, con due piatti fumanti di pasta davanti a noi. Guardandoci, sorrisi, rendendomi conto di quanto mi sentissi a mio agio con lui. Quel pranzo, così semplice e familiare, mi fece capire che forse c'era più di una semplice amicizia tra noi due.
Era come se ogni gesto, ogni sguardo, ogni sorriso avesse un significato più profondo.
E mentre assaporavamo il cibo, sapevo che quel momento sarebbe stato solo l'inizio di qualcosa di speciale tra me e Gianluca.

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(Canzone del capitolo: Leoni - Francesca Michielin ft. Giorgio Poi)

Gialla come il sole ☀️ Gianluca ManciniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora