AUSTIN

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Adesso dove vado?
Senza ma, senza se, senza te
Amore dispеrato
Lo sai meglio di me, che sеi meglio
Che non sono in grado
Che frase stupida
Ti chiedo scusa ma, lo sai
A volte è complicato
È inutile che ti difenda da me.

Achille Lauro


ANNI PRIMA

<Cos'è questa lettera?>

<Niente>

<Ecco appunto non è niente, perché tu non sarai mai niente>

<Oh, buon compleanno Austin>

E' il mio diciottesimo compleanno, ed ho appena accettato la mia condanna, su un foglio ho un indirizzo, non ho ancora la moto, quindi mi tocca prendere l'autobus, vestito elegante e faccia perversa, proprio come mi ha detto lei.

Ho appena diciotto anni, e non so quanto tutto questo mi possa rovinare, non so quanto tutto questo possa uccidermi dentro, lentamente, sempre di più. Ma io rispetto sempre le parole date.

Ho appena diciotto anni e davanti a me ho una donna di almeno venti in più, è una bella donna, distinta ed elegante, ma negli occhi, quegli occhi erano strani, troppo esperti per uno sguardo giovane come il mio. Ma io rispetto sempre le parole date, ed eccomi qui, con le mani pronte a toccare quel corpo consumato dal tempo e ricoperto di pizzo e seta.

Il letto è grande, la camera piena di tendaggi rossi e i vetri grandi. Sono spaventato e confuso, ma cosa vuoi che sia? mi continuo a domandare mentre quella pelle umida mi imbratta il corpo. Lo faccio per te pulcino. Continuo a ripetermi mentre il suo seno cadente sbatte contro il mio petto.

Ho diciotto anni e al posto di passare una notte con una bella ragazza, magari della mia età o anche più piccola, mi trovo a passarla a soddisfare le voglie malate di una donna adulta, quelle mani mi stanno strappando via l'anima, ed io lo so, che le sentirò addosso per sempre, ma io rispetto sempre le parole date.

E' solo per renderla felice. Continuo a ripetermi mentre affondo dentro di lei, colpo dopo colpo.

Ho diciotto anni e sono distrutto.

Ho diciotto anni e sono qui a spiegarti che non è colpa mia, Tessa te lo giuro non è colpa mia, io ti amo.

Ho diciotto anni, tessa non mi crede, dice che sono un perverso, malato e schifoso.. è talmente sicura di quello che dice da farmi credere che ha ragione.

Ho diciotto anni e sono solo.

PRESENTE

Ventiquattro anni, ed il cuore di un morto.

Ventiquattro anni e l'esperienza di almeno venti in più, la cattiveria di chi ne aveva subite tante e fatte subire ancor di più.

Ventiquattro anni e già sei anni di sfruttamento, di sesso sfrenato ed impuro.

Ventiquattro anni di lotta contro i demoni che ormai non mi lasceranno più.

Ventiquattro anni vissuti come se non fossi mai realmente nato.

Non piangevo mai, non mi mostravo mai debole, avevo imparato ad incassare, a raccogliere sotto la pelle i lividi di una vita non dettata da me, avevo la rabbia nelle vene e il nero negli occhi. Ero un illuso, appeso ad un fascio di arcobaleno che in fondo sapevo non sarebbe mai stato mio, eppure in quel momento avrei voluto piangere fino ad addormentarmi e magari risvegliarmi con un altro viso, un altro copro ed un altro nome.

La odiavo, la odiavo perché era talmente bella da annebbiarmi la vista, da distogliere la consapevolezza del marcio che ero e che avevo intorno, la odiavo perché non volevo vedere quella delusione negli occhi, ma lei non mi aveva creduto, era dannatamente testarda, la odiavo perché non aveva paura di me, la odiavo perché l'avevo persa senza mai averla veramente. La odiavo, e odiavo la vita, perché lei esisteva, era sempre esistita, l'avevo immaginata io, in quella lettera, in quelle parole piene di lei, non c'era scritto il suo nome, non poteva esserci scritto il suo nome, ma c'era la sua musica, i suoi colori, i suoi occhi ed il suo sorriso. Lei era la protagonista, lei era quella persona che stavo immaginando prima di entrare in quella casa, e cazzo, per quello mi faceva così paura, perché dal primo giorno, dall'esatto momento in cui i suoi occhi arcobaleno hanno intercettato i miei, io avevo capito, avevo capito che lei sarebbe stata quella persona a cui avrei fatto male, a cui avrei dovuto chiedere scusa e a cui non avrei mai dovuto smettere di ringraziare. Speravo di non dover mai mandare via l'unica parte vera e sincera che mi teneva aggrappato alla vita, sapevo che il mio destino era quello, e lei doveva ascoltarmi, doveva scappare da me, prendermi a schiaffi, urlarmi di farle schifo, invece no, nonostante tutto, in quel frangente dove ci stavamo dicendo addio, in silenzio, in un modo solo nostro, sentivo tutto l'amore che lei provava per me, sentivo quanto male le stavo facendo e quanto male lei avrebbe ancora sopportato, l'avevo cacciata via per paura, paura di sentirmi dire che l'avevo delusa, che aveva capito male su di me, ero stato un codardo, un vigliacco, avevo lasciato la mia vita in mano a mia madre e a Tessa, l'avevo fatto ancora, avevo permesso loro di portarmela via.

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