Capitolo 3

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"Co... come?"

Doveva aver capito male, gli era sembrato che suo padre gli avesse appena detto di doversene andare.

"Devi lasciare il villaggio."

La voce non era salda. Aveva un leggero tremito di sottofondo, e la mano callosa aveva lasciato la presa sulla sua spalla.

"Padre, questa volta dovrai trovare le parole per spiegarti meglio."

Non gli si era mai rivolto con quel tono duro, ma sentiva qualcosa nelle viscere, una sensazione strana che lo stava facendo tremare. Al pizzicorio si stava aggiungendo uno strano miscuglio di rabbia, paura e delusione.

Fin da quando il capo villaggio lo aveva adottato, si era sentito sempre protetto da quella figura zoppicante, dallo sguardo serio e di poche parole. Quel volto, dal colore simile ai tizzoni bruciati dal fuoco e solcato da profonde rughe, gli aveva sempre infuso sicurezza coi suoi tratti spigolosi. Ora, per la prima volta, si sentiva abbandonato.

"Hai ragione, ti devo una spiegazione migliore. Dammi solo un momento per soppesare le parole."

Tornò a guardarlo e in quegli occhi neri, in cui di solito leggeva forza, ora c'era qualcosa di diverso. Sembravano quasi liquidi, come...

Come se stesse per piangere?

"Figliolo, quando qualcuno scopre di avere il dono della magia non può buttarlo via. Deve iniziare a studiare per imparare a gestirlo, diventare apprendista di uno stregone e mettere al servizio della gente il suo potere. Queste cose non me le ha dette lo stregone Osaren, come non ho dovuto attendere il suo arrivo al tuo capezzale per sapere cosa ti fosse successo. Sai che ho perso la gamba nella guerra al confine con gli elfi, decenni fa, quando ancora le quattro piaghe non esistevano e una sottile striscia di terra sembrava così importante da doverci ammazzare."

La mano del padre adottivo tornò a sfiorargli la spalle mentre sul volto calava quell'ombra che sempre lo oscurava quando parlava della guerra.

"Lì ho conosciuto molti stregoni. Grazie alle chiacchiere condivise con loro, avevo già capito cosa si era manifestata in te. Quando Osaren è arrivato al tuo capezzale e ha chiesto di potermi parlare in privato, non mi ha colto impreparato."

Cercò di immaginarsi il padre adottivo che si perdeva in chiacchiere con i commilitoni, ma non ce la fece. Alcuni anziani del villaggio gli avevano detto che, prima del ritorno dalla guerra, suo padre era stato un ragazzo che amava la compagnia e in grado di attaccare discorso con chiunque. Lui però non era mai riuscito a immaginarselo così.

"Ero pronto anche alla successiva richiesta, quella di prenderti come apprendista. So che questa è la prassi, per poter studiare e imparare a usare il proprio dono. Non mi preoccupava. Osaren abita in un villaggio vicino, non ti saresti spostato di molto."

Il tono burbero del padre si era addolcito man mano che la frase terminava e ora lo fissava con occhi incerti.

"Non mi sembra una soluzione così terribile. Conosco il villaggio di Osaren, si trova a meno di due giorni di cammino."

"Ma non mi ha fatto la proposta che mi aspettavo. Mi ha spiegato che tutti gli stregoni possono... non so se riesco a spiegarla bene, comunque possono udire la magia degli altri stregoni, differente in ciascuno. Quella che ha percepito in te è forte, talmente forte che lui non può prenderti come suo apprendista. Non saprebbe insegnarti a sfruttare appieno un'energia di questo tipo."

"Quindi... posso restare qui?"

La mano strinse la spalla con una tale violenza da strappargli una smorfia di dolore.

"Purtroppo, ha detto che quelli con un dono come il tuo devono essere inviati a una scuola apposita, una scuola di magia, gestita dal governo dei re degli uomini. Nelle Terre Centrali."

Un brivido gelido percorse il corpo del ragazzo.

"Le... Terre Centrali?"

Il padre annuì, sforzandosi palesemente di tenere gli occhi fissi nei suoi senza distogliere lo sguardo.

"Padre, io... sono uscito una manciata di volte dal villaggio, non sono mai uscito dalle paludi. So a malapena che ci troviamo in quelle che chiamano Terre del Sud, come posso... io... dove... quanto distano le Terre Centrali? Dove sono? Non lo so nemmeno."

"Lo stregone ha detto che dovrai innanzitutto arrivare a Mirian, la prima grande città fuori dalle Grandi Paludi, dove presentarti a una caserma del re e farti registrare come mago. Questo ti concederà un permesso per raggiungere la scuola di magia, grazie a cui potrai trovare vitto e alloggio lungo il cammino. In tutto, Osaren pensa serviranno un centinaio di giorni di cammino, anche se probabilmente il permesso ti permetterà di ricevere passaggi dalle carovane militari e accorciare il percorso."

Il pizzicorio nelle viscere iniziò a ribollire, dando voce alla sua agitazione.

"Un centinaio di giorni di cammino? Con una tale distanza, non potrei mai fare ritorno! Padre, io non voglio andarmene. Qui sono cresciuto, prima coi miei genitori, poi con te. Qui c'è la mia casa, i miei amici. Qui ci sei te. Io non ti lascio solo!"

Man mano che parlava, la sua voce aveva preso una nota stridula, arrivando quasi a emettere un flebile fischio di sottofondo. Iniziò a prendere grosse boccate d'aria, come se avesse il fiatone.

"Figliolo, Osaren mi ha spiegato che portare a termine gli studi nella scuola di magia non è diventare un semplice stregone. Sono pochi gli studenti della scuola, chi ne esce assume un grado simile a quello di un nobile, può entrare tranquillamente nella corte del re. Io non ti terrò a marcire in questa palude quando hai un'occasione simile."

"Ma a me non interessa. Io qui sto bene, sono felice. Io..."

"Quando tua madre era in punto di morte, le ho promesso che mi sarei preso cura di te. Non verrò meno tenendoti egoisticamente qui, rinchiuso nelle nebbie della palude, ignaro persino di cosa ci sia oltre."

"Ti ho detto che non mi interessa! Devi tenermi qui, devi..."

"Osaren ha anche detto che, non gestito, il tuo potere potrebbe implodere, diventando pericoloso anche per noi. Se non te ne andrai di tua volontà, userò questo come scusa per cacciarti dal villaggio!"

Gli occhi erano tornati a fissarlo come sempre, senza esitazione. La mano callosa restava salda sulla sua spalla. Aveva parlato a lungo, come poche volte prima di allora, ma alla fine erano quegli occhi e quella presa a dirgli più cose di tutte le sue parole.

Perché in quella presa salda, in quei calli ruvidi, sentiva tutto l'amore che provava per lui.

In quello sguardo, in cui ti sembrava di poter sprofondare avvolto da quegli occhi lagunosi, leggeva tutto il peso di quella decisione.

In quel volto duro, simile a una roccia solcata dai venti e dalle tempeste, vedeva che stava imponendogli una scelta che a lui per primo faceva male.

In quella figura che ora stava al suo capezzale, silenziosa, sentiva più parole che qualunque frase. Ti voglio bene, anch'io ti vorrei qui con me, ma sono pronto a sacrificare tutto me stesso per farti vivere una vita migliore.

Sentì questa frase risuonargli nelle orecchie, come se il padre adottivo avesse parlato a voce alta, e comprese davvero, comprese totalmente, che non lo avrebbe convinto.

Avrebbe dovuto andarsene.

Questa consapevolezza gli agitò lo stomaco. Il pizzicorio che ormai provava costantemente iniziò a vorticare, riempiendolo e vibrando lungo i muscoli. Si mescolò al suo dolore, alla sua rabbia, alla sua impotenza. La sentì mescolarsi a tutte le sue emozioni, divenendo un confuso insieme di sensazioni fisiche e mentali. Poi si ampliò, si ingigantì, facendogli sentire ancora più chiaramente ogni sua emozione, ogni sua sensazione, ogni odore che lo circondava.

Si sentì premere tutto questo sulle tempie, pulsando, battendo, colpendo.

Faceva male, era troppa.

Si portò di scatto le mani alla testa, come se stringendola avesse potuto spremere tutto quello e buttarlo fuori. Voleva liberarsene, farla uscire!

Come obbedendo a quel pensiero, sentì quell'energia vibrante andarsene dalla sua mente con l'energia di una cascata, scendere lungo il volto e arrivare al torace.

Riempì i muscoli, corse lungo le braccia, arrivò alle mani.

Poi esplose.

Lo Stregone delle Ombre - Il viaggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora