Capitolo 1

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Ergaf

Terre degli Uomini del Sud

Grandi Paludi

"Padre, è finita?"

Le labbra decrepite del capo villaggio si tirarono in una linea sottile. Era la cosa più simile a un sorriso che potesse ottenere dal volto squadrato del suo padre adottivo. Era sempre serio, con due occhi neri e piccoli che ti fissavano come per marchiarti a fuoco.

"Sì. Ho dato ordine di riaprire le case."

La stampella ticchettò sul pavimento di garanut, l'unico albero il cui legno poteva resistere in mezzo a quelle paludi senza marcire, accompagnando il passo strascicato dell'unica gamba rimasta.

"Sei stanco?"

"No, non troppo."

Mentiva. Conosceva bene suo padre; quando iniziava a trascinarsi dietro la gamba, usando come unico sostegno saldo la grossa stampella, era stanco morto.

Tagliò due generose fette di pane nero e le poggiò sul tavolo, assieme a una fetta di caciotta. L'aveva preparata lui stesso, col latte dei rolcopa al pascolo, le loro quattro zampe che sprofondavano nel terreno molle e le grosse corna che si agitavano nell'aria, come per scacciare qualche insetto non allontanato dalla coda sottile, posta al termine di quei grossi ventri squadrati.

Il padre si sedette senza una parola, tagliò una fetta di formaggio, la mise su una delle due fette e la porse al figlio adottivo. L'odore acido si sprigionò sotto il naso del ragazzo, facendogli brontolare lo stomaco.

"Mangio dopo, padre."

Gli occhi neri volarono su di lui prima di accompagnare il volto in un gesto secco verso la porta di casa.

Suo padre parlava poco, spesso per niente. Non amava usare le parole e preferiva le azioni. Negli anni aveva imparato a conoscerlo e sapeva bene che quel gesto del capo significava pressappoco: Mangia e zitto, poi vai coi tuoi amici. E lui, ansioso di poter incontrare i compagni, come lui prigionieri in casa intanto che gli adulti si erano radunati per discutere, obbedì rapido, ingollando il pane e formaggio e scattando all'aperto. Prima però diede un bacio sulla fronte ampia, bruciata dal sole, del padre, il quale rispose con un grugnito aspro che significava: Ti voglio bene anch'io.

Fuori, il Sole lanciava gli ultimi sprazzi di luce tra le palafitte che si ergevano sulle paludi, sprigionando un odore bruciato di legno umido lasciato troppo al Sole. Gli adulti avevano discusso a lungo e ora restava poco tempo prima che arrivasse la notte.

"Stecco! Stecco! Vieni, andiamo al pascolo!"

La voce squillante apparteneva a due ragazzine che saltellavano tra i camminamenti di legno. Rispose con un ampio gesto della mano al nomignolo con cui tutti lo chiamavano, dovuto al fatto che era il più alto e magro della compagnia, e le raggiunse saltando tra le palafitte. Insieme si lanciarono tra le case, presto raggiunti da altri amici.

"Ci siamo tutti?"

"No, ma gli altri non verranno."

Quegli scambi rapidi di frasi li riportò alla realtà e frenò il loro entusiasmo. Erano in otto. Gli altri cinque non sarebbero venuti.

Come a confermare quei pensieri, arrivarono davanti a una palafitta attorno a cui lavoravano diverse persone. Con martelli e leve stavano rimuovendo le assi che sprangavano porte e finestre. Fuori, un gruppetto di famigliari fissava impietriti quelle operazioni, tra cui uno dei loro amici.

L'ondata della piaga delle scosse era terminata. Le case coi contagiati, sprangate dall'esterno, venivano aperte e i famigliari potevano entrare, cercare i propri cari, constatare che, come sempre, il morbo non aveva lasciato sopravvissuti, e tentare di riniziare la vita per l'ennesima volta.

Lo Stregone delle Ombre - Il viaggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora