PROLOGO- Primo contatto

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Themistokli Maric si era sempre affidato con cieca devozione a ciò che i sensi gli restituivano della realtà che lo circondava. Se qualcuno provava ad accennargli anche solo vagamente a questioni filosofiche, eccolo che borbottava qualche frase sconnessa e si affrettava a cambiare argomento. Che se ne fa la gente di una cosa che neanche si può mangiare?

Quel che gli altri chiamavano "stupidità", lui lo definiva "buon senso". E, a conti fatti, la sua vita era proseguita in pace  anche grazie alla sua totale aderenza al più dogmatico empirismo: quindi, sapeva di essere dalla parte giusta della barricata.

Ma quando, quella fredda mattina di novembre, non venne svegliato dal suono della sveglia, ma da uno scampanellio insistente che proveniva dalla sua porta d'ingresso, forse a Themistokli Maric avrebbe fatto comodo una conoscenza o due sulle Grandi Domande della Vita: siamo soli nell'Universo? Esistono forme di vita intelligenti al di fuori della nostra?

Tuttavia, aveva troppo sonno anche solo per rendersi conto che qualcuno aveva interrotto il suo ristoro, figuriamoci per porsi simili quesiti. Si limitò a imprecare mentre inforcava le ciabatte e si calcava la palandrana infeltrita sulle spalle. Sua moglie Miriana grugnì qualcosa che somigliava a un "E chi è che rompe a quest'ora?", prima di rigirarsi nel letto.

Quando aprì la porta d'ingresso della sua villetta a schiera incastonata in un tranquillo viale alberato di una periferia di provincia come tante, l'aria fredda del mattino lo investì in pieno, le braccia vennero intirizzite da una leggera pelle d'oca. Sullo sfondo, incastrati tra l'uscio della porta e il cielo non ancora rischiarato dall'alba, c'erano due...

No, non avrebbe potuto definirli "esseri umani". O meglio, di sicuro qualcosa di umano lo avevano: due braccia e due gambe, per esempio. E una testa. Peccato che fosse tonda e completamente glabra. E anche in questo non c'era niente di male, in fondo. Anche Themistokli, d'altronde, era quasi calvo. Erano stati gli occhi dalla sclera completamente nera e il colore grigiastro della loro pelle a farlo insospettire.

Indossavano un completo intero bianco, il materiale traslucido rifletteva la luce dei lampioni circostanti. Tra le braccia, sorreggevano un casco integrale, il vetro nero impediva di vedere attraverso.

Lanciò un'occhiata al vialetto. Proprio in mezzo all'erba che aveva tosato la mattina prima, era parcheggiato un veicolo aereo, la forma di una scatoletta di tonno, tonda e schiacciata, i fili d'erba spezzati erano ripiegati verso l'esterno. La indicò con il dito. "Ehi! Questa è proprietà privata."

I due tizi parvero non averlo sentito. Sollevarono le braccia e dispiegarono un'orrenda e bitorzoluta mano palmata. Uno dei due aprì la bocca e, da essa, fuoriuscì una voce nasale, che farneticava una lingua che Themistokli non conosceva. In contemporanea, partì un'altra voce monocorde che proveniva da un quadrante che il mattiniero sconosciuto indossava al polso. "Bella, amico, come butta? Quindi tutto questo sarebbe tuo?"

Themistokli sbattè le palpebre un paio di volte. Certo che le nuove droghe in commercio erano davvero micidiali, se quello era lo stato in cui riducevano chi ne abusava. "Prima di tutto, non sono tuo amico. Seconda cosa, di bello qui non vedo proprio un bel niente. E terzo: sì. Tutto questo è mio. Perciò, prendete quella vostra," agitò il dito con insistenza in direzione della scatoletta di tonno. "Beh, qualunque cosa sia, e andate a disturbare altrove."

"Oh. Ci perdoni, signore. Non volevamo offenderla." Il tipo che aveva parlato si girò verso il secondo, quello più in disparte dei due. "Monroe," bisbigliò secco. Themistokli aggrottò le sopracciglia: tutto si aspettava, fuorché un nome come Monroe. "Avevi detto che il saluto degli umani era questo!"

Monroe fece spallucce. "Ma che ne so, in Willy il Principe di Bel Air si salutano così."

"Willy il Principe di Bel Air?"

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