Parte senza titolo 2

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Dopo il colpo di fortuna della battuta di Valeria, infatti, ne arrivò un altro ancor più grande, e invece delle giornate singole di sostituzione per cui venivano quasi sempre chiamati gli iscritti a quelle liste, a me toccò come primo incarico la sostituzione di una bidella entrata in maternità, il che mi garantiva da subito qualche mese di lavoro.

Lavoro che, fortuna nella fortuna, avrei svolto nel liceo dove l'anno prima avevamo iscritto Diego, ormai quattordicenne e, almeno così speravamo, destinato a un futuro migliore di quello del padre. Proprio a suo padre, ovviamente, non avevo più potuto tener nascosta la mia intenzione di lavorare, e se ero riuscita ad addolcirgli la pillola era proprio grazie al fatto di poter stare vicino a nostro figlio anche durante le ore di lavoro.

Pur essendo un buon istituto, il liceo che frequentava Diego e dove iniziai a lavorare era situato nel quartiere dove io e Marco eravamo cresciuti e dove ancora abitavamo, ed era frequentato quindi anche da ragazzi non proprio raccomandabili, figli di chi, probabilmente, nella vita aveva avuto ancor meno fortuna di noi. Al momento dell'iscrizione di nostro figlio, comunque, il preside ci aveva garantito che in quel liceo non c'erano che pochissime mele marce, e che comunque, in un modo o nell'altro, lui e i docenti erano sempre riusciti a tenerle sotto controllo.

La stessa cosa mi disse quando finalmente mi presentai a scuola per il primo giorno di lavoro, garantendomi che nei mesi a venire avrei lavorato tranquilla, a patto ovviamente di superare le prime due settimane di prova.

"Scommetto che in qualche altro istituto non mancherebbe qualcuno, nel personale docente o tra gli altri bidelli, pronto ad approfittarsi della situazione," disse il preside alludendo in maniera vagamente sinistra a un possibile ricatto ai danni della sottoscritta, che ovviamente aveva tutto l'interesse a far passare quelle due settimane senza entrare in contrasto con nessuno. "Comunque può stare tranquilla, non sono solo gli studenti a essere brave persone, ma anche noi che qui ci lavoriamo."

In quel momento non avevo alcuna ragione per non credergli, anche perché il preside era un distinto signore di più di sessant'anni, e mai avrei potuto pensare che con quella battuta potesse alludere a una minaccia concreta. Così come non lo pensai quando conobbi Marcello, il bidello che sarebbe diventato mio collega e che mi avrebbe fatto da guida in quei primi giorni di lavoro.

Anche grazie a lui, il mio inserimento nel liceo andò nel migliore dei modi, per me e anche per Diego, che dopo l'imbarazzo di avere la mamma sempre intorno anche a scuola, trovò conforto nel fatto che almeno non lavorassi al piano della sua classe, tanto che finimmo per vederci solo all'entrata e solo perché ero io ad accompagnarlo al liceo ogni mattina.

A dirla tutta un primo intoppo ci fu quasi subito, se intoppo si potevano chiamare i disegnini e le frasi oscene indirizzate a me che iniziarono ad apparire nei bagni dei maschi, di fianco a quelli altrettanto osceni dedicati alla professoressa Martini, l'unica tra le insegnanti ad avere meno di cinquant'anni, e una terza di seno simile alla mia e che ai ragazzini di quel liceo sembrava piacere parecchio.

Ogni volta Marcello si affrettava a cancellare scritte e disegni, e spesso sembrava quasi che fossi io a dover consolare lui, dicendogli che all'età di quegli studenti forse era normale che tutto girasse intorno al sesso.

"Purtroppo o per fortuna non solo alla loro età," rispondeva ridacchiando Marcello, e più di una volta l'avevo sorpreso a sbirciarmi le tette che il grembiule nero che usavo a lavoro non riusciva a nascondere, o a guardarmi il culo ogni volta che mi chinavo a raccogliere lo straccio con cui lavavo ogni giorno il pavimento del corridoio.

Marcello aveva più di cinquant'anni ed era sposato con una donna più anziana e con cui probabilmente non faceva sesso da anni, e nonostante i suoi complimenti non fossero mai volgari, per qualche motivo mi ero convinta che fosse un gran puttaniere. Come al solito Valeria diceva che non c'era niente di strano, e che se la moglie non aveva più voglia di prenderglielo in bocca non c'era niente di male nel cercare in giro qualcuna che gli succhiasse l'uccello al posto suo.

Tutto sommato lo pensavo anch'io, e forse era anche per non fare la fine della moglie di Marcello se continuavo a fare il possibile per non farmi trascurare troppo da Marco. Anche se, per quanto mi sforzassi di stuzzicarlo la sera sul divano appena Diego andava a letto, o di aspettarlo a casa senza mutande quando tornava a casa dal lavoro, le sue preoccupazioni avevano fatto sì che il sesso fosse diventato per noi ormai soltanto un ricordo.

Fu anche per quello che i complimenti che Marcello mi rivolgeva sempre più spesso iniziarono a dispiacermi sempre meno, e sentendomi lusingata forse più del dovuto non mi opposi neanche quando i suoi apprezzamenti iniziarono a farsi più espliciti. Finché un giorno, mentre mi cambiavo nello spogliatoio che usavamo a turno prima di tornare a casa, Marcello aprì la porta con qualche minuto di anticipo e mi sorprese ancora svestita, con solo un reggiseno a separare il seno che non smetteva mai di sbirciare da due occhi che di colpo sembravano infuocati.

"Scusa Milena, pensavo avessi finito," disse sforzandosi invano di staccarmi gli occhi di dosso.

"Tranquillo, mi manca un secondo," risposi infilandomi il maglione, senza notare nulla di malizioso nell'invasione di campo di quello che mai avrei visto come niente di più che un collega.

Ovviamente Marcello doveva vedere in me molto di più, e lo capii da come mi guardò mentre si accostava la porta alle spalle per restare da solo con me in quello spogliatoio. "Milena mia, che darei per vederle almeno una volta!" sospirò mentre continuava a fissarmi il maglione, come se riuscisse ancora a intravedere il reggiseno e le tette gonfie che nascondeva.

"Marcello, che dici?" ribattei sorridendo, e poiché era passato ormai più di un mese da quando l'avevo conosciuto e c'era ormai tra di noi una certa confidenza, pensai che quella fosse soltanto una delle battute che mi rivolgeva di continuo.

La bidellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora