Parte senza titolo 10

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Mentre tornavo a casa quel pomeriggio iniziai a chiedermi che razza di donna fossi diventata, e soprattutto che razza di madre, poiché quando svanirono gli effetti delle lingue dei bulli non potei non pensare a quanto fosse immorale da parte mia non solo concedermi a quelli che in fondo erano poco più che ragazzini, ma addirittura dispiacermi del fatto che mi fossi limitata a spompinarne uno invece di farmi sbattere da tutti e tre.

Anche se guardandomi allo specchio dopo la doccia avrei avuto una gran voglia di sputarmi in faccia, e anche se quella sera a cena non riuscii a guardare neanche una volta negli occhi né mio marito né Diego, quando il giorno dopo tornai a lavoro mi resi conto di non poter nascondere a me stessa come quella situazione mi eccitasse come poche altre cose mi avevano eccitato in vita mia, tanto che per tutta la mattina non pensai ad altro che a quando, nel giro di qualche ora, sarei rimasta di nuovo a disposizione dei tre bulli nello spogliatoio della palestra. Forse anche perché, a ben vedere, tre giovani uccelli da usare a comando erano pur sempre meglio di una fica da leccare controvoglia.

Visto com'erano andate le cose il giorno prima, quei tre avevano pensato bene di farsi una sega prima di presentarsi di nuovo davanti a me, che già senza pantaloni li aspettavo seduta sul banchetto che gli avevo detto di portare dal piano di sopra. Senza dovermi sdraiare per terra, mi bastò allargare le gambe per far sì che tutti e tre si avvicinassero di corsa, e mentre uno iniziò a farmi un ditalino, gli altri due mi presero una mano ciascuno e se la misero sul cazzo.

Sentendomi contro le mani quelle cappelle calde iniziò a ribollirmi la fica, e non volendomi accontentare anche quel giorno di una leccata, dissi ai ragazzi di tirare fuori il pacchetto di preservativi che gli avevo fatto portare insieme al banchetto. Dopodiché, non volendo ammettere che avevo una gran voglia di farmi trombare immediatamente, gli dissi che avevo un impegno e che se volevano scoparmi dovevano fare in fretta.

Ovviamente non potei nascondere anche i gemiti che mi uscirono di bocca quando il primo di loro, lasciandomi seduta a gambe larghe sul banco, mi spinse l'uccello nella fica, e capendo che anch'io mi stavo godendo quella scopata forse più del loro amico, anche gli altri due iniziarono a prendere coraggio. In un attimo sentii le due cappelle scivolarmi via dalle mani, e dopo che una mano mi spinse indietro la schiena fino a farmi sdraiare, me le ritrovai poggiate contro le labbra, e senza farmi troppi problemi iniziai a leccarle e a succhiarle a turno tutte e due.

"Senti come ciuccia, la troia!" disse uno dei due sorridendo agli amici, e il sorriso gli sparì dalla faccia solo quando gli afferrai le palle con una mano e iniziai a stringere.

"Chiamami ancora troia e te le strappo a morsi," gli dissi senza scompormi troppo, con una calma e una decisione che non lasciavano dubbi sul fatto che dicessi sul serio.

"Scusa, Milena, stavo solo scherzando," si affrettò a dire il bulletto, e quando finalmente allentai la stretta sulle sue palle gonfie, il poveretto rimediò anche un cazzotto sulla spalla dall'amico che stavo ancora sbocchinando. Il quale tutto voleva tranne che mi arrabbiassi e li lasciassi da soli a farsi le seghe come avevano fatto per buona parte della loro vita, almeno fino a quell'inaspettato regalo da parte del preside.

Un regalo che, a ben vedere, si era rivelato alla fine meno disastroso del previsto non solo per me, poiché grazie al mio intervento, se così vogliamo chiamarlo, avevo quanto meno contribuito a riportare l'ordine in quel liceo, mettendo al riparo dai tre bulli tutti gli altri studenti, compreso mio figlio.

Sollevata almeno un po' anche per quello, e finalmente rilassata dopo mesi di tensione, non solo grazie al sesso ma anche per il poter finalmente andare a fare la spesa senza dover chiedere soldi a mio marito, iniziai a perdere di mira quello che, per una donna nella mia condizione, quella di moglie un tempo fedele e comunque ancora innamorata, e soprattutto di madre, sarebbe stato giusto o non giusto fare.

Almeno finché un giorno, mentre raccoglievo i soldi dai tre bulli prima di farmi scopare e sborrare addosso come ormai li avevo abituati a fare, non riconobbi un cuoricino disegnato a penna sulla banconota che mi diede uno dei tre. Lo stesso cuoricino che avevo notato quella mattina su quella che avevo dato io stessa a mio figlio per comprarsi il pranzo e qualcosa per cena.

"Dove li hai presi questi soldi?" chiesi al ragazzo che me li aveva dati, e da come abbassò lo sguardo non ci fu bisogno che mi rispondesse. Come non servì altro per farmi finalmente tornare in me, e per capire che quella storia finiva lì e in quel momento.

La bidellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora