Parte senza titolo 5

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Quel primo obiettivo lo raggiunse comunque il giorno dopo, quando per l'ennesima volta mandai Diego a casa da solo per intrattenermi con il maiale che, dopo avermi messo in mano cento euro e avermi massaggiato il seno come aveva fatto il giorno prima, passò quasi un quarto d'ora a leccarmi le tette e a succhiarmi i capezzoli, fermandosi solo quando fui costretta a dirgli che a forza di succhiarli stavano iniziando a farmi male.

"Quando la leccavi a tua moglie m'immagino gli strilli," dissi a Marcello alludendo a una lingua che sembrava carta vetrata, e fingendo anche quel giorno di non vedere come nel frattempo avesse preso a massaggiarsi l'uccello.

Ora che anch'io non mi ponevo più il problema di stare attenta a quel che dicevo, men che meno a quel che diceva lui, accolsi con un sorriso la proposta di Marcello di farmi provare la lingua non solo sulle tette. Con un grandissimo errore di valutazione non mi scomposi troppo neanche quando m'infilò a tradimento una mano tra le cosce, e sperai solo che non si fosse accorto di come mi fossi bagnata di fronte a quello che era tutto sommato un bel cazzo in tiro. Proprio per distrarlo mi affrettai a dire che, come ormai doveva aver capito, ogni cosa aveva un prezzo, e che col suo stipendio da bidello una scopata con me probabilmente non se la sarebbe mai potuta permettere.

"Ho quasi trent'anni di anzianità," disse lui con un ghigno famelico, invitandomi a non sottovalutare il suo stipendio e precisando che per il momento si sarebbe accontentato anche di meno. "Dimmi, quanto vorresti per un pompino?"

"Adesso?!" chiesi dando un'occhiata alla sborra che aveva appena riversato sul pavimento, e che per qualche motivo, mentre pensavo che sarei stata io a doverla pulire il giorno dopo, mi fece bagnare ancora di più.

"Domani," disse lui continuando a ghignare, convinto ormai che qualsiasi cosa avesse chiesto l'avrebbe ottenuta.

"Scordatelo," ribattei mentre iniziavo a rivestirmi, dicendogli anche che gliene avevo date vinte già troppe, e che un conto era farsi leccare le tette, un altro diventare di fatto una bocchinara a pagamento.

Il ghigno non sparì dalla faccia di Marcello, che doveva essersi accorto di come la mia reazione fosse stata meno violenta del previsto. Tanto che puntualmente, il giorno dopo in quello stesso spogliatoio, mi ritrovai inginocchiata davanti a Marcello, con altri cento euro in tasca e la sua cappella gonfia a un centimetro dal naso.

La realtà era che per Marco la situazione si faceva ogni giorno più pesante, al punto che raramente riusciva a dormire più di quattro ore a notte, e di certo il mio lavoro di bidella part-time non avrebbe contribuito troppo a migliorare le cose e a garantire un futuro migliore a noi e a nostro figlio. Il quale, risentendo di una tensione che ormai non riuscivamo più a nascondergli, aveva anche iniziato a rimediare le prime insufficienze.

Sapendo di non avere alternative, e cercando in tutti i modi di convincermi che non c'era poi tanta differenza tra il farsi palpare il seno da un depravato e il succhiargli l'uccello, pensai a quanto Valeria sarebbe stata fiera di me e chiusi gli occhi mentre aprivo la bocca, richiudendola un istante più tardi intorno alla cappella gonfia e bollente di Marcello.

Prima d'iniziare gli avevo ricordato che assolutamente non poteva venirmi in bocca, eppure non mi stupii affatto se dopo appena due passate di lingua su quella cappella dura e ruvida come un limone sentii il primo schizzo arrivarmi sulla lingua. Di corsa mi sfilai quel cazzo di bocca, e senza fare in tempo a rialzarmi o a spostarmi di lato, mi ritrovai il viso investito dalla raffica di sperma che solo per miracolo non mi atterrò anche sui capelli o sui vestiti.

"Scusa Milena, non ce l'ho fatta a trattenermi!" disse lui prima che potessi mandarlo a quel paese.

Per farlo sentire più in colpa mi limitai a restare in silenzio e a indicargli la porta, e Marcello ebbe quanto meno la delicatezza di scusarsi non solo a parole, ma anche posando sul banchetto di fianco alla porta una banconota da venti per quel disturbo aggiuntivo.

Se solo avesse provato il disgusto che provavo io nel sentirmi sulla lingua il suo sperma, Marcello avrebbe saputo che di euro non gliene sarebbero bastati duecento, e ancor di più se avesse immaginato quanti altri problemi mi avrebbe causato con quel pompino.

Quando Marcello era uscito da poco più di un minuto, infatti, mentre stavo ancora pulendomi il viso dalla sborra che mi aveva spruzzato in faccia, la porta dello spogliatoio si riaprì di colpo. Quando mi voltai mi trovai di fronte l'espressione perplessa della professoressa Martini, la quarantenne che, oltre a insegnare matematica a Diego, eccitava da sempre gli allievi di tutto il liceo, e che proprio quel giorno si era trattenuta più a lungo del solito per parlare proprio con me.

"Mi dispiace, Milena, non pensavo di disturbarti," disse non senza imbarazzo, e con un'espressione che, dopo che aveva visto Marcello dileguarsi in fondo al corridoio, quando vide anche i venti euro sul tavolino si fece di colpo molto meno perplessa.

"Nessun disturbo, professoressa Martini," le dissi gettando via il fazzoletto intriso di sperma. "Anzi, non vorrei che si facesse un'idea sbagliata su di me."

Sul volto della professoressa comparve un sorriso, e per un attimo m'illusi che fosse un sorriso di solidarietà tra donne di fronte a quello che era chiaramente un abuso, l'abuso spregevole di un pervertito che si approfittava di me e delle difficoltà mie e di mio marito.

"Di solito non mi piace farmi idee su nessuno," disse la professoressa continuando a sorridere. "Però al posto tuo starei attenta, Milena, in un liceo si può essere licenziati per molto meno di questo."

Ovviamente avrei potuto inventare una balla per ribadirle che aveva capito male, che quei venti euro non me li aveva dati Marcello e che con quel fazzoletto mi ero soltanto soffiata il naso, ma così su due piedi non mi venne in mente niente che non rischiasse addirittura di peggiorare la situazione.

Notando il mio imbarazzo, la professoressa mi mise una mano sulla spalla e mi disse che in ogni caso mi aveva cercato per parlarmi d'altro. "Le insufficienze di Diego iniziano a preoccuparmi," disse prima di voltarsi verso il cestino dove avevo gettato il fazzoletto. "Ma credo sarà meglio parlarne un'altra volta."

Anche in quel caso non riuscii a non restare in silenzio, e quando parlai fu solo per chiedere alla Martini se per lei andasse bene il giorno dopo, magari prima dell'inizio delle lezioni.

"Domani riposo," disse voltandosi verso la porta. Dopodiché, lanciandomi un ultimo sorriso, mi disse di abitare a due passi da lì, e che quando volevo sarebbe stata lieta di offrirmi un tè.

La bidellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora