22 - Essere qualcun altro

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-Leila

Non appena le porte della sala del trono vengono spalancate dai due soldati di guardia, distolgo l'attenzione dalle mie unghie giusto in tempo per vedere Atlas entrare a passo svelto nella stanza. Il suo sguardo incontra subito la mia figura seduta al tavolo.

"Credevo fossi a letto", esordisce. "Manca ancora un'ora alla riunione".

Annuisco, distogliendo per un attimo lo sguardo dal suo volto. "Siediti, per favore".

Le mie parole lo portano a scrutarmi corrucciato. "Qualcosa non va?"

"Prima siediti".

Questo lo fa vacillare per un attimo e resta immobile, incerto sul da farsi, o piuttosto valutando mille possibili scenari nella sua mente in merito a cosa potrei confessargli di qui a breve. Alla fine si siede alla mia prossima destra, vicino al suo posto a capo tavola che stavolta ho occupato io.

Atlas non distoglie neanche per un istante l'attenzione dal mio volto e ciò, nonostante l'intruglio di Mikael abbia aiutato molto con la mia nausea, porta il mio stomaco a voltarsi e rivoltarsi di nuovo. Apro la bocca -improvvisamente asciutta- per parlare, ma non riesco a tirar fuori una singola parola.

"Mi stai facendo preoccupare, Leila", afferma allora mio marito.

Coi gomiti appoggiati sulla superficie del tavolo, nascondo il viso tra le mani. "Mi odierai", borbotto e la mia voce viene attutita dai miei palmi uniti.

"Leila", prendendomi delicatamente il poso, Atlas mi allontana una mano dal viso. "Ti scongiuro, parla".

Le sopracciglia dell'uomo sono incurvate, così come lo sono le sue labbra, leggermente all'ingiù. Sospiro, abbassando anche l'altro braccio e lasciando entrambe le mani premute sul tavolo.

"Ricordi che non ti ho mai detto in cosa consistesse la mia prova?"

"Certo che ricordo", replica con urgenza.

Annuisco. "Ti ho detto di aver visto mio padre, ma non era davvero mio padre... fingiamo che lo fosse, altrimenti sarebbe troppo complicato da spiegare".

"D'accordo..."

"Beh, la mia prova consisteva nel fare una scelta", spiego, sforzandomi di mantenere il contatto visivo con mio marito e cercando di non pensare a come a breve gli spezzerò il cuore, a come l'espressione sul suo volto si trasformerà da una confusa ad una ferita proprio sotto i miei occhi. "Mi era stato detto però che qualunque fosse stata la mia scelta, questa avrebbe avuto conseguenze nel mondo reale. Ora non so se sia vero o se sia semplicemente quello che mi ha fatto credere 'mio padre'".

"Cioè?"

"Avevo due opzioni. O portare indietro la mia famiglia, compreso mio padre, ma far sì che l'alleanza tra angeli e demoni non fosse mai stata stretta. Dunque io e te non ci saremmo mai incontrati-"

"Oppure?", Atlas mi incita ad andare dritta al sodo, con un cenno della mano, sapendo quanto me che non avrei mai considerato questa opzione.

A quel punto però, mi ammutolisco di colpo. Come si fa a dire a qualcuno che si è a conoscenza del suo destino? Come si fa a dire al proprio marito che la nascita di nostro figlio segnerà la sua fine? Come faccio a dirgli che non vedrà crescere il nostro erede per colpa mia?

"Oppure?", ripete, più insistente.

Mando giù il groppo che mi si è formato in gola, sentendo gli occhi pizzicare. Sbatto le palpebre un paio di volte, imponendo a me stessa di non piangere. Non ora.

"Oppure avrei avuto l'alleanza e un erede, con te ovviamente, ma tu..."

"Ma io?"

"Ti prego, non... non odiarmi", le lacrime mi inondano gli occhi e mi offuscano la vista, così che la figura del mio interlocutore adesso è non altro che una sagoma sfocata dei suoi lineamenti. I ricami argentati della sua uniforme diventano solo dei punti luccicanti.

"Non potrei mai odiarti", Atlas stringe la mia mano nella sua.

Scuoto la testa, mentre vengo scossa da un singhiozzo. Dici questo perché non hai ancora ascoltato le mie prossime parole.

"Se avremo un figlio tu- tu morirai, Atlas. Non subito, ma dopo quindici anni, o forse quattordici o forse sedici, questo non lo so. Non so neanche se sia vero, né se vi sia un modo di saperlo con certezza".

Atlas scrolla le spalle. "Funziona così la vita. Si può morire in qualunque momento, soprattutto se sei il re".

Aggrotto le sopracciglia, mentre le lacrime continuano a rigarmi le guance. "No, che non funziona così! Non dovresti saperlo prima!", sbotto. "Non vedrai i nostri figli diventare adulti, per colpa mia, non lo capisci?"

"Se avessi scelto l'altra opzione, non avremmo avuto dei figli".

"Lo so, ma non è giusto, non è giusto", farfuglio. "Perché non sei arrabbiato?"

"Preferisco avere quindici anni con te che una vita intera senza".

Le sue parole mi scaldano il cuore, ma allo stesso tempo lo frantumano in mille pezzi. E io? Quando tu non ci sarai più, sarò io a dover stare senza di te.

Perlomeno se non l'avessi mai incontrato, non avrei sentito la sua mancanza. Ne sarebbe valsa la pena di rinunciare a tanti momenti felici, solo per preservarmi dal dolore che inevitabilmente proverò? No, certo che no.

"E i nostri figli non saranno soli, avranno te".

"Ma io non avrò te!", le parole escono taglienti dalla mia bocca prima ancora che possa aver avuto il tempo di riflettere su di esse.

Atlas mi fissa spiazzato per qualche istante e la presa che ha sulla mia mano si affievolisce, seppure non ritrae completamente la sua. I sensi di colpa mi contorcono lo stomaco e faccio intrecciare le mie dita con le sue, in un tentativo di rimanere ancorata alla consapevolezza che Atlas è ancora qui e lo sarà per molto tempo ancora.

"Io, scusa... tu non hai alcuna colpa. E so che ho fatto la scelta migliore per il popolo, ma...", tiro su con il naso, non sentendo più le lacrime scendere lungo le mie guance ormai umide. "A volte non vorresti essere qualcun altro? Chiunque altro? Qualcuno che non deve sacrificarsi per il benessere di un regno, qualcuno che non deve sacrificare una creatura che ama per salvare tutti gli altri".

Atlas sospira. "Ma non siamo qualcun altro".

"No..."

"Se non c'è modo di saperlo con certezza e se non c'è nulla che possiamo fare per impedirlo, diamo per vero che questa clausola fosse solo parte della tua prova, che non abbia niente a che vedere con la realtà".

Un cipiglio si forma sul mio volto.

"È al di fuori del nostro controllo".

"E ciò non ti infastidisce nemmeno un po'?"

"Non immagini quanto".

"Se è quello che vuoi", esordisco dopo qualche istante di silenzio, "non ne farò più parola".

Lui annuisce, portando poi le nostre mani unite in prossimità del suo volto, così da posare un bacio sul dorso della mia. Mi sforzo di accennare un sorriso, ma smettere di pensarci è più semplice a dirsi che a farsi. Prego solo che ne sia valsa la pena. Prego che le sirene firmino l'accordo di pace, altrimenti sarà stato tutto futile.

E questo non posso proprio permetterlo.

The Other Twin 2 || La Maledizione del CristalloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora