Il giovedì è un giorno tranquillo!

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Sento suonare la sveglia sul comodino, mi avvisa che è mattina e che devo alzarmi. Sono le 7 in punto e so già che passerò i prossimi 15 minuti a tentare di svegliare quella piccola peste di mia figlia. Nonostante siano passati alcuni mesi dal suo primissimo giorno di scuola primaria, tutte le mattine la mia dormigliona chiede di poter rimanere a casa a dormire oppure inventa scuse assurde per poter saltare la scuola.

Per fortuna qui a Jesolo, con l'arrivo della primavera, sono iniziate anche le belle giornate così finalmente ho la scusa buona per convincere la nana ad andare a scuola con la promessa di ricompensare i suoi sforzi con qualche uscita all'aperto nel fine settimana . Ho scoperto, a mie spese, che la vita con una seienne è fatta di opere di convincimento, compromessi e ogni tanto anche qualche ricatto.

Entrando in camera sua un sorriso spunta sul mio viso, è tutta aggrovigliata al lenzuolo, la bocca semichiusa e i riccioli biondi le ricadono sulla faccia. La guardo dormire e non posso fare a meno di pensare a quanto somigli a Nina. Lentamente mi avvicino al suo lettino ed inizio a chiamarla dolcemente, ma ovviamente ricevo come risposta solamente dei "no" mischiati a dei "shhhh papi" e ad altri mille lamenti da seienne irritata.

Con una mano tra i capelli e una faccia che già esprime tutta la mia disperazione, mi sposto in cucina per preparare la colazione pensando che magari la piccoletta sentendo il profumo dei pancake si alzerà dal suo letto. Dieci minuti dopo infatti la sento arrivare, è così buffa; con entrambe le mani strofina gli occhietti ancora addormentati, sbadiglia e si siede a tavola.

-Buongiorno amore di papà! -

Dico sorridendole e lasciandole un bacio tra i capelli mentre le metto davanti il ​​piatto con i pancake e la nutella spalmata sopra. Lei mi guarda, consapevole di aver perso la battaglia, almeno per oggi, e senza dire nulla inizia a gustare la sua colazione accompagnata da un'immancabile tazza di latte. Mi siedo anche io e mentre sorseggio il mio caffe mi rendo conto che siamo già in ritardo, dobbiamo muoverci se vogliamo arrivare a scuola in orario.

Dopo mezz'ora siamo fuori casa, prima tappa la scuola. Accompagno all'ingresso la mia Birba, da quando abbiamo iniziato la nostra nuova vita insieme l'ho sempre chiamata così perché è una furbacchiona, ha un caratterino deciso, ma allo stesso tempo è una bambina estremamente generosa ed empatica.

-Buona giornata amore di papà-

- Ciao papi, a stasera-

Le mando un bacio con la mano e torno alla macchina, metto in moto e mi dirigo verso la seconda e ultima tappa della giornata, ovvero il negozio che gestisco insieme ad un ragazzo che ho conosciuto non appena mi sono trasferito.

Leo ha la mia stessa età, è nato e cresciuto a Jesolo, è figlio unico e fin da bambino ha fatto da aiutante nel salone della zia, consapevole che essendo l'unico erede, un giorno tutto ciò sarebbe stato suo. Così, conclusa la scuola per parrucchieri, ha iniziato a passare le sue giornate all'interno del negozio dedicandosi a questo mestiere meraviglioso e alleggerendo il lavoro di zia Anna che ormai a quasi 60 anni aveva tutto il diritto di allentare la presa. È proprio lì che io e lui ci siamo conosciuti, "Da Anna" e sempre lì, una sera di 2 anni fa, dopo 14 ore di lavoro e con davanti una pizza e una birra mi chiese se volessi mettermi in società con lui per dare una nuova identità al salone. A me sembrava un sogno e chiesi più volte ad entrambi se fossero sicuri della loro scelta. Nessuno prima di loro mi aveva dato un'opportunità del genere, credevo di non meritarla. Loro mi risposero che vedevano in me un ragazzo coscienzioso, con un'infinita voglia di riscatto e un grande talento; così accettai e dopo poco tempo mi resi conto che non avrei potuto fare scelta migliore.

Leo ed Anna sono diventati di famiglia per me, lui è un ottimo amico mentre lei è una donna meravigliosa, da subito mi ha accolto con grande affetto e ha iniziato a trattarmi come il figlio che non ha mai avuto e io come la madre che aveva sempre desiderato; sono immensamente grato ad entrambi perché sono entrati nella mia vita in un momento davvero difficile e mi hanno aiutato tantissimo anche con Birba.

Arrivo in negozio alle 8.45, Leo oggi ha un impegno ma non è un problema, il giovedì è un giorno tranquillo, quindi posso gestire la clientela da solo. Il primo appuntamento è segnato per le 9.00 quindi ho tutto il tempo per aprire le finestre, dare un'occhiata all'agenda, accendere la radio e la macchinetta del caffe; necessito di un secondo caffè! 

Mentre sorseggio la bevanda che spero mi faccia arrivare integro a fine giornata, alla radio passa una canzone di Geolier e sorrido nel sentire quel dialetto a me tanto caro, ma allo stesso tempo tanto odiato. Sono passato dal parlarlo ogni santissimo giorno della mia vita a non sentire più nessuno pronunciare neanche una parola, ad eccezione dei film o delle canzoni come in questo caso. Penso a come sia strana la vita, a come la mia sia stata completamente stravolta e a come certe volte perdiamo delle cose che fino a poco tempo prima pensavamo non ci avrebbero mai lasciato, poi invece ci lasciano e nonostante tutto la vita continua. Tutto ciò mi provoca una fitta al cuore che subito cerco di reprimere perché so benissimo quali ricordi vuole andare a ripescare la mia mente, ma ho giurato a me stesso che non avrei più rimuginato sul passato e che non sarei più entrato, per nessuna ragione, in quella parte della mia testa estremamente pericolosa e proibita. Mentre litigo mentalmente con me stesso sento il campanellino sulla porta suonare, mi avvisa che la mia cliente è arrivata, così sfoggio il mio sorriso migliore e la faccio accomodare.

Passo la giornata a fare pieghe e qualche shampoo fino ad arrivare alle 19:00, ho appena salutato l'ultimo cliente della giornata, mi sento distrutto! Con la faccia devastata mi affretto a passare la scopa sotto le poltrone e sistemare le postazioni per avere già tutto pronto domani mattina. E, mentre pulisco l'ultimo specchio del negozio pieno di aloni, sento il campanellino sopra la porta suonare.

"CAZZO!!!! E mò cu cazzo è?!"

È vero che non parlo più il dialetto, ma quando sono incazzato penso ancora in napoletano, credo che renda meglio il concetto!

- Siamo chiusiiii! -

Dico con voce scherzosa e senza voltarmi verso la porta.

Ma il mio sorrisino e la mia aria allegra lasciano ben presto posto ad altre emozioni, molto meno piacevoli, non appena da dietro le mie spalle sento una voce, che credevo non avrei mai più sentito.

-Non mi riconosci Di Salvo? -

Quel filo che ci unisceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora