Cap. 10

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      Le vacanze di Pasqua sono già iniziate da alcuni giorni e io non ho avuto un momento libero per me stessa, lontano da fatti in parte lieti e in parte spiacevoli.

Mercoledì sera io e Noah abbiamo passato una bellissima serata con i nostri più cari amici, i quali ci hanno chiesto un regalo per un evento imminente che darà adito a tanti festeggiamenti: il loro matrimonio.

Siamo rimasti sopresi per quest'ulteriore novità nella loro vita, della quale, di nuovo, siamo stati i primi a sapere.

Ed è stato bellissimo per noi osservare da vicino le ritrovate emozioni di un amore che non dovrebbe mai essere contaminato da dubbi o banali equivoci (e poi, se anche non lo fossero stati, meglio relegarli in un angolino remoto della memoria).

Riguardo al dono che ci hanno chiesto, beh, quello è stato motivo di grandi risate, poiché un elfino spelacchiato gliel'avremmo regalato comunque, ma i musetti di Lilith e Muffin, davanti ai nostri discorsi, non lasciavano trapelare grande entusiasmo per la cosa. Tanto più che Lilith, a un certo punto della cena, ha preso Muffin come un pungiball e l'ha fatto ribaltare con tre capovolte all'indietro. Era rimasto a pancino in giù, con le zappette per aria e gli occhietti sgranati. Sembrava un pipistrello senz'ali.

Giovedì mattina tuttavia, la serenità del giorno precedente è evaporata dinanzi a una bara atta alla tumulazione della salma di una giovane donna, troppo abusata per avere la forza di fare ancora i conti con il mondo.

Al funerale solo io, Noah, Carlo e pochi altri ragazzi che si sono ricostruiti una vita dopo esperienze che solo Noah stesso potrebbe capire. Io no. Non io.

Dall'alto del mio piedistallo non sarei incappata in certe realtà neanche per sbaglio.

La situazione che sto per affrontare ora, invece, non saprei proprio dove collocarla, se tra eventi lieti o, al contrario, di una tristezza infinita.

Di certo, lo scenario che mi si prospetta dinanzi agli occhi, caratterizzato da una villa del tardo rinascimento, ristrutturata in modo esemplare, immersa in un ambiente bucolico e circondata da infiniti filari di vigneti, lascia tanto spazio alla speranza.

Appena oltrepassato un enorme cancello con intarsi e pannellatura in rame anticata, mi ritrovo in un parcheggio semicircolare. Davanti a esso due distese di altissimi cipressi, tra i quali si estende una strada sterrata esclusivamente ad accesso pedonale, oltre la quale appare lo scorcio dell'ingresso della villa d'indiscutibile bellezza, attualmente adibita a sede amministrativa di un'azienda agricola di grande successo.

Se la vedesse mia madre farebbe carte false per renderla sua esclusiva dimora. E io non le darei torto.

Il proprietario, signor Monteneri Michele, attende proprio me.

Parcheggio la Cooper in uno dei tanti posti liberi nel semicerchio e mi accingo a percorrere la salita che porta agli uffici dell'impresa redditizia, sentendomi quasi in soggezione.

Al termine del percorso, davanti al grande portone, sicuramente ispirato a esempi dell'antica architettura greca e romana e alle linee classiche di simmetria, o forse associato al principio di Protagora dove "L'uomo è la misura di tutte le cose", vedo parcheggiare una Jaguar F-Pace antracite lucido, ovviamente entrata da un accesso secondario ed esclusivo.

Mi blocco all'istante.

Un uomo di circa quarantacinque anni, 1.80 circa di altezza, magro, con una bella corporatura, vestito Armani casual di tutto punto, esce da quella automobile costosa con grande eleganza.

Chiude lo sportello, si volta e...

OH CAZZO!

Ha un volto bellissimo, piccolissime rughe d'espressione ne aumentano il fascino. Occhi scuri, capelli corvini.

"Il Rosa e il Nero" volume 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora