Cap. 14

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   Entro in auto, lanciando le chiavi dell'ufficio di papà sul sedile del passeggero.

Guardo l'orario sul cruscotto: nove di sera.

Devo raggiungere Noah; devo riportarlo a casa con me.

Non posso credere che se ne stia da solo in ufficio a rimuginare su un mio ipotetico tradimento.

NO! NO! NO!

Esco dalla proprietà di famiglia ripensando a quanto è successo in questa giornata che sembrava essere tranquilla e piena di gioia: nell'ultim'ora in particolare, dopo aver reperito il numero di Michele Monteneri, l'ho richiamato con il cellulare di mamma e, spiegando quanto fosse successo dopo la sua telefonata, gli ho chiesto di poter incontrare i miei genitori.

Sono io che ho aperto il vaso di Pandora, che ho indagato sul passato di Noah per dimostrare quanto lo amo, ma...mamma...beh, sì...è stata lei a combattere per lui quando era solo un bambino indifeso. E' stata lei a non arrendersi quando lo portarono via dalla scuola dove lavorava. E' stata lei e solo lei ad accoglierlo in casa nostra come un figlio. Quindi glielo devo. Se c'è qualcuno che ha il diritto di conoscere la verità da Monteneri prima di chiunque altro, a parte Noah, è proprio lei: mia madre.

Michele non ha esitato nemmeno un attimo ad accettare. Credo si senta lui stesso così confuso da avere la necessità di un confronto, al quale vorrebbe coinvolgere anche sua moglie, una donna di poche parole, ma tutta d'un pezzo, come l'ha definita tempo fa. Saggia e comprensiva certo, sebbene, per una cosa così "grande", per la quale non avrebbe potuto evitare di coinvolgerla, forse, teme la sua reazione.

Rimango assorta in tali pensieri, fintanto che non raggiungo il centro storico, fino al parcheggio nell'area ad accesso limitato, ringraziando mentalmente papà per avermi ricordato di trasferire nella Cooper il suo telepass per l'accesso alla Z.T.L.

E' una bellissima serata di primavera e la piazza principale della nostra città brulica di gente. Accenno un sorriso ricordando un verso di Carducci "Come un brulicar di vita ancora timida..." e mi dico che sarebbe bello immergersi nella folla con Noah, passeggiando tra le mura e i giardini, mano nella mano.

Perché no!

Sono intenzionata a chiedergli scusa, a farmi ascoltare, a dirgli tutto ciò che gli ho tenuto nascosto nelle ultime settimane.

Corro per raggiungerlo, aprendo un imponente portone che, come a sovrastare la pizza intera, è impreziosito da due simulacri bronzei, posti proprio alla base delle trifore gotiche a cielo aperto.

Lo studio di papà si trova dentro quest'edificio storico, di cui sto velocemente salendo i gradini fino all'ultimo piano, dove, al di là delle tre finestre, divise da pilastri su cui poggiano tre archi a sesto acuto, si gode di una vista sensazionale sui tetti della città.

Arrivo davanti alla porta in noce scuro con arco a tutto sesto e mi accingo ad infilare la grande chiave in ferro, quella antica che papà non ha mai voluto sostituire.

Apro l'uscio con impazienza, ma...

la persona con cui mi trovo faccia a faccia entrando non è Noah.

E' Elena.

Oddio!

Rimango pietrificata, come se avessi incrociato anch'io lo sguardo di una delle figlie delle divinità marine Borgo e Ceto; forse Medusa, l'unica mortale.

La mia mano destra resta stretta alla chiave d'ingresso, la sinistra sulla maniglia.

Non vedevo Elena da mesi.

"Il Rosa e il Nero" volume 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora