Capitolo 6

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Nel frattempo stavano succedendo un sacco di cose anche a casa. Intorno alla seconda settimana di chemio fra gli amici dei miei si era sparsa la voce che era ora di smettere di fingere di non sapere nulla sul conto di Nico. All'improvviso, come se qualcuno avesse suonato un fischietto, sono iniziate ad arrivare le telefonate. La buca delle lettere scoppiava di bigliettini. Un'ondata di conoscenti si è abbattuta sulla nostra casa portando cesti di frutta, buste stracolme di cibo, fiori e palloncini. Devo confessare che tutto quel cibo commestibile mi ha permesso di disintossicarmi dal microonde, ma lo spettacolo era comunque deprimente. Non facevamo entrare più nessuno, apparte Olga e i genitori della mamma, che però venivano molto di rado dato che abitavano a un'ora di strada da noi.

"Adesso mi lavo i denti. Ma che senso ha, se poi Nico muore? Mi lavavo la faccia. Ma la mamma era senza lavoro e papà guadagna 30000€ all'anno, tasse escluse, e di sotto c'è una pila di conti per un totale di 10.000€.
Presto saremo dei senzatetto e... allora che senso ha? Potrei passarmi il filo interdentale, ma tanto non mi sono nemmeno lavato i denti, perciò che senso ha?". Risultato: sono andata a letto con la faccia sporca e i denti incrostati. E pensare che era solo l'inizio di un'altra drammatica ora passata a chiedermi: "Che senso ha?"

Il giorno dopo ero riuscita a non parlare con nessuno durante le prime due ore e mi stavo preparando ad andare in palestra per l'ora di ginnastica, quando Ornella la bidella ha annunciato che ero stata convocata in presidenza. Mentre uscivo dalla classe, sentivo due paia d'occhi attaccati alla schiena, quelli tristi, comprensivi della prof.ssa di motoria e quelli inquisitori di Ludovica che, come Sherlock Holmes, mi fissava neanche fossi un fazzoletto rinvenuto sulla scena del crimine.
La bidella mi disse che la consulente psicologica voleva vedermi. Evidentemente qualsiasi cosa pensavano che avessi, riguardava la mia salute mentale... ero diventato quello che si dice una "studentessa problematica". La consulente mi ha subito fatto cenno di accomodarmi in un ufficio grande come una scatola. Non ci ero mai stato, ma ho capito subito che aria tirava... se ti piacevano i colori pastello e i poster motivazionali eri nel posto giusto.
«Ciao Caterina, io sono la professoressa De Zan. Ho voluto vederti oggi, perchè alcuni tuoi insegnanti hanno manifestato una certa preoccupazione per te».
Qualcosa a quel punto ha fatto scattare l'arrogante che è in me.

«Oh, davvero? Forse dovrebbero concentrarsi più sul loro lavoro e meno sugli affari miei.»
«Sono sicura che sai benissimo di cosa sto parlando. Se qui perché hai smesso di studiare nelle materie principali. Non hai mai avuto problemi prima di ora, ma se continui così rischi di essere rimandata quest'anno. Sai dirmi cosa ti sta succedendo?»
Al che la consulente ha fatto una cosa che generalmente con me funziona: mi ha sfidato al gioco del silenzio. Se ne stava lì a fissarmi e non la finiva più.
A quel punto mi sono resa conto di avere un po' sottovalutato quella strega. Fra di noi è calato di nuovo il silenzio.
Non ero pronto per parlare di Nicolò con qualcuno. E dopo aver custodito il segreto per quasi un mese, col cavolo che l'avrei spifferato a quella psicologa da due soldi.

In quell'istante è suonata la campanella.
«Bene, temo proprio di dover andare. È stato un piacere conoscerla».
«Ferma. Se non sbaglio, adesso hai la ricreazione, vero?»
«Si. Perché?»
«Ti sei mai chiesta cosa fanno i professori mentre voi alunni siete all'intervallo?»
«Mmm no non direi. Gironzolano in mensa fumando canne senza filtro?»
«No. Si ritrovano per discutere: lo stanno facendo anche ora. E tu e io faremo esattamente la stessa cosa. Andremo da loro e ci parleremo.»
«Dobbiamo proprio?»
«Oh sì».
«Proprio proprio?»
«Già.»
Mi sono alzata, pronta a espormi al pubblico ludibrio, come voleva lei.

Quando siamo entrati nell'aula insegnanti, erano tutti seduti intorno a un enorme tavolo, a bere caffè, ridere e dare voti. Hanno alzato lo sguardo, ma vedendomi non si sono meravigliati: era una trappola. La De Zan mi ha mostrato dove sedermi e si è accomodata accanto a me. Toccava ai prof fare una mossa.

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