Capitolo 16

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Nico era tornato a casa. In quei giorni l'inverno soffiava sul nostro paesino del Nord Italia a pieni polmoni. Il Natale in tutto questo è stata un'esperienza molto strana. Nico aveva ricevuto un mucchio di regali alto quasi quanto l'albero. I medici gli avevano dato il permesso di poter vedere altre persone oltre ai familiari stretti, ovviamente con le dovute forme di precauzione. Sono venuti a trovarci parenti da ogni parte del continente, ma nessuno aveva il dono del sorriso.

Nel frattempo, io facevo i compiti. Un sacco di compiti.
Ero preoccupata che i miei notassero quella massa informe di lavoro che mi trascinavo dietro, che iniziassero a fare domande e commenti. Ma durante i giorni in cui la mamma era a Padova, papà restava in modalità muto, e quando tornava, lui dormiva e lei trascorreva del tempo con Maddi. Sono convinta che se anche mi fossi seduto al centro della cucina strofinando uno contro l'altro due bastoncini su una montagna di dinamite e taniche di benzina, i miei non se ne sarebbero neanche accorti, fintanto che mi facevo i fatti miei.

Quello che nessuno capiva era che c'è una bella differenza fra farsi i fatti propri e prendersi cura di sé. E poi ero arrabbiata. Furiosamente, incontrollabilmente arrabbiata e peggioravo ogni minuto di più. Avevo fatto tutto quello che i prof mi avevano dato e l'ho fatto bene, ma mentre lo facevo era talmente tesa che non avevo voglia di parlare con nessuno, nemmeno con Christian.
A scuola si era sparsa la voce della mia "tragedia familiare" ed ero diventata  una specie di celebrità. La notizia della malattia di Nico era diventata talmente di dominio pubblico, che era arrivata pure a Sofia in Tanzania. La mamma aveva insistito che rimanesse in collegio e di non preoccuparsi, anche se lei era inferocita con noi per averla tenuta all'oscuro delle condizioni di Nico per quasi 3 mesi. 

Diego era tornato ad essere il mio amico aiutante ed Emma mi ha perdonato, come sempre. Durante le vacanze erano venuti spesso a casa: Emma a farmi ripetizioni e Diego a giocare con Nico. Non l'avevano mai visto gonfio e pelato, ma se la sono cavata con disinvoltura. Già la seconda sera Emma era lì che parlava con lui ogni volta che si prendeva una pausa per lasciarmi fare gli esercizi. Nico era contento di ricevere tante attenzioni e ho notato una cosa interessante: Diego era molto più paziente e felice di me quando giocava con lui. Starete pensando che erano gli amici ideali, che avrei dovuto baciare la terra su cui passavano giusto? Continuavo a sbavare come un lama quando vedevo Diego, ma ero ancora arrabbiata con lui perchè non mi prestava attenzioni per le giuste ragioni.

I prof erano entusiasti del mio "nuovo atteggiamento" e non facevano che dirmi che ero una "guerriera". Nelle rare occasioni ero "forte" e "coraggiosa" e Nico era "fortunato" ad avermi come fratello. Perché piuttosto non provavano loro a essere "coraggiosi" come Nico per qualche mese?
Avevo voglia di urlare in faccia a ogni prof: "Perché mi fate fare tutta questa fatica mentre il numero dei globuli bianchi di mio fratello è così basso? Chi se ne frega delle date di storia, venerdì Nico si beccherà un'altra iniezione spinale! Credete forse che la ragion pura di Kant serva a far smettere di sanguinare le gengive di mio fratello ogni volta che si lava i denti?"
Avevo voglia di tirare un pugno in faccia a tutti quelli che mi dicevano che "capivano" quanto soffrivo. Nessuno poteva capire quanto soffrivo. Forse se mi fossi presentato a casa loro brandendo un'asse di legno ricoperta di chiodi e colpendo in testa membri a caso della famiglia, si sarebbero fatti un'idea. Poi c'erano i miei genitori: vedevo che ci provavano... ma, cavolo, non riuscivo neanche a guardarli senza dovermi mordere la lingua.

Ma non era ancora finita. Dopo le vacanze di Natale, Nico aveva fatto una piccola apparizione a scuola e Diego era andato a prenderlo a scuola. Tra una cosa e l'altra quest'anno era stato quasi sempre assente. Doveva andare di continuo all'ospedale per vedere di salvarsi la pelle, aveva il sistema immunitario in panne e costanti picchi di febbre alta. Comunque, in classe era arrivato un bambino nuovo che non sapeva niente di lui. Allora mio fratello è andato da lui e gli ha detto: «Ciao. Io sono Nico. Ho sette anni. Tu quanti anni hai? Mia sorella ne ha quasi 18. Diventiamo amici?. E quello nuovo ha risposto: «Ciao, sono Gigi. Sei pelato».
Ora, Nico di sicuro aveva notato la totale mancanza di peluria sulla propria testa. E potrà sembrare strano, ma sentirselo dire così, da un altro bambino, l'aveva devastato. Sapevo che sperava che gli altri non lo vedessero così.
Quando quello gli ha detto: «Sei pelato», Nico era scoppiato a piangere. Gli ho chiesto cosa c'era che non andava e lui mi ha parlato di quell'episodio. Allora gli ho chiesto perché non ce l'avesse detto e lui ha risposto la cosa più triste del mondo: «Non volevo che anche voi vi accorgeste che ero pelato». Io e Diego ci scambiammo un'occhiata. Così ora il mio fratellino malato di leucemia deve portare sulle sue gracili spalle anche il peso dell'umiliazione. 

ALL OF MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora