Capitolo 14

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Una settimana prima della gara regionale a Verona, in ricreazione vidi Emma e Diego parlare fitto fitto davanti al distributore automatico. Quella fu l'ulteriore prova della loro relazione. Abbassai gli occhi, feci dietro-front, ma non abbastanza in fretta, perché Emma si accorse di me e mi venne incontro.

«Ei, Cate, come sta Nico?» mi chiese. 
«Come al solito»
«Ti unisci a noi?»
«No, grazie. Non voglio disturbare il tuo appuntamento con Diego» risposi gelida.
«Appuntamento? Ma che ti succede oggi?»
«Che cazzo mi succede? Tu uscivi da casa sua»
Emma diventò bianca come un cencio. Poi si ricompose e disse
«Eh? Non capisco di cosa stai parlando»
«Non fare la finta tonta, so benissimo cosa ho visto.»
«E cosa avresti visto scusa?»
«È Diego, vero? Il ragazzo misterioso che frequenti. È per questo che non mi hai detto niente.»
«Cosa? No! Anche se fosse sei fidanzata.»
Volevo dirle che non stavo più insieme a Christian perché avevo rovinato tutto, ma dalla mia bocca uscì un «Sai benissimo che ho una cotta per Diego da quando ho 8 anni! Non riesco neanche a guardarti adesso!»
«Fammi capire, non si può stare con la tua cotta da bambini?»
«Ma vaffanculo! Sono la tua migliore amica Emma!» a quel punto stavamo praticamente urlando. La bidella Elisa ci guardava preoccupate. Sembrava che stesse per scoppiare la terza guerra mondiale.
«Il mondo non gira intorno a te. Anche gli altri hanno i loro problemi. Solo perché tuo fratello ha la leucemia, non devi comportarti da stronza.»
«Stai zitta...»
Emma si portò una mano alla bocca, ma era troppo tardi. Tutti si girarono verso di noi. E in quel momento il mondo mi crollò addosso e tutte le mie certezze svanirono.

"Cate, mantieni la calma." continuai a ripetermi. Le lacrime iniziarono a rigarmi lungo le guance e desiderai avere il mantello dell'invisibilità di Harry Potter per potermi smaterializzare all'istante.
«Scusa Cate, non volevo...» iniziò Emma, ma non sentii più niente perché corsi per le scale e non mi fermai più. Arrivai al terzo piano, dove non c'erano più aule, ma una porticina dal quale si poteva accedere al tetto. Molti studenti andavano sul tetto per fumare o per rimorchiare, ma fortunatamente quel giorno non c'era nessuno.

Mi rannicchiai con la testa tra le mani. Dopo una decina di minuti, qualcuno uscì in terrazza. Era Diego.
«Ti ho cercata per tutta la scuola... ei ei...»
Senza fare rumore, si avvicinò e si sedette accanto a me, lasciandomi un momento per piangere. Per un po', non dicemmo nulla. Diego rispettava il mio silenzio, offrendo la sua presenza come un sostegno silenzioso. Lentamente, ma con costanza, mi calmai. I suoi occhi castani agganciarono i miei e, per un istante che parve un'eternità ci guardammo. Era come se ci vedessimo davvero per la prima volta.

Avrei voluto urlargli di tutto, sapere com'era iniziata tra lui e Emma, perché mi aveva evitato quella settimana e ad'un tratto era ritornato lo stesso Diego che mi aveva consolato a casa sua, ma l'unica cosa che riuscii a dire fu: «È tutto così difficile, Diego. Nico è così piccolo... e ora tutti lo sanno. E Nico non merita tutto questo. Ho perso il controllo, non ho più... Non volevo che...» La mia voce si spezzò.

«Lo so, Cate, ma non devi affrontare tutto questo da sola. Io sono qui, e non andrò da nessuna parte.» mi prese delicatamente la mano, offrendo un gesto di conforto e connessione. Per un secondo, mi si fermò il cuore.

«Sai, quando mi sono trasferito qui e ho iniziato la chemio, i miei mi hanno messo in una sorta di bolla. Stavo sempre in casa, nessuno poteva venire a trovarmi, nessuno sapeva della mia situazione e Mia è stata l'unica che mi è sempre stata accanto. Ma è stato devastante. E solo adesso ho capito che l'avevano fatto per proteggermi e anche tu vuoi proteggere Nico, ma non puoi avere tutto sotto controllo. Anche la mia famiglia ha dovuto affrontare momenti difficili, ma ciò che mi ha aiutato a superare tutto è stato il supporto delle persone che mi amavano. E ora voglio fare lo stesso per te e per Nico.»

Le sue parole mi arrivarono fino al cuore. Mi sentii improvvisamente meno sola. Diego mi capiva più di chiunque altro. E per un minuto mi dimenticai di tutto il resto. C'eravamo solo noi, seduti sul tetto della scuola in una nuvolosa giornata di dicembre. Mi asciugai gli occhi e inspirai. Non provavo nessun tipo di imbarazzo. Mi aveva vista nei miei momenti peggiori, ma non si era tirato indietro. Restammo seduti in silenzio, entrambi con lo sguardo fisso avanti, sentendo l'aria fredda sulla pelle.

Mentre lo guardavo negli occhi, riconobbi qualcosa che sentivo io per prima nell'anima: solitudine. Il modo in cui mi guardò mi fece pensare che anche lui l'avesse vista. Mi mancava il respiro. Nella mia testa aveva solo i suoi occhi, gli stesso che mi avevano fatto innamorare ogni anno di più. Quando riapro gli occhi ho il cuore a mille. Mi ricordai troppo tardi di avere 2 strati spessi di mascara. Si era sbavato tutto. Mormorai un «Grazie» a Diego, e mi recai in bagno.

Quando tornai in classe, la lezione era iniziata da un pezzo. Sono stata investita da una raffica di "oddio cos'ha tuo fratello e tua mamma come sta e tuo padre come l'ha presa, oh è molto malato poverino". Come potete immaginare, questo non mi ha aiutato granché a superare la paranoia in cui ero entrata. Nonostante i tentativi della Ludo di avvicinarsi con messaggi di supporto, mi sentivo soffocata dall'attenzione indesiderata.

D'altro canto, però, a scuola l'assurda popolarità che mi aveva investito stava aumentando. La cosa più assurda era che, dopo la diffusione della malattia di mio fratello, pure Alyssa Foltran si interessò a me. Mi parlò tutto il tempo durante l'ora di ginnastica, mi chiese come stava il mio fratellino e mi ha pure detto che se avevamo bisogno di qualcosa, suo padre lavorava come primario a Treviso. La cosa avrebbe dovuto farmi fare i salti di gioia e invece non facevo che pensare: "Presto lascerò la scuola e andrò a vivere sotto un cavalcavia, perciò che senso ha sapere che adesso Alyssa non mi detestava più?". Inoltre qualcosa mi diceva che non aveva scoperto improvvisamente che ero meraviglioso grazie all'alone di umanità che ultimamente mi avvolgeva; piuttosto l'affascinavo in quanto eroina tragica. Alla fine pensai alla sua situazione con Diego. Arrivai alla conclusione che lui l'aveva scaricata per Emma, e non avrei mai pensato di dirlo, ma mi dispiacque per lei.

Natale stava arrivando e me la stavo cavando piuttosto bene. Avevo collezionato una serie di bei voti, facevo grandi progressi con il nuoto e continuavo a godere di una sorprendente popolarità a scuola. Avevo persino sistemato la questione con Christian.
Un giorno sull'autobus, è salito con fare languido, si è guardato un po' intorno finché non ha incrociato il mio sguardo e ha preso il posto che di solito era di Emma. Allora gli ho fatto un'offerta che non poteva rifiutare: «Iqos?».
Si, ragazzi, i nuotatori non dovrebbero fumare, è deleterio, ma da quando Nico si era ammalato, ero entrata in una specie di buco nero.
«Mi stai sul serio offrendo l'iqos? Non hai paura che la contamini?»
«Tanto finisce nella tua bocca, perciò accomodati».
Ho notato che una ventina di persone circa ci stava guardando, (neanche avessimo bisogno di una giuria), così sono scivolata nel posto accanto a lui e ho proseguito con le trattative di pace con quel po' di privacy che potevo avere in un autobus pieno di studenti.
«Sei ancora arrabbiato perché cercavo solo di proteggere il mio fratellino?»
«Be'...»
«Ho bucato matematica, se può esserti di consolazione».
«Ah sì? Mi dispiace. E i tuoi hanno dato di matto?»
«Più o meno. Non preoccuparti... è solo colpa mia se ho deciso di farmi gli affari miei per due mesi».
«No, Cate, ne avevi un sacco per la testa. A proposito mi dispiace di aver fatto una scenata e mi dispiace anche per tuo fratello».
Ovvio, anche lui era venuto a saperlo. Chris ha sfoderato uno dei suoi micidiali sorrisi e ha preso la sigaretta che il palmo della mia mano, di colpo sudato, gli stava offrendo.

«Perché non me l'hai detto?»
«Sai, quando io e te ci siamo messi insieme, mi sono sentita come se forse per la prima volta nella mia vita, avessi realizzato qualcosa di mio, solo mio. Non perché sono la sorella di Sofia Dufour, ma perché ero riuscita a farlo contando solo su me stessa. La verità è che non volevo neanche che tu mi vedessi come la sorella di un bambino malato. E mi vergogno per questo»

Chris si avvicinò e mi diede un bacio sulla fronte, e in quell'istante l'autobus frenò all'improvviso. Mi ritrovai con il mio petto attaccato al suo. Ero arrivata alla mia fermata. Mi sono voltata per prendere lo zaino da dove l'avevo lasciato e Emma me l'ha passato fulminandomi, come se per tutto il tempo avessi sparlato di lei e Diego con Christian. Il che era assurdo, perché sarei dovuta essere io quella tremendamente in collera con lei. Di sicuro non l'avrei perdonata facilmente. Mi sono alzata e sono scesa alla svelta. L'autista è ripartito sgommando e non sono riuscita a girarmi in tempo per vedere come mi guardava Chris dal finestrino.

ALL OF MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora