Capitolo 10

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Quella è stata la prima notte che ho fatto il sogno. Ero fuori in giardino a giocare con Nico, Maddi e Sofi e ci stavamo lanciando qualcosa avanti e indietro (a volte era una palla da tennis, altre una palla di neve). Ogni volta che colpivamo Nico, un pezzo di lui diventava istantaneamente nero. Lui sorrideva e diceva:
"Giochiamo, giochiamo!" tutte le volte che mi fermavo. Così ricominciavo e BAM! BAM!
Poi di colpo Nico cominciava a sprofondare nel terreno mentre papà e mamma comparivano alle sue spalle.
Allora Nico iniziava a dire: "Ora siete gli unici figli che gli rimangono". E mi sono svegliato in una pizza di sudore, urlando a squarciagola.
La prima notte, Diego arrivó preoccupato in camera per domandarmi come stessi. Ho continuato a fare lo stesso sogno (con qualche variante) ogni notte.
Per fortuna non svegliavo mai la signora Lucas o Mia. Diego sì, però; ad un certo punto si era talmente abituato a sentirmi urlare nel cuore della notte che ha iniziato a venire in camera mia prima ancora che mi svegliassi. Ogni volta che accadeva, mi chiedeva cosa avessi sognato e ogni volta mentivo dicendo che non me lo ricordavo.

La quarta notte il sogno era così terribile, che non riuscivo a smettere di urlare. Diego si materializzò sulla porta, e senza pensarci due volte gli chiesi «Resteresti qui con me?»
«Certo.»
Diego si avvicinò e mi accoccolai accanto a lui.
«Sicuro? Ti ammalerai»
«Non ho paura della bronchite»
Appoggiai la testa sul suo petto e dopo pochi secondi mi addormentai.

La mattina dopo, quando mi svegliai Diego non era a letto. Stavo un po' meglio, quindi mi misi la sua maglietta oversize e scesi dabbasso. L'atmosfera era silenziosa, Diego doveva essere già andato a scuola e la signora Lucas al lavoro. La madre di Diego era manager di un'azienda veneta e aveva conosciuto suo marito in Kansas, dove aveva vissuto per lavoro un anno. Si erano innamorati e si erano sposati, e lei si era trasferita negli Stati Uniti, fino al nono compleanno di Diego.

La sala da pranzo adiacente era arredata con un tavolo in legno massiccio e sedie imbottite, creando un perfetto equilibrio tra modernità e comfort. Sopra il tavolo pendeva una lampada a sospensione dal design minimalista, che illumina la stanza con una luce calda. In quel momento, alcune fotografie attirarono la mia attenzione. Sopra il mobile il salotto, c'erano decine di foto di famiglia: il matrimonio dei signori Lucas, una foto di famiglia in vacanza alle Hawaii, Mia e Diego da piccoli nel salotto della casa in Kansas abbracciati, e sempre un'altra di loro due, ma in questa casa, in Veneto. Erano cresciuti, avevano all'incirca 10 anni, ma la cosa che mi atterrì più di ogni altra cosa era che Diego era pelato. E non si era rasato i capelli per stile, o perché aveva perso una scommessa, ma...

«Ei, tutto bene?»
Mi girai di scatto. Mia era in piedi dietro di me. Aveva lo stesso colore di pelle di Diego, i capelli scurissimi le scendevano lungo la schiena raggruppate in treccine.
«Scusa, non volevo curiosare...» mi giustificai, anche se sapevo benissimo di essere sembrata patetica.
«Ma no, tranquilla, sono contenta di vedere che stai meglio.»
All'improvviso i suoi occhi caddero sulla fotografia che avevo in mano.
«É stata dura, ma ha vinto lui.» commentò «Vieni, facciamo colazione»

Andammo in cucina e bevemmo una spremuta d'arancia. La cucina, che si apriva sul soggiorno tramite una porta scorrevole in vetro satinato, era moderna ma con un design semplice e funzionale. I mobili era bianchi con piani di lavoro in granito grigio scuro, e una grande isola centrale offre spazio per cucinare e mangiare in modo informale. Una serie di grandi finestre permetteva alla luce naturale di inondare lo spazio, rendendo l'ambiente luminoso e invitante.

«É per questo che vi siete trasferiti in Italia?» le chiesi.
«Negli Stati Uniti la sanità non è pubblica, i conti da pagare sarebbero stata una somma inconcepibile, anche per chi guadagna uno stipendio da 5 cifre, per fortuna Diego e io avevamo anche la cittadinanza italiana, così é venuto qui per sottoporsi alla chemio.»
Rimasi in silenzio, non sapevo cosa dire e sicuramente avrei detto qualcosa di sbagliato. Mia continuò «Secondo me dovreste dirglielo»
«Eh?»
«A Sofia, ha diritto di sapere di Nico, é suo fratello.»
Detto questo, uscì. Restai a riflettere su quanto avevi scoperto. Diego aveva avuto la leucemia da piccolo, e non me l'aveva detto. Però all'improvviso tutto mi apparve più chiaro, come se tutti i pezzi del puzzle si incastrassero. Per questo capiva la mia situazione meglio di chiunque altro.

Quella sera era sabato sera, ero da sola in cucina con Diego. Ci eravamo parlati a malapena quella settimana, e non riuscivo s guardarlo negli occhi. Non facevo altro che pensare alla notte precedente quando avevamo dormito insieme.

«Domani penso di tornare a casa, sto molto meglio.» gli dissi.
«Mio padre è tornato oggi e sono andati a cena fuori, ti va bene una pasta?»
Annuii.
«E tu? Non devi andare da qualche parte con Alyssa?»
«Preferisco restare qui con te»
Diego non disse più nulla, e per qualche minuto, che mi sembrò interminabile, regnò il silenzio.

Dopo la cena lo aiutai a sparecchiare e a lavare i piatti e decisi che quello che era il momento giusto per fargli la domanda che non riuscivo a togliermi dalla testa.
«Ho saputo perché vi siete trasferiti, ehm per caso. Era per questo che eri a Padova a novembre?»
«Vado lì a fare dei controlli ogni mese. Sai, avevo più o meno l'età di Nico, ma me lo ricordo come se fosse ieri.» Diego aveva gli occhi fissi sui piatti davanti a sé, e sembrava che stesse ripercorrendo con la mente vecchi ricordi ormai sepolti «Quando sono guarito, il nuoto mi ha salvato. Mia mamma mi aveva scritto una lista di tutte le cose belle che avrei potuto fare quando sarei uscito dall'ospedale, e le ho fatte. È stato un incubo, ma devo tutto al cancro. Mi ha fatto vivere la mia vita al massimo. Ho girato il mondo, non ho perso nessuna opportunità, perché avevo provato sulla mia pelle cosa volesse dire trovarsi la vita sconvolta da un giorno all'altro.
Avevo perso praticamente tutto a causa della malattia: la mia vita in America, gli anni di scuola, perfino i capelli e non conoscevo quasi nessuno. Nico è fortunato: qualcuno ce l'ha»
Diego mi guardò, e sentii nella sua voce un tono di stima che ero certa di non meritare.

Finimmo di lavare i piatti, e Diego propose di accendere Netflix e vedemmo una puntata di Suits. O meglio Suits diventò la colonna sonora di quella serata, perché non la degnammo di molte attenzioni.
Eravamo seduti sul divano quando iniziai a parlare «Diego, io non ti ho ancora ringraziato...»
«Ho fatto solo il mio dovere»
Sorrisi. Era il colmo. Un bagnino che salvava una bagnina.
«Sei nella squadra dei master junior, sei pure bagnina. Perché non hai nuotato? Perché hai mollato?» continuò Diego.
«Perché per un istante ho pensato che se fossi morta, Nico sarebbe guarito. E io non voglio... non posso accettare l'idea che mio fratello possa morire...» a quel punto, non riuscii più a trattenere le lacrime.

E lui mi abbracciò. E quell'abbraccio dall'ultima persona che mai avevo pensato di poter ricevere, era ciò di cui avevo più bisogno.

ALL OF MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora