12. Someone who loves you wouldn't do this

104 17 69
                                    

˚ Chris 𝜗𝜚˚

Mi sveglio di colpo con gli occhi stralunati. Mi guardo intorno agitando la testa spaventato, il petto che sale e scende a causa del fiato corto.

Sbuffo sonoramente prendendomi la testa tra le mani quando mi accorgo di cosa è successo.

Un'altro incubo, sempre lo stesso.

L'immagine di quegli uomini che danno fuoco al mio braccio mi perseguita dal giorno dell'accaduto. È come se non potessi sognare altro oltre a questo, la scena è dipinta sulle pareti più oscure della mia mente come un affresco.

Il mio cervello non fa altro che riprodurre in continuazione la situazione, come se fosse un loop senza fine e io ci fossi finito dentro per un po' di sballo a diciassette anni. Se potessi tornare indietro, però, lo rifarei cento volte, se solo avessi la certezza di incontrare i ragazzi e Camille, prima o poi.

Mi costringo ad alzarmi e fare qualcosa a caso pur di non pensarci.

Prendo dei vestiti dall'armadio e, mentre li indosso, tengo gli occhi chiusi: non ho il coraggio di vedere il mio riflesso all'interno dello specchio. Ho paura di ciò che potrei vedere, perché quando mi guardo vedo solamente un difetto.

È come se il resto del mio corpo sparisse e alla mia vista esistesse solamente il mio avambraccio destro, ormai interamente coperto da una grossa cicatrice.

Proprio per questo motivo mi vesto velocemente e, allo stesso modo, mi lavo la faccia. Dopodiché corro in cucina ignorando totalmente qualsiasi cosa mi sussurri il cervelletto.

Mi fiondo nella stanza e, non appena vi metto piede, noto che anche Dean, come me, è sveglio e sta preparando la sua colazione.

Si trova davanti alla macchina del caffé e quando si accorge della mia presenza è stupito. «Che ci fai sveglio a quest'ora?» chiede alzando le sopracciglia con fare sorpreso, voltandosi verso di me. La sua espressione è accompagnata da un sottofondo di musica anni 70, che riconosco essere Starman di David Bowie.

Confuso, mentre canticchio insieme a lui, tiro fuori il cellulare e guardo l'orario sullo schermo: segna le sei di mattina.

Oh cazzo, sono stupito di me stesso.

Sono sempre stato il tipo di persona che, se la lasci dormire senza svegliarla, sarebbe capace di dormire anche fino a due giorni dopo. Spesso vengo dato per disperso o scomparso, quando in realtà sono semplicemente nella mia camera da letto.

Alzo le spalle mordicchiandomi la lingua. «Non lo so, non riuscivo più a dormire.» dico con non chalance.

Lui annuisce arricciando le labbra e prende una tazza anche per me, così da metterci dentro il cappuccino.

Io, intanto, lo aiuto a preparare la tavola.

«Camille?» domanda incuriosito, riferendosi a ciò che gli ho raccontato ieri notte.

Scuoto la testa, ormai rassegnato. «Forse sta davvero solo dormendo.» ipotizzo, ma in realtà sto solo cercando di convincere me stesso che sia così.

Non voglio farmi tutte queste paranoie, ma se uno degli uomini di Anderson ci avesse visti insieme e le avesse fatto qualcosa? Non potrei sopportarlo, non riuscirei a vivere tranquillo con consapevolezza che è colpa mia.

TornDove le storie prendono vita. Scoprilo ora