Capitolo 3 - Ancora tu?

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Su Roma, quel giorno, calò la sera, portando con sé il dolce brulicare di vita e divertimento, tipici dei mesi estivi nella capitale. Dopo il tramonto, nelle vie secondarie l'atmosfera del centro storico si animava di uno spirito diverso. Il caos frenetico dei turisti mordi e fuggi lasciava spazio al sapore delle cene gustate all'aperto, alle risate dei capannelli di ragazzi in piedi fuori dai locali, agli anziani che si radunavano nei bar per una partita a carte o se erano fortunati per una sfida a bocce.
L'estate a Roma era leggerezza che profumava di nuove conoscenze e fugaci amori, consumati in appartamenti con le finestre spalancate per non soccombere alla calura.

Non per Harry, però.
Harry era già alla sua quinta birra. Aveva optato per l'Ichnusa non filtrata, suo solo e unico piacere capace di mettergli a tacere le voci scomode che gli martellavano nella testa da quando era scappato dalla bottega. Incurante dei suoi jeans bianchi sedeva su un gradino non troppo pulito, davanti a una saracinesca abbassata. Accanto a lui, dalla porta del pub lasciata aperta, un viavai di ragazzi andava a rifornirsi di alcol per poi tornare a chiacchierare in strada, alla luce gialla dei lampioni.

Nel dar fondo all'ennesima bottiglietta di birra, alzò fugacemente lo sguardo che per tutta la sera si era concentrato sui sampietrini.

"Dio no, ancora tu, ma che cazzo"
Solo quando Harry parlò, senza riuscire a frenare il proprio flusso di pensieri, Louis si accorse della sua presenza. Il ragazzo riccio sembrava provato, tra i capelli arruffati, la camicia stropicciata e lo sguardo vacuo di chi è un po' più che dignitosamente brillo.

"Credevo che Sua Maestà si dissetasse solo con del tè rigorosamente inglese" insinuò Louis, alzando un sopracciglio nel vederlo in quella ulteriore versione inedita.

"Il tè è troppo fottutamente silenzioso" rispose Harry appoggiando la bottiglia ormai vuota sul gradino "anzi, butterò nella spazzatura quelle fottute teiere del cazzo appena torno in quella fottuta casa"

"Ehi, Principessa, mi domando come tu abbia potuto sorseggiare il tuo tè regale fino ad oggi con quella bocca impudente".

Harry meditò qualche istante "in effetti la mia casa non è fottuta, io amo quella casa, non volevo davvero definirla fottuta" disse poi ridacchiando, come se il solo pensiero di quel luogo l'avesse fatto uscire dalla bolla di mestizia.

"Va bene, è tutto fottuto tranne la tua adorabile casa... e me" aggiunse infine, con amarezza.
"Dio mi sembra di sentire Gemma, è un incubo, esci dalla mia testa" mugugnò agitando in maniera scomposta una mano in aria.
"Ehi. Sono ben lontano dalla tua testa come puoi constatare... e da qualsiasi altra parte del tuo corpo" ribatté il commesso, guardandolo di traverso. "Anzi, se permetti, andrei a godermi la mia serata almeno a livello alcolico, visto che Zayn ha altri programmi".
"Zayn sembra gentile" dichiarò il riccio, dopo aver annuito senza alcun tipo di ragione.
"Zayn è il mio migliore amico ed è un grandissimo stronzo."
"Tu sei un grandissimo stronzo" annuì di nuovo Harry, come se stesse avendo una conversazione parallela nella sua testa.
"Mi domando perché io ancora ti stia a sentire. Con permesso, Principessa" sputò Louis, prima di muovere un passo verso la porta del locale.
"E mi abbandoni qui così?"
"Che io ricordi non siamo venuti qui insieme, tecnicamente non ti sto abbandonando, ti sto lasciando come ti ho trovato" preciso il ragazzo della bottega.
"E se mi sentissi male? E se qualcuno mi rapisse? E se non riuscissi più a trovare la mia adorabile casa?" incalzò Harry, con una cantilena melodrammatica. Poi, facendo leva sulle gambe, si alzò in piedi con eccessiva rapidità, finendo per perdere rovinosamente l'equilibrio.

Un profumo di tabacco invase le sue narici, mentre il suo naso andrò a incastrarsi in qualcosa di morbido.
Quell'attimo sembrò durare ore: mentre Louis reggeva con le sue mani forti i fianchi definiti di Harry, il ragazzo riccio si gustava la dolce conca che la curva del collo di Louis gli aveva offerto.
Restarono in silenzio, lasciando al vociare di sottofondo l'arduo compito di mettere a tacere i rispettivi pensieri. Si respirarono, mentre tocchi impercettibili saggiavano le reciproche pelli.
Harry allungò le labbra bagnate sulla porzione di pelle sottostante e vi lasciò dei piccoli e umidi baci.
Louis, preso alla sprovvista, non poté fare altro che chiudere gli occhi trattenendo quel gemito che era pronto a lasciarsi sfuggire. Mosse lievemente i polpastrelli sui fianchi di Harry, godendosi il calore che il ragazzo irradiava.
Quando Harry sfiorò la clavicola con la punta della lingua, Louis fece un passo indietro, spostando la presa sugli avambracci.

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