Je- Petite Whore

69 0 0
                                    

L'ultimo cliente del Café Uzumaki temporeggia ormai da minuti al bancone- seduto di fronte ad un bicchiere di liquore ambrato in cui galleggia una biglia di ghiaccio

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

L'ultimo cliente del Café Uzumaki temporeggia ormai da minuti al bancone- seduto di fronte ad un bicchiere di liquore ambrato in cui galleggia una biglia di ghiaccio. Attorno a lui l'odore di caffè fresco di macinazione si mischia ad un sentore di pulito che pizzica le narici. Ai piedi degli alti sgabelli, le ultime passate di acqua e disinfettante disegnano pennellate furtive sulla tela incompleta che è il pavimento.
L'orario di chiusura è passato da ben tredici minuti, eppure l'avventore non sembra volersi schiodare dal suo posto- né tanto meno pare intenzionato a consumare la sua ordinazione in un tempo ragionevole.
Al contrario, scivola i polpastrelli sul vetro appannato, vi traccia qualche linea e li sfrega poi tra loro per asciugarli dalla fredda condensa.
È stranamente silenzioso, quella sera. Con aria assorta si scruta le lunghe dita affusolate, se le asciuga sull'elegante pantalone color sabbia e piega le labbra in un morbido sorriso.
«È andata così», sussurra infine tra sé, attirando l'attenzione della bella cameriera, che gli lancia un'occhiata guardinga da oltre il bancone.
«Dazai-san? Hai detto qualcosa?», gli domanda. Si era quasi dimenticata della sua presenza, normalmente ingombrante e chiassosa.
«No, stavo solo pensando ad alta voce. Te li pagano gli straordinari?»
«Il giusto», risponde la cameriera, riprendendo a lustrare il lavandino.
«Il giusto non è abbastanza quando a rimetterci è il tuo tempo libero»
«Quanto mi trovi d'accordo», ribatte lei, rivolgendogli un sorriso forzatamente cordiale. «Se non fossi entrato da quella porta a due minuti dalla chiusura- a quest'ora non saremmo ancora qui»
«Soli soletti... già. C'è da ringraziare il mio tempismo».
Ed eccola, la risposta alla Dazai che Belladonna si aspettava di ricevere. Non gli risponde, ha smesso ormai da tempo di sperare che il bel detective si decida una buona volta a mollare il colpo con lei. Lascia che quell'ennesimo tentativo di sedurla vada a vuoto e riprende a pulire e lustrare in paziente attesa che finisca il suo liquore ormai annacquato. Non è la prima volta che si ritrova da sola con lui, eppure quella sera le sembra ci sia un'aura insolita ad avvolgerlo, cupa quasi, che lo sospende a mezzo tra le nuvole e il suolo.
Lo osserva distrattamente in quel suo cappotto chiaro che ne accentua le linee slanciate e smilze. Il colletto bianco della camicia, cinto dal diadema di pietra levigata. Il gilet scuro dallo scollo ampio. Gli eleganti pantaloni color sabbia. Le braccia e il collo fasciati da metri e metri di bendaggi sbucano dai vestiti in tutta la loro esile magrezza.
Tutto è al suo posto, come sempre- eppure Belladonna ha la vaga sensazione che negli occhi del detective aleggi qualcosa di inedito. Quasi si sia spento un bagliore, offuscandone le iridi d'ebano e conferendo loro una sfumatura più cupa.
Dazai si alza dallo sgabello con un movimento fluido. Lo sguardo basso non supera la linea del bancone. Le labbra sono ammorbidite da un sorriso appena accentuato. In piedi accanto alla seduta, sfila un foglietto di carta dalla tasca interna del cappotto, lo osserva per qualche attimo e lo inchioda con due dita sul ripiano in legno.
Non dice una parola, vuota solo il bicchiere e lo riappoggia accanto al rettangolo di carta in un allegro tintinnare di ghiaccio sciolto.
Sembra compiaciuto di sé quando Belladonna si avvicina.
«Dovrebbero bastare per coprire i miei debiti», esordisce, infilzandole gli occhi coi suoi, d'un tratto aperti e fiammeggianti. Ma prima che lei possa afferrarlo, le dita di Dazai trascinano indietro l'assegno sul bancone, allontanandolo dalle mani della cameriera. «Quanta fretta-».
La povera donna è esasperata a questo punto, ma non si sforza nemmeno di indovinare quali siano le intenzioni del detective. È fuori discussione anche solo provarci, cercare di intuire i pensieri di quella volpe è un'impresa che ha dell'illusorio, figurarsi a volerne prevedere le mosse.
Si limita a ricambiare il suo sguardo fermo.
Poi, con un cenno del capo Dazai la invita a raggiungerlo oltre il bancone. È la sua espressione a convincerla ad assecondarlo, la serietà sul volto di Dazai è un fenomeno raro a vedersi. Genera sorpresa, sgomento, curiosità.
Belladonna aggira il bancone sotto gli occhi fermi di lui, senza perderli di vista, sembra quasi stiano per cimentarsi in una danza sulle note di una musica che soltanto loro due possono sentire.
Lo affianca. Scivola gli occhi su quelle due dita affusolate che inchiodano ancora l'assegno al ripiano e di nuovo alza lo sguardo sul volto insondabile del detective.
I secondi si rincorrono muti.
Poi si dilatano, fagocitati dallo spazio che Dazai si premura di divorare in un battito di ciglia- e il contatto fra le loro bocche è immediato, ricorda quello di due magneti finiti troppo vicini l'uno all'altro.
È una collisione umida, fresca. Il sapore amarognolo del liquore viene subito soppiantato da una nota più calda quando Dazai sbuffa un sorriso fra le labbra della cameriera. Piegando lievemente il capo, gliele sigilla quindi in un secondo bacio, socchiudendo gli occhi in quelli sgranati di lei.
Ancora qualche breve attimo di silenzio e immobilità, dopodiché il detective rialza il capo e si discosta dalla sua bocca in uno schiocco dolce e bagnato, che cola sul pavimento ed evapora al contatto con le piastrelle ormai asciutte.
Quando Belladonna torna in sé, è sola. La porta sul fondo del locale si è appena richiusa e il profilo slanciato di Dazai sta già scivolando come un'ombra oltre le vetrate opache. Di lì a pochi istanti, sparisce del tutto, lasciando a testimonianza del suo passaggio solo la cifra scritta in bella grafia sull'assegno.
Nel leggerla- alla cameriera viene quasi un colpo.

Mani in tasca, passo lento e sicuro, sguardo basso. Dazai arresta il suo incedere nei pressi di uno stretto sentiero che dal lato del marciapiede si arrampica su per un dolce poggio erboso.
Volge il capo in direzione della sommità, così che gli occhi si possano soffermare per qualche istante sulla linea irregolare del crinale, spezzata dal profilo di decine e decine di lapidi.
Ne sorride tra sé. Gli sembra di osservare la schiena ricurva di un gatto arrabbiato, con la collottola gonfia e ispida di peli drizzati. In un certo senso lo trova piuttosto sensato.
Passato oltre il piccolo cimitero, si ferma nuovamente nei pressi dell'incrocio sul fondo della via. Ai piedi del primo palo che sorregge l'enorme semaforo del crocevia, una buca di forma concentrica frammenta l'asfalto in tozzi di cemento incassati nel suolo.
Una voragine che, seppur di modeste dimensioni, basta a urticargli l'animo. Distogliere gli occhi stavolta si rivela cosa già più ardua. Come ai piedi del cimitero sull'altura, i ricordi emergono in completa autonomia. Sciamano caotici e rapidi davanti alle iridi scure di Dazai, impigliandosi nelle crepe del cemento e riempiendole di rosso.
È quello un rosso che riconosce all'istante. Il rosso di Chuuya- ma non è lo stesso con cui l'ex partner ha scavato la buca al lato dell'incrocio, nel bel mezzo di uno scontro in strada tra bande criminali.
Quello che vede ora Dazai è un rosso di diversa consistenza. Liquido e copioso, sgorga incessante dalle crepe nel suolo e si espande tutt'attorno, inondando l'incrocio, la strada, il quartiere fino a ricoprire l'intera Yokohama di sangue.
Con un guizzo gelido Dazai sbatte le palpebre e riemerge da quel tripudio di rosso che per un attimo gli ha allagato la mente. Si volge indietro per scrutare la strada percorsa sino a lì- e la trova desolata, buia, vuota. Senza più un'anima.
Un alito di vento freddo si alza dalle viscere della città e lo fa rabbrividire nel cappotto, sospingendo i suoi passi e incalzandolo a riprendere il cammino.
Non gli è concesso di stare lì, adesso. E lui lo sa bene. Non ha alcun diritto di soffermarsi. Né di provare nostalgia. Non gli è concesso di provare compassione o di ambire al perdono.
Se anche il mondo si trovasse ad un passo dalla sua distruzione, Dazai ha già messo in chiaro la natura che governa le sue scelte. Con una sola decisione ha dimostrato al fianco di chi scenderebbe in campo- e quale invece lascerebbe scoperto.
Se poi Chuuya farebbe o meno lo stesso, a parti inverse, ormai è persino inutile domandarselo. Non è possibile scoprirlo, e non lo sarà oggi, né domani- né fra vent'anni. È soltanto Dazai, al momento, a conoscere la risposta.
A parti inverse- Chuuya sarebbe rimasto a guardarlo scivolare giù?
È questa la domanda che incalza Dazai a lasciarsi alle spalle l'incrocio e il cratere nel cemento.
Le mani sempre in tasca, lo sguardo sempre basso, il passo sempre lento.
Ma gli occhi- di fronte a quella sua risposta silenziosa- mutano ancora una volta, gonfiandosi di una consapevolezza liquida.

È Rosso nelle Crepe che hai lasciato Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora