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Una coincidenza diventa sospetta quando si ripresenta per la seconda volta

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Una coincidenza diventa sospetta quando si ripresenta per la seconda volta. E a quanto sembra Suribachi ha deciso di accogliere il ritorno di Chuuya con stelle filanti senza coriandoli o carnevali in atto. Lunghe, bianche, strappate e consunte, ne ha già trovate due e in due punti distinti dei bassifondi, fra loro difficili da collegare. Ondeggia mossa dal vento, quella in cui si è appena imbattuto, racchiudendo in sé ogni risposta che Chuuya sta cercando.
Sollevatosi ad un metro dal suolo, allunga la mano guantata verso la benda impigliata tra i fili della rete metallica. La libera e torna coi piedi a terra. Gli occhi bassi scorrono sul suo tessuto liso e sporco, in tutto e per tutto simile a quello delle fasciature usate da Dazai.
Ti ho trovato.
Chuuya è ormai certo che il partner sia nascosto in una di quelle casupole fatiscenti, nel cuore della voragine di Suribachi. Eppure quelle bende abbandonate gli ritornano un dettaglio fuori posto, un indizio fin troppo evidente di una condizione che al contrario non dovrebbe essere messa su piazza.
«Quale latitante lascerebbe indizi alla mercé di chiunque?», si domanda, voltandosi indietro.
Degli occhi lo stanno osservando, lui lo sa bene, se ne stanno nascosti tra gli anfratti dei cementi che affollano l'incrocio.
Il silenzio si addensa, Chuuya volge gli occhi attorno con discrezione. Sbuffa.
«Se esci di tua spontanea volontà non ti farò niente», graffia la sua voce.
Non accade nulla- finché, sospinti da uno squassarsi del tutto arbitrario del suolo, tre ragazzini fra i dodici e i quattordici anni si decidono ad emergere dall'ombra. Strillano e sgambettano via in ogni direzione, evitando alla meglio le crepe nel terreno, mentre la strada scricchiola e sdrucciola come sabbia asciutta sotto ai loro piedi.
Uno riesce a darsela a gambe, un altro prima di dileguarsi inciampa a terra e si spacca il mento. Per il terzo, invece, nulla da fare: Chuuya gli compare alle spalle nel tempo di un respiro. Lo afferra dallo scollo della maglia e lo solleva in aria come un cucciolo arruffato.
«Quante scene! Piantala di urlare come un poppante, non ti sto facendo ancora nulla!», borbotta il rosso, mentre quello scalcia e si dimena a mezz'aria.
«Lasciami, lasciami andare! Non so niente, non ho visto nulla, non conosco nessuno!».
Chuuya sbuffa un sorrisetto, riconoscendo all'istante quelle tre regole auree della strada. Erano state leggi anche per lui, un tempo.
«Avanti, due chiacchiere veloci e ti lascio raggiungere i tuoi compagni. Promesso», lo rassicura, appendendolo alla sbarra arrugginita della rete metallica. Il ragazzino cerca fino all'ultimo di divincolarsi e tornare coi piedi a terra, ma è tutto inutile, Chuuya gli torreggia davanti con l'aria di chi non concede vie intermedie.
Con un gesto fluido, sfila da sotto il lungo cappotto la fasciatura. Non dice una parola mentre gliela mostra, eppure al ragazzino quella benda risulta già sufficiente per animarsi di un vivido orrore.
Le labbra di Chuuya si tirano in un sorriso vittorioso.
«Bingo».

A quattro mesi dal suo arrivo, Dazai si è già misurato coi criminali del posto, ha fiutato le faide tra organizzazioni nemiche, sfruttato alleanze e inimicizie per trarre piccoli vantaggi, venduto informazioni in cambio di favori- e guadagnato una nomea tale per cui anche i pezzi più grossi lo considerano intoccabile.
Ma quella vecchiaccia, no- non c'è modo di sconfiggerla.
«È un mastino!», borbotta tra sé, scorgendola battere il perimetro del suo cortile avanti e indietro, armata di un fucile a canne mozze che con tutta probabilità non vede l'ora di usare contro di lui.
Possibile che in un posto del genere persino il delinquente più pericoloso si guarderebbe dal disturbarlo- mentre una vecchina si prende la briga di fargli le poste?
«Come diamine faccio ad andare casa, adesso?!», piagnucola stizzito, rimpiangendo la sua Makarov PM. «Non posso nemmeno ucciderla, maledizione!».
È così che lo trova. Accucciato dietro ad un muretto, sporto di mezza testa dalla sommità, mentre sbircia sul fondo della via la ronda instancabile di un'anziana signora.
Immobile alle sue spalle, Chuuya batte allibito le palpebre. «Dazai?»
«Ssh!!! Non sono qui!!! Sta zitto!», sussurra lui, facendogli un cenno perentorio con la mano. Poi, quando se lo ritrova accanto, lo afferra dalla giacca e lo trascina a terra. «Cosa non ti è chiaro?!! Oh- Chuuya! Sei tu? Che bella sorpresa, capiti al momento giusto come sempre!».
Il ginger non riesce a reagire in alcun modo. Scruta quel volto sorridente che ricalca alla perfezione i tratti del suo partner, riconoscendolo a stento.
«Si può sapere cosa diavolo stai facen-». Le dita di Dazai gli richiudono prontamente la bocca.
«Non ora. Non qui. Prima la vecchia», ribatte e guizzando sulle gambe lo trascina con sé verso il margine opposto della strada.
È una scena che ha del paradossale, quella: il Doppio Nero, l'ex sodalizio più temuto e pericoloso della nazione intera- messo in fuga da una vecchina.
Non appena i due trovano rifugio nella dimora di Dazai, Chuuya fatica ad assimilare quanto appena accaduto: è dovuto ricorrere alla sua abilità per coprirgli le spalle fin dentro casa e salvargli la pelle dalla furia della signora.
«È fatta! Quell'arpia maledetta ha cominciato a giocare duro, non c'è che dire», sospira l'ex dirigente della Port Mafia, lasciando sempre più attonito il vecchio partner.
Ma prima che l'altro possa aprir bocca, la porta in ferro dell'entrata finisce crivellata da una scarica assordante di proiettili. Sistemandosi il cappello sul capo, Chuuya si volta indietro con più di una domanda per quella signora partorita dagli inferi. «Si può sapere cosa le hai fatto?!»
«È convinta che le rubi i fiori dal giardino. Che vuoi che ti dica?, certe nonnine più vanno avanti con l'età e più diventano allergiche ai bei giovanotti!». Altri spari. Un'imprecazione. La nonna-mastino batte in ritirata. Dazai e Chuuya possono finalmente prendere atto di essere l'uno di fronte all'altro dopo la bellezza di quattro mesi.
«E così mi hai trovato».
Chuuya misura attentamente il sorriso mansueto sul volto di Dazai, ben consapevole che può nascondere il più infimo dei sotterfugi. Si dà poi un'occhiata attorno, in quella catapecchia che definirla tale è già un atto di generosità. «Bene bene... credevo di averle viste tutte, ma questa supera ogni fantasia. Cos'hai in mente, Dazai?»
«Parli della casa? Che c'è, non ti piace?», si rabbuia l'altro. «È per l'umidità, vero? In effetti è un po' umida, sì-»
«Non cercare di fottermi, maledetto. Se te ne stai nascosto in questo sudicio buco dimenticato da Dio, sicuramente hai delle motivazioni convincenti»
«Esatto», conferma il moro, annuendo ancora più mansueto. «Sto aspettando che lassù chi di dovere si metta all'opera, così potrò tornare a Yokohama da incensurato-».
Incensurato?! Dazai?! L'uomo che da solo contava più capi d'accusa di tutto il panorama criminale messo insieme?!
«E pensi davvero che me la beva?».
Dazai si stringe nelle spalle. «È la verità. Tu piuttosto, perché sei qui?»
«Perché?! E me lo domandi anche?!! Io e te eravamo partner- prima che decidessi di sparire nel nulla e battere la strada dell'ascetismo, te lo sei dimenticato?!». Il livore monta nelle sue vene tutto in una volta, ricordandogli del motivo che lo ha condotto fin laggiù. Vuole metterlo con le spalle al muro. Umiliarlo. Fargli provare sulla sua pelle cosa si prova ad essere preso e scartato come un giocattolo rotto, senza una spiegazione, un preavviso, niente di niente.
Accecato dall'odio, Chuuya lo incalza verso il fondo dell'ambiente. I suoi occhi si accendono di astio in quelli di Dazai, che retrocede sotto quello sguardo furente senza lasciar trapelare alcunché sul volto, al di là di un sorriso vagamente mortificato.
«Avanti, Chuuya!», deglutisce, indietreggiando verso il muro.
Le dita del ginger lo afferrano al collo. Stringono a fondo nella carne, inchiodandolo contro la parete. Dazai deglutisce, socchiudendo le palpebre sotto la sua stretta. «Cosa vuoi fare, uccidermi?»
«Voglio la verità»
«L'hai già sentita-»
«Perché sei qui?», esclama Chuuya, inflessibile.
«Te l'ho detto»
«No! Voglio la vera ragione, dimmi cosa stai pianificando!».
La bocca di Dazai si inclina in una smorfia dura. La stretta al collo comincia a levargli il respiro e la voglia di scherzare, ma non la lucidità. Cingendogli il polso, si sforza di tenere gli occhi  aperti e inforca i suoi con sguardo fermo e presente. «Non- c'è nulla, Chuuya. Nessun piano».
I denti del rosso si serrano in una morsa belluina. Le dita affondano nella trachea. L'hai detto, pensa in preda alla collera, guardandolo annaspare in cerca di ossigeno.
Non avevi un piano. Non c'era una sola fottuta ragione. L'hai detto. L'hai detto sul serio.
«Quand'è così-», sibila. In uno scoppio di rabbia cieca Chuuya rinsalda la presa al collo di Dazai e lo scaraventa via, facendolo schiantare brutalmente contro la parete opposta della stanza.

È Rosso nelle Crepe che hai lasciato Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora