All'inizio le giovani sentinelle non si fidavano di Nemesi e le stavano alla larga.
Con il tempo però avevano imparato ad apprezzare l'animale che non si allontanava mai troppo da Bianca: anche se non la vedevi potevi essere sicura che fosse nelle vicinanze e al primo richiamo si sarebbe materializzata al fianco della padrona. Inoltre la pantera aveva rivelato un insospettabile lato coccolone: amava le carezze ed i grattini sulla testa e spesso si gettava ai piedi di Anita che era diventata la sua prediletta, a pancia in su per meglio ricevere le coccole.
Adesso che un viaggio più lungo e pericoloso del solito li aspettava erano contenti di sapere che Nemesi li avrebbe seguiti come un'ombra, pronta ad attaccare chiunque li avvicinasse con intenti bellicosi.
Erano diretti ai resti della Grande Strada ed erano partiti all'alba, con enormi zaini sulle spalle.
Camminarono a lungo, in silenzio, ognuno preso dai propri pensieri.
Liam guidava il gruppo, lo sguardo perso all'orizzonte. A chi non lo conoscesse poteva sembrare un giovane vagabondo, uno che va dove lo portano le proprie gambe, senza meta, ma tutti nel piccolo gruppo sapevano che non era affatto così. Liam aveva in testa ogni tragitto che i suoi piedi avevano percorso, ogni singola collina, albero, pietra su cui avesse posato, anche una solo volta, il proprio sguardo. Non solo: ricordava con esattezza come l'orizzonte appare in ogni luogo da lui esplorato e nella sua mente erano archiviate tutte le mappe che Magister gli aveva fatto vedere; vecchie mappe della zona e di paesi lontani che avevano scovato nei libri della biblioteca. Lui stesso poi aveva tracciato la cartografia dei luoghi intorno alla Cittadella e prima di partire aveva infilato nello zaino la sua creazione più recente e particolareggiata, che chiamava semplicemente "la mappa", ma non certo per consultarla, non ne aveva bisogno, l'aveva portata solo per poterla aggiornare ed ampliare.
Dietro di lui camminavano Anita e Bianca. La prima teneva lo sguardo rivolto verso il basso, puntato sui piedi del fratello, e sembrava preoccupata, immersa in pensieri che le facevano a tratti corrucciare le sopracciglia. Era in corso uno dei dialoghi interiori che le servivano a volte a chiarirsi le idee, altre volte a cacciare i timori e le piccole angosce che assalivano la sua mente sempre attenta ad ogni particolare, sempre pronta ad analizzare ogni piccolo evento e le sue motivazioni, in un turbinio di pensieri e congetture.
Bianca al contrario teneva lo sguardo alto e scrutava con attenzione intorno a sé, la mano destra pronta a scattare verso l'arco che teneva appoggiato sulla schiena alla minima percezione di movimento: poteva trattarsi di un nemico, o di una preda, in entrambi i casi valeva la pena tenersi pronti.
Nathan chiudeva il gruppo. Era il più forte e trasportava lo zaino più pesante. Sguardo dritto davanti a sé, passo sicuro, mostrava il tipico atteggiamento di un giovane capitano che veglia sui propri compagni.
Nemesi non si vedeva e dopo un paio d'ore di cammino i ragazzi si erano praticamente dimenticati di lei.
Erano partiti quando i primi raggi di sole erano apparsi ad oriente e si fermarono solo quando il sole alto ed implacabile sopra le loro teste rendeva il cammino un'agonia troppo grande da sopportare.
Bianca tirò fuori dal suo zaino la carne salata e le focacce al mais e in silenzio mangiarono tutti, accompagnando il semplice pasto con succo di cactus allungato con acqua.
Si trovavano in una zona chiamata Fonte antica. Era uno dei luoghi preferiti da Anita, ma anche gli altri lo amavano, perché non era un piatto deserto, un misero boschetto o un'altura di nuda roccia; era una vera piazza! Si una piazza quasi perfettamente integra, non i soliti resti irriconoscibili, non pietre scagliate da un pazzo rabbioso e crudele contro il terreno, né lamiere contorte e semi liquefatte dal calore: una piazza con le facciate degli edifici tutt'intorno, un pavimento di mattoni rossastri posti l'uno accanto all'altro a spina di pesce, e nel centro, esattamente nel centro, una fontana. In mezzo alla vasca circolare c'era una sirena dai lunghi capelli ed un'espressione malinconica sul volto; portava in grembo una grande conchiglia dalle morbide volute dalla quale un tempo zampillava l'acqua che ricadeva nella vasca. Anita aveva disegnato decine di volte quella fontana, riprendendola da ogni angolazione, disegnandone particolari sempre più piccoli ed accurati, una mano, il volto, la coda, la conchiglia. Aveva ritratto con la sua sottile bacchetta di grafite il volto della piccola sirena, ma non era mai soddisfatta dell'effetto finale perché a suo dire non era ancora riuscita a catturare il potere di quello sguardo, di quelle vuote orbite di marmo bianco, che riuscivano ad essere dolci e struggenti ma allo stesso tempo crudeli e distanti. Come ogni volta aveva tirato fuori il suo materiale da disegno, il grande album pieno di schizzi, ogni pagina riempita fino ai bordi poiché la carta non era certo un bene da sprecare, e si era messa a disegnare. Gli altri si stavano riposando sotto una tenda improvvisata con un telo tirato sopra alle rovine di un vecchio edificio, un'abitazione, un negozio, un museo, chissà, non era più possibile scoprirlo.
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Le Sentinelle del Sale
Science FictionIn pochi sono sopravvissuti alla Grande Distruzione, ancora meno coloro che hanno superato i lunghi anni delle Mille Piaghe. Adesso è arrivato il momento della rinascita, ma non tutti mirano a ricostruire una civiltà pacifica e tollerante. C'è chi c...