Prologo

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D o d i c i   a n n i    p r i m a


Ricordo. O forse non ricordo.
È difficile capire cosa sia reale e cosa non lo sia quando si è piccoli. È come guardare attraverso un vetro bagnato, come quando la pioggia scende a fiumi e tutto si confonde.

Il mondo era così per me, una volta.
O forse lo è ancora.

Non so quando è cominciato il sogno e quando è finito, se mai è finito davvero. Ci sono giorni in cui cerco di afferrare quei ricordi, di dare loro una forma, ma mi sfuggono come sabbia tra le dita. Più cerco di trattenerli, più si disperdono.

C’è una figura, o forse no.
È più come un’ombra.

È difficile darle un volto, una forma, come se fosse fatta di nebbia. Non ricordo i suoi occhi, non ricordo il suo sorriso, ma ricordo la sensazione che mi dava. Era come una coperta calda nelle notti fredde, quando il vento ululava fuori e tutto sembrava minaccioso. Mi avvolgeva in un abbraccio silenzioso, e io mi sentivo al sicuro, protetta.

Ma chi era? Questa è la domanda che mi perseguita. Forse era solo un sogno, o forse era reale, ma io non so più distinguere tra i due.

Mi piacerebbe pensare che fosse reale, perché quel calore era vero, lo sentivo. Lo sentivo nelle sue mani, quando mi sfioravano la fronte, quando mi accarezzava i capelli, con una delicatezza che sembrava impossibile, come se temesse di farmi male. Forse era una mamma, forse era la mia mamma, ma non posso dirlo con certezza.

Le sue mani erano leggere, e quando mi toccavano sembrava che il mondo intero si fermasse. Non so se fosse davvero lì, se mi stesse davvero accarezzando, o se era solo la mia mente a creare quell’illusione per farmi sentire meno sola.

C’è un profumo, anche, ma non riesco a definirlo. Dolce, ma non troppo.

Qualcosa di familiare, qualcosa che non riesco a riconoscere più. Era come l’odore di un posto sicuro, un posto dove non avevo paura. Ricordo che cercavo di afferrare quel profumo, come se potessi trattenerlo per sempre, ma scivolava via, svaniva, lasciandomi con una sensazione di vuoto.

Ricordo una voce, sì, una voce. Cantava. Era una melodia dolce, dolcissima. La sua voce si muoveva come l’acqua, fluida, senza intoppi. Mi avvolgeva come una coperta, e io mi sentivo al sicuro.

Non ricordo le parole, o meglio, non le ricordo tutte. Ricordo solo frammenti, piccoli pezzetti che si ripetono nella mia mente, ma sono sfocati, come tutto il resto.

Forse cantava qualcosa di semplice, una di quelle canzoni che si cantano ai bambini quando sono tristi, per farli addormentare. O forse no. Forse la canzone parlava di un posto lontano, un posto felice, dove non c’era dolore.

Ma le parole… le parole sono come nebbia. Ogni tanto cerco di afferrarle, ma scivolano via, svaniscono prima che io possa stringerle. «il mare… non teme la notte profonda…» forse diceva così, ma non ne sono sicura. Era una promessa, forse, o una bugia. «non c'è onda… abbastanza alta… da fermare... il tuo canto...» Ma chi può dirlo? Le parole si dissolvono come polvere al vento.

Le immagini si mescolano nella mia testa. A volte mi sembra di vedere un sorriso, un sorriso dolce che mi guarda dall’alto. Altre volte è solo un’ombra, un’ombra che si allunga e si dissolve, lasciandomi sola.

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