19. Throw on your dress and put on your doll faces

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"La bambina giaceva rannicchiata in un angolo della cella fredda, le mani strette attorno alle ginocchia, il corpo un groviglio di dolori vecchi e nuovi

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"La bambina giaceva rannicchiata in un angolo della cella fredda, le mani strette attorno alle ginocchia, il corpo un groviglio di dolori vecchi e nuovi. La stanza puzzava di sudore stantio e sangue secco, il soffitto basso e soffocante, senza finestre a lasciar entrare luce o aria. I Pirati del Sangue non avevano bisogno di queste cose. La luce, per loro, era solo un dettaglio inutile, un fastidio che distraeva dal vero obiettivo: la sofferenza.

Il primo giorno, la bambina aveva cercato di capire perché. Perché l'avevano presa, perché il suo corpo era diventato il loro campo di gioco perverso. Ma dopo pochi minuti, poche ore, la comprensione non serviva più. Non c'erano risposte da trovare, non per una bambina, non quando la tua stessa pelle diventava il primo strato di una lunga, infinita tortura.

Ogni passo, ogni azione, era studiata con cura. La prima volta che la misero sul tavolo di metallo, la sua pelle nuda e fredda contro la superficie liscia, i suoi occhi cercavano disperati un volto umano, qualcuno che le spiegasse cosa stava succedendo. Ma gli uomini in bianco, con i loro camici impeccabili e gli sguardi impassibili, non offrivano niente. Niente oltre alle loro mani guantate e ai loro strumenti. Il tavolo si inclinava leggermente, e piccoli ganci scattavano dai lati, afferrando i polsi e le caviglie, tenendola ferma. La prima sensazione fu quella del metallo gelido contro la carne, un freddo che penetrava fino alle ossa. Ma quel freddo non sarebbe durato a lungo.

Il chirurgo – o forse era solo un torturatore, in fin dei conti i Pirati del Sangue non facevano distinzioni – si avvicinò lentamente. Una lama affilata brillava nella sua mano, il bagliore argenteo riflesso negli occhi della bambina. Nessuna spiegazione, nessuna parola. La lama si avvicinava alla sua pelle con la precisione di chi aveva fatto questo centinaia di volte prima. La bambina trattenne il fiato, aspettando il taglio, l’esplosione del dolore. Ma non arrivò subito. No, perché quei bastardi sapevano come giocare con la mente tanto quanto con il corpo.

Prima, uno strumento sottile, una sorta di ago lungo e grosso, venne premuto sulla sua pelle. Sentì il suo respiro farsi corto, il cuore battere nel petto come un tamburo in una festa macabra. Lo sentì scendere lentamente, affondare nei suoi muscoli, spingere contro le ossa. Il dolore non era una fitta, era un'onda, un’onda lenta e costante che si insinuava dentro di lei, facendo tremare ogni fibra del suo corpo. Sentì le lacrime spuntare dagli occhi, ma non le diede voce. Perché lo sapeva, o lo stava imparando: gridare li rendeva solo più felici. E non voleva dargli quella soddisfazione.

Poi, il vero taglio arrivò. La lama penetrò nella carne con una precisione chirurgica. Il sangue sgorgava lentamente, rosso e brillante, mentre il chirurgo osservava con attenzione scientifica, quasi come se stesse studiando un animale in un laboratorio.

Tagliarono con cura, lentamente. Era il loro modo di iniziare. Lame sottili, affilate come rasoi, tracciavano linee precise lungo la pelle della bambina. Ogni taglio era millimetrico, calcolato, studiato come un macabro esperimento. Non troppo profondo da farla svenire, ma abbastanza da far sgorgare il sangue, rosso e caldo, che colava lungo le braccia e le gambe, disegnando linee vermiglie che brillavano alla luce flebile delle lampade. I Pirati del Sangue erano artisti della crudeltà, e lei era la loro tela.

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