Capitolo 3

9 3 1
                                    

30 Dicembre 1161

Il sole è ancora basso all’orizzonte quando Edrin monta sul suo destriero. L’aria è fredda e pungente, ma l’adrenalina scorre nelle sue vene, scaldandogli il corpo e la mente. Il clangore delle armature risuona attorno a lui mentre i cavalieri si preparano alla battaglia imminente. Sono in trenta, tutti scelti personalmente dal signore del regno, e ognuno di loro porta nel cuore il giuramento di difendere la patria fino alla fine. Edrin stringe le redini e volge lo sguardo verso l’est, dove il cielo iniziava a tingersi di rosso. È il suo primo vero scontro, e il timore si mescolava all'eccitazione. Il loro signore, un uomo dalla tempra indomabile, aveva ordinato di attaccare l’esercito nemico prima che potesse radunare tutte le forze. Una vittoria rapida avrebbe potuto cambiare le sorti del conflitto che da anni devastava la loro terra.
-Ricorda, Edrin,- Dice un cavaliere anziano al suo fianco, -la gloria è nulla senza onore.-
Edrin annuisce, il peso di quelle parole che lo accompagna mentre i loro cavalli iniziavano a trottare, diretti verso il campo di battaglia. La mischia si apre come un uragano, con urla e gemiti che riempiono l’aria. Edrin combatteva con tutto sé stesso, parando colpi e affondando la spada contro chiunque osasse avvicinarsi. Il clangore delle armi e il fragore degli scudi creavano una cacofonia infernale.Ma ben presto, la battaglia si trasforma in un caos incontrollato. I ranghi si spezzano, e la disciplina si dissolve tra le grida e la polvere sollevata dagli zoccoli dei cavalli. Edrin si trova separato dai suoi compagni, circondato da volti sconosciuti, amici e nemici mescolati in un turbine di morte. Mentre cercava disperatamente di orientarsi, vede il comandante cadere da cavallo, trafitto da più lance. Il cuore di Edrin si stringe in una morsa di terrore e disperazione. Non c’era più un comandante, non c’era più un piano. In quel momento, il giovane cavaliere comprende che la battaglia è perduta. Con un gruppo di pochi sopravvissuti, Edrin riesce a farsi strada fuori dalla mischia. I loro cavalli, esausti e feriti, li condussero lontano dal campo, verso le colline che circondavano il villaggio di Murven, un villaggio alleato, a poche miglia di distanza. Quando il piccolo gruppo raggiunge il villaggio, la sera è già calata. Le case sono semplici, di legno e paglia, e il fumo dei focolari si alza pigramente verso il cielo scuro. Gli abitanti si radunano attorno ai cavalieri, offrendo acqua e pane, mentre i feriti vengono portati nelle case per essere curati. Edrin, ancora in stato di shock, si lascia cadere su una panca di legno fuori da una taverna. La sua armatura è coperta di sangue, il viso solcato dalla stanchezza e dall’orrore. Non sa come, ma si era salvato. Eppure, dentro di sé, sente che la salvezza non era altro che un’illusione. Solo allora che un contadino, con il volto pallido e la voce tremante, si avvicina al gruppo.
-Il regno… il regno è caduto,- dice, le parole quasi sussurrate. Edrin alza lo sguardo, incredulo.
-Cosa stai narrando?- chiede un altro cavaliere, la sua voce spezzata dalla paura.
-Abbiamo visto l’esercito nemico attraversare il passo a sud.- continua il contadino.
-Hanno sorpreso la guarnigione… Il castello è stato preso.-
Un silenzio gelido cala sui cavalieri. Il regno che avevano giurato di difendere, la terra per cui avevano combattuto, era caduto. Il loro signore è morto, e con lui la speranza. Edrin sentiva le lacrime bruciargli gli occhi, ma cercava di trattenerle. Non c’era tempo per il lutto. Solo la consapevolezza che una nuova lotta è davanti a loro. Una lotta per la sopravvivenza, per la riconquista, per l’onore. Mentre il vento notturno sferza il villaggio, Edrin solleva lo sguardo al cielo, cercando una stella che potesse guidarlo nel buio che lo avvolge. Sa che il cammino sarà lungo e pieno di insidie, ma dentro di sé trova una nuova determinazione. Il giovane cavaliere, adesso senza un regno da difendere, si alza lentamente e si volta verso i suoi compagni.
-Non è finita...- dice, con una voce ferma.
-Il regno vivrà, se noi vivremo.- E con quelle parole, un nuovo fuoco ardeva nei cuori dei guerrieri che lo ascoltavano. Il regno era caduto, ma la speranza non era ancora morta.

Tutte quelle parole però, andarono in frantumi qualche ora dopo.

La notte, mentre il vento ululava tra gli alberi come uno spirito inquieto, il villaggio fu circondato. L’oscurità nascondeva le sagome dei nemici, ma i cavalieri non si lasciarono ingannare. Con l’alba, una schiera di cavalieri nemici, con le loro armature annerite e lo stendardo del Duca Ragnar in vista, si avvicinò. Non c'era via di fuga.Gli uomini del Duca erano troppo numerosi e, nonostante una disperata resistenza, i cavalieri di Ragnar furono sopraffatti e catturati. Legati e disarmati, furono portati nella piazza del villaggio, sotto lo sguardo impaurito dei pochi contadini che osavano uscire dalle loro case.

Un messaggero del Duca, un uomo alto e severo, si fece avanti. Con un gesto, fece tacere i prigionieri e lesse un rotolo di pergamena con voce autoritaria.
-Per ordine del grande Duca Ragnar, signore di queste terre e conquistatore di Elantor, voi siete ora al suo servizio. Dal momento della vostra cattura, ogni giuramento precedente è nullo, e siete tenuti a servire il vostro nuovo signore con la stessa fedeltà che avreste riservato al vostro precedente padrone.-
I cavalieri, pur legati, non mostrarono alcun segno di sottomissione. I loro occhi erano pieni di rabbia e orgoglio, ma il messaggero non si curò di ciò. Aggiunse con un ghigno: -Il Duca Ragnar non tollera ribellioni. Chiunque osi rifiutare il suo comando sarà giustiziato all’alba.-
Con queste parole, il messaggero arrotolò la pergamena e si allontanò, lasciando i cavalieri soli con il peso della loro scelta.

I cavalieri erano stati ricondotti nella vecchia locanda, dove erano stati imprigionati sotto stretta sorveglianza.
La notte calò nuovamente su Elantor, ma il freddo che avvolgeva i cuori dei cavalieri era ben più gelido dell'inverno che li circondava.

La stanza era fredda, il fuoco nel camino si era ormai spento, e solo una debole luce filtrava dalle fessure delle finestre chiuse. Legati e disarmati, gli uomini si scambiarono sguardi carichi di tensione e disperazione.

Sir Cedric, il più anziano e rispettato tra loro, parlò per primo. La sua voce era bassa, ma ferma.
-Fratelli, ci troviamo di fronte a una scelta che nessun uomo d'onore dovrebbe mai essere costretto a fare. Servire un tiranno che ha distrutto le nostre case, o accettare la morte con dignità.-

William, uno dei più giovani tra loro, si agitò sulle sue catene, lottando contro la rabbia che montava dentro di lui.
-Io dico che dovremmo resistere! Moriremo con onore, come cavalieri di Elantor! Non possiamo piegarci a Ragnar, non dopo tutto ciò che ha fatto!-

Sir Geoffrey, il pragmatico del gruppo, scosse la testa lentamente. Il suo volto era teso, segnato dalle lunghe notti di battaglia e dalla stanchezza.
-William, hai ragione nel tuo orgoglio, ma dobbiamo pensare con lucidità. Se rifiutiamo, moriremo all'alba. E che fine farebbero le nostre famiglie, se Ragnar decidesse di vendicarsi su di loro? Il nostro Signore è caduto, il nostro esercito è sconfitto… non c'è più speranza di ribaltare la situazione.-
Il silenzio calò sulla stanza mentre gli uomini riflettevano sulle parole di Geoffrey. La verità era dura da accettare, ma innegabile. Sir Richard, un uomo di profonda fede, interruppe il silenzio.
-Ci è stata tolta ogni scelta, ogni speranza. Il nostro giuramento ci legava al Signore di Elantor, ma ora quel legame è spezzato. Che valore ha la nostra morte, se non porta alcun cambiamento, se non salva nessuno?-

Sir Cedric chinò il capo, il peso degli anni e delle decisioni difficili che aveva già affrontato sembrava schiacciarlo in quel momento.
-Il nostro onore è importante, ma non possiamo ignorare la realtà. Abbiamo combattuto, abbiamo sacrificato tutto… E ora, se dobbiamo piegarci per vivere un altro giorno, per proteggere quelli che amiamo, allora forse è questo l'ultimo dovere che ci rimane.-

Gli altri cavalieri annuirono lentamente, uno dopo l'altro, mentre le parole di Cedric si facevano strada nei loro cuori. La battaglia era persa, e non avevano più forza per combattere.
-Abbiamo giurato di servire il nostro signore fino alla morte, ma ora… se servire Ragnar ci permette di vivere, anche solo per un altro giorno, allora dobbiamo accettare. Non per paura, ma per necessità.-

William abbassò lo sguardo, la sua giovinezza e l'ideale cavalleresco spezzati dalla realtà crudele. Con voce tremante, sussurrò: -Se è così che deve andare… allora che sia. Serviremo Ragnar, ma non per lui. Lo faremo per sopravvivere… finché non si presenterà una nuova occasione.-

Con queste parole, i cavalieri si prepararono ad affrontare il nuovo giorno. La loro decisione era stata presa, e con essa, il loro destino era segnato. Avrebbero servito il Duca Ragnar, non per onore o per gloria, ma per il disperato desiderio di sopravvivere in un mondo che li aveva traditi.

Edrin era in silenzio, in un angolo. Servire qualcuno che fa del male alle persone innocenti è l'ultima cosa che farebbe nella sua vita.

Chiuse gli occhi aspettando il giorno nuovo, sperando fosse anche un nuovo capitolo a sorgere.

Rebel Knight-Cavaliere RibelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora