Capitolo 13

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Kim si sistemò il collo del dolcevita e lisciò gli orli della giacca che suo fratello, Kinn, aveva provveduto a fargli recapitare due giorni prima. Come se non avesse già abbastanza vestiti, sbuffò al ricordo. Forse si trattava semplicemente di un modo per ricordargli di presenziare alla maledetta cena di capodanno, nostro padre sarà felice di avere tutta la famiglia riunita, aveva continuato a ripetergli per tutta la settimana. Kim non aveva risposto, né alle chiamate, nè agli sms, nè ai messaggi lasciati nella segreteria telefonica. Non sarebbe servito a niente sottolineare quanto quella messa in scena fosse ridicola ai suoi occhi. Quale famiglia? Avrebbe tanto voluto ribattere ma alla fine, ovviamente, non lo aveva fatto. Infondo non avrebbe fatto alcuna differenza. Si consolava, in parte, al pensiero che quell'anno sarebbe stato presente anche Porchay ad illuminare l'atmosfera stantia ed opprimente che quella cena avrebbe inevitabilmente finito per creare. Aveva tirato un sospiro di sollievo quando il ragazzo glielo aveva annunciato. Era stato un pomeriggio degli ultimi giorni, Porchay stava chiudendo la pasticceria e Kim lo aspettava, sorseggiando un caffè ormai freddo. Ad un certo punto il più piccolo aveva sporto la testa dalla cucina dicendo. "Porsche mi ha appena invitato ad una cena di capodanno a casa di tuo padre, ci sarai anche tu?" Kim aveva annuito. "Purtroppo non ho molta scelta." Porchay lo aveva guardato per qualche secondo prima di rivolgergli un sorriso incoraggiante. "Vedrai sarà solo per qualche ora ed io non ti lascerò in pace nemmeno per un minuto." Sparì nuovamente per poi ricomparire qualche secondo dopo, pronto ad andare via. Quella sera, come la maggior parte delle volte quella settimana, avevano in programma di lavorare al loro progetto anche se in genere dopo un po' la concentrazione finiva per venir meno e allora la serata si concludeva ordinando del cibo da asporto e guardando un film sul divano di Kim. Lui, in quel momento, prima di uscire dalla pasticceria sperò che Porchay rimanesse per sempre così, senza addentrarsi troppo nel mondo turpe in cui Kim era stato immerso fin dalla nascita, senza riuscire a comprendere fino in fondo quanto per Kim l'idea di tornare in quella casa, anche solo per qualche ora, fosse asfissiante. E sperò che con il tempo Porchay lo trascinasse in una vita completamente normale, in cui poter essere felici assieme.

Afferrò le chiavi di casa e si diresse fuori dal suo condominio dove un'auto con un uomo inviato da suo padre lo stava aspettando. "Buonasera Khun Kim." Lo salutò facendo il giro dell'auto e aprendogli la portiera. Porchay e lui avevano deciso di andare alla casa separatamente per non dare troppo nell'occhio. Non si trattava di nascondersi ma nessuno dei due aveva particolarmente voglia di essere al centro dell'attenzione né tantomeno di fare annunci in grande stile. Così quello di Kim fu un viaggio silenzioso, con una leggera musica di sottofondo che proveniva dalla radio e lui che rispondeva alle mail che si erano accumulate nella sua casella di posta elettronica nell'ultimo periodo. Alcune erano spam, altre provenivano dall'università ma la maggior parte erano dal suo agente. Ignorò le prime due per concentrarsi sulle ultime, il suo agente che gli ricordava delle scadenze con la casa di produzione, qualche proposta per delle collaborazioni e inviti a delle serate. Aveva giusto finito di inviare l'ultima delle sue brevi risposte quando, rivolgendo lo sguardo fuori dal finestrino, notò che erano arrivati.

"Scenderò qui." Annunciò all'autista rompendo il silenzio di quel viaggio. "Ma signore il mio ordine è di lasciarla esattamente fuori dall'entrata principale." Ribatté questo guardandolo dallo specchietto retrovisore. Kim strinse la presa sulla maniglia. "I tuoi ordini sono cambiati adesso, almeno che non pensi di potermi disobbedire." Una velata minaccia era sottintesa nelle sue parole che di certo non era passata inosservata all'autista. Kim sapeva che la sua figura evanescente suscitava timore per l'alone indistinto di mistero che aveva creato intorno a sé e spesso era compiaciuto di potersene servire. "Come desidera." Si arrese l'autista alla fine. Kim aveva già un piede fuori dall'auto quando disse: "Se proprio hanno così tanta paura che non mi presenti corri pure ad avvertirli che sono arrivato." Il suo tono velato di ironia non fece scomporre l'uomo che si limitò ad annuire solenne. Kim non lo riconosceva, si accorse mentre chiudeva la portiera, ma non era una cosa così strana, da quando la famiglia aveva rinnovato gran parte del proprio personale lui ancora non si era preso la briga di fare le dovute ricerche su di loro. Si appuntò mentalmente di rimediare non appena fosse stato possibile, ora che il problema degli italiani si era fatto così urgente sarebbe stato meglio essere cauti.

It wasn't too late | kimchayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora