Capitolo 3

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C'erano molte cose che Kim detestava, i cibi troppo dolci, le persone che gli parlavano a voce eccessivamente alta, frequentare le lezioni all'università; ma tra tutte niente poteva reggere il confronto con le riunioni di famiglia. Quando era andato via di casa una parte di lui aveva sperato che non avrebbe mai più dovuto avere a che fare con niente del genere: niente più tavoli pieni di gente da tenere a bada, niente più ordini inderogabili e vestiti sporchi di sangue. Sarebbero stati solo lui e la sua musica. Per un po' aveva anche creduto che ce l'avrebbe fatta, che suo padre si fosse rassegnato all'idea che lui non volesse avere niente a che fare con gli affari della famiglia ma, evidentemente, lo considerava un'arma troppo tagliente per essere del tutto abbandonata. Il giorno in cui fu richiamato a casa per la prima volta dopo che credeva di essersi conquistato la libertà capì che, per quanto ci provasse, non avrebbe mai reciso del tutto il laccio che lo legava alla sua famiglia. Fu annientato da quella consapevolezza e per la prima volta nella sua vita si sentì schiacciato dal pensiero che non sarebbe riuscito a cambiare le cose, che la sua vita non sarebbe mai stata completamente sua. Avrebbe voluto urlare fino a sentire la voce che gli graffiava la gola, prendere a pugni qualsiasi cosa gli capitasse sotto tiro e guardare il sangue fuorisciurgli dalle nocche scorticate solo per essere sicuro di avere ancora una minima autorità nella sua vita; ma non lo fece. Invece, guidò fino a casa di suo padre, ascoltò quello che aveva da dire e portò a termine il lavoro che gli venne affidato. Non che avesse scelta, in effetti, dubitava che lui o i suoi fratelli ne avessero mai avuta una; non quando su di loro incombeva l'ombra incessante del potere di Korn.

Kim strinse le mani sul volante della sua auto sportiva mentre entrava nel viale di quella che era stata casa sua. Due guardie del corpo si inchinarono rispettosamente quando lui passò loro davanti. Kim lanciò le chiavi della macchina ad uno dei due uomini, i quali non avevano per niente un viso familiare e questo non fece altro che ricordargli quanto poco era stato presente nei mesi trascorsi. Se solo avesse potuto continuare in quel modo...

"Benvenuto figliolo, ti stavamo aspettando." Lo accolse Korn quando Kim arrivò nel suo studio. Tankhun sollevò le sopracciglia guardandolo da dietro un paio di occhiali da sole celesti. "Padre, non avevi detto che la situazione era così disperata da costringerlo a tornare a casa."

"Khun!" Lo ragguardì Kinn allontanandosi dalle labbra una tazza da tè. Kim odiava quel servizio, era il preferito di sua madre. "Purtroppo Tankhun ha ragione, anche se mi piacerebbe che la nostra famiglia fosse riunita in circostanze migliori." Kim dovette trattenere uno sbuffo ironico mentre andava a sedersi fra i suoi fratelli. Tankhun si voltò con aria indispettita mentre con una mano faceva segno ad Arm di versargli del tè. "Di cosa si tratta?" Domandò Kinn spostandosi con il busto in avanti. "Gli italiani. Il primogenito di Don vuole vendetta per suo padre." Kim assottigliò lo sguardo, le gambe incrociate e una mano poggiata mollemente sul ginocchio. "Tsk, sbaglio o è stato Vegas a sparargli? E ora noi dobbiamo pagarne le conseguenze. Se solo qualcuno mi avesse ascoltato quando gli ordinavo di legare lui e Macau e rinchiuderli in cella..."  Si lamentò Tankhun lanciando uno sguardo accusatorio verso Arm. "Cosa sappiamo di lui?" Indagò Kinn ignorando le parole del fratello. "Non molto, nessuno lo vede da tempo, pare abbia studiato in Europa in questi anni ma ora che ha preso il comando della famiglia ha risorse e conoscenze che potrebbero esserci di intralcio. Per questa ragione dovremo agire con prudenza." Lo sguardo di Korn si spostò tra i tre ragazzi con aria preoccupata, mentre una profonda ruga gli si disegnava sulla fronte. "Kinn, tu lo incontrerai tra qualche settimana, se la negoziazione non sarà sufficiente prenderemo provvedimenti più adeguati. Nel frattempo, Kim, dovrai cercare di reperire quante più informazioni possibili, sei quello che desterà meno sospetti vivendo già per conto tuo." Korn si interruppe soffermando la sua attenzione su Tankhun qualche secondo più del dovuto prima di continuare. "Siate assennati e pensate al bene della famiglia. È tutto." Kim odiava quella facciata. Il bene della famiglia, aveva detto, ma lui sapeva, riusciva a leggerlo al di là delle menzogne, che l'unica cosa a cui suo padre era veramente interessato erano gli affari e il potere. Forse Tankhun e Kinn potevano non accorgersene ma era una vita che Kim fingeva, sapeva riconoscere un teatrino ben costruito quando vi si trovava davanti.

It wasn't too late | kimchayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora