Capitolo 5

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"Signor Kimhan." Lo accolse il buttafuori curvandosi in avanti mentre Kim sorpassava la fila sotto lo sguardo infastidito di tutti gli altri clienti del locale. Si sistemò le maniche della giacca, dirigendosi verso l'interno e ignorando la maggior parte di quelli che lo salutavano. Le sue scarpe, eleganti quanto scomode, producevano un fastidioso scricchiolio sul pavimento lucido della sala e una musica soffusa si espandeva per tutto l'ambiente.

Kim andò a sedersi su uno degli sgabelli imbottiti dando le spalle al piano bar e facendo vagare lo sguardo fra tutte le persone ben vestite, intente a chiacchierare e sorseggiare drink colorati, sparse per la sala. Senza girarsi, con due dita fece cenno al barista di avvicinarsi. "Posso portarle qualcosa da bere, signore?" Chiese questo. Kim mise in mostra l'anello della famiglia Theerapanyakul che portava all'anulare. "Devo vedere qualcuno." Disse lui e avvertì il barman annuire e fare cenno a qualcuno dall'altra parte della sala. In genere non gli piaceva ostentare le sue origini ma a volte un semplice anello poteva risparmiare molte spiegazioni e quella sera non aveva davvero voglia di intrattenersi lì un minuto più del dovuto. Se avesse potuto se ne sarebbe volentieri rimasto a casa, fingendo che la sera prima non fosse mai esistita. Avrebbe quasi preferito non ricordarsi niente ma purtroppo i ricordi erano troppo vividi per fingere indifferenza. Era stato così patetico, implorare Porchay, collassare ai suoi piedi, come gli era venuto in mente di bere così tanto da fare una cosa del genere. Per sua sfortuna il suo piano era andato a rotoli quando, nel pomeriggio, aveva ricevuto una chiamata da un numero anonimo da uno dei suoi informatori che gli aveva indicato il locale dove si trovava in quel momento perchè, a quanto pareva, c'era qualcuno che aveva una soffiata sugli italiani. Dunque eccolo lì, seduto in quel posto, con il suo completo elegante e la fondina della pistola sotto la giacca, a sperare che le informazioni che stava per ricevere valessero la pena di avergli fatto cambiare i suoi piani.

Una pallottola fischiò accanto all'orecchio di Kim e mandò in frantumi un paio di bottiglie di liquore alle sue spalle. "Fanculo." Mormorò a denti stretti lanciandosi dall'altra parte del bancone per ripararsi. Le urla inondarono la sala mentre una folla di persone si accalcava verso l'uscita. Kim colse con la coda dell'occhio la figura del barista, con cui aveva parlato prima, provare a darsela a gambe. Lo afferrò per la collottola puntandogli la pistola su un fianco e quello iniziò a tremare come una foglia. "Non farmi del male. Ho fatto solo quello che mi è stato detto." Balbettò. Kim roteò gli occhi, tipi del genere erano i peggiori, prima si mettevano nei guai e poi supplicavano per la loro vita, avrebbero almeno potuto risparmiarsi l'umiliazione. "Chi sono quelli?" Il barista scosse la testa iniziando a piangere. "N-non lo so..." Kim spinse la canna della pistola verso di lui stringendo la presa sul suo collo. "D-dico davvero, non ne ho idea. Ti prego... mi hanno solo detto di fargli un cenno quando saresti arrivato."

"Chi te l'ha detto?" Kim poteva immaginarlo ma aveva bisogno che lui lo dicesse. "Conterò fino a tre..." Anticipò davanti all'esitazione del ragazzo ma quello non gli diede nemmeno il tempo di iniziare a contare che, terrorizzato, rispose: "Yin! Si chiama Yin. Faccio dei lavoretti per lui per guadagnare qualcosa. Te lo giuro non so nient'altro." Avrebbe dovuto aggiornare la lista delle cose che non sopportava e aggiungerci i traditori ma quello era un problema per un altro momento, per ora doveva solo uscire vivo da quel posto.

Lasciò andare il barista con uno strattone. "Non farti più vedere in giro o non sarò così generoso." Sbottò, allontanandosi prima di doversi sorbire anche i suoi ringraziamenti. Corse fino a raggiungere una piccola rientranza del muro ed evitando per un soffio gli spari. Estrasse la pistola dalla fondina rispondendo al fuoco e maledicendosi mentalmente per aver preso un dannato taxi per arrivare in quel posto; i suoi assalitori erano in superiorità numerica e lui era sotto equipaggiato, non c'era modo che potesse metterli tutti fuori gioco da solo. Adocchiò con la coda dell'occhio l'insegna luminosa che indicava l'uscita di emergenza mentre sentiva gli spari farsi più vicini. Era una follia, non sarebbe mai riuscito ad arrivarci senza farsi colpire ma non aveva molte altre alternative se non morire in quel buco.

It wasn't too late | kimchayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora