Capitolo 14

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Il cuore di Porchay batteva all'impazzata, in un ritmo frenetico e irregolare che sembrava sul punto di farlo scoppiare. I suoi occhi erano coperti da una benda scura e ruvida, e il respiro, già affannoso per l'ansia, era reso ancora più difficile dalla stoffa che gli tappava la bocca. Provò a inspirare profondamente, cercando di prendere aria dal naso, ma il flusso di ossigeno era talmente limitato che cominciò a sentirsi leggero, come se la sua mente stesse per abbandonare il corpo. L'assenza di ossigeno si faceva sentire sempre più forte, facendo pulsare la testa e appannandogli i pensieri.

Cercò di muoversi, strattonando con tutte le forze le braccia legate dietro la schiena, ma ogni tentativo risultava inutile. Le corde erano strette con una ferocia spietata, e ogni movimento sembrava solo peggiorare la situazione, stringendo il nodo ancora di più e facendolo affondare nella pelle. Anche se non poteva vedere, il buio assoluto della benda sugli occhi non gli impediva di percepire l'angosciante vuoto della stanza intorno a lui. Il silenzio era totale, un abisso insondabile che faceva rimbombare il battito del suo cuore nelle orecchie come un tamburo incessante. Ogni attimo che passava lo faceva sprofondare sempre di più nel panico, la sensazione di essere solo, abbandonato a se stesso, diventava insopportabile. Con un ultimo, disperato tentativo, cercò ancora di liberarsi, ma la corda gli si strinse ulteriormente intorno ai polsi, e il materiale ruvido e pungente gli graffiò la pelle, facendolo sussultare per il dolore. Il fiato gli si mozzò in gola mentre cercava disperatamente di trattenere le lacrime che gli riempivano gli occhi. Sentiva il cuore in gola, la rabbia mischiata alla paura gli confondeva i sensi. Poteva percepire il sangue caldo che colava lentamente dai tagli che le corde avevano inflitto ai suoi polsi, un segnale evidente di quanto fosse inutile ogni sforzo per liberarsi.

Se solo suo fratello Porsche fosse stato al suo posto, pensò Porchay con un misto di invidia e disperazione, avrebbe sicuramente trovato un modo per uscire da quella situazione. Quante volte Porsche lo aveva rimproverato all'inizio dell'anno, insistendo perché prendesse almeno qualche lezione di autodifesa? "Prendi almeno una lezione," gli aveva detto, il tono serio e preoccupato. "Ti sarà utile prima o poi." Ma Porchay aveva sempre scrollato le spalle, infastidito da quel consiglio. Desiderava solo allontanarsi il più possibile da quel mondo oscuro in cui il fratello era immerso, da tutto ciò che aveva a che fare con la violenza, e trovare un po' di pace, un po' di normalità nella sua vita. Ma quella normalità sembrava un sogno lontano, irraggiungibile. E ora, si trovava lì, legato e impotente, per la seconda volta. Il pensiero della sua imprudenza gli fece mordere il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.

Il desiderio disperato di tornare nel suo piccolo e disordinato appartamento, di affondare il viso in un cuscino e gridare tutta la sua frustrazione non era mai stato tanto forte. Aveva appena litigato con suo fratello, voleva sfogarsi, arrabbiarsi e urlare contro il muro ma invece di poter fare questo, doveva concentrarsi su come liberarsi da quelle maledette corde, da quella prigione opprimente. Sapeva che il pericolo rappresentato dagli italiani era reale; Kim lo aveva avvertito, ma nonostante tutto, Porchay non aveva mai creduto veramente che potesse essere lui la vittima diretta. Eppure, quella era la sua realtà.

Con un profondo sospiro, cercò di concentrarsi sul nodo che gli stringeva i polsi. I ricordi di Kim, che pazientemente gli spiegava come comportarsi in una situazione di pericolo, riaffiorarono nella sua mente, nitidi come non mai. "Se hai le mani legate dietro la schiena, sciogliere un nodo è quasi impossibile" gli aveva detto Kim una sera, mentre gli illustrava svariate tecniche di sopravvivenza. Porchay ricordava ogni dettaglio di quella conversazione, ogni movimento delle mani di Kim mentre gli dimostrava come liberarsi. "L'unica soluzione è tagliare la corda con qualcosa di appuntito" aveva proseguito, passandogli un piccolo oggetto. "Questo è un coltellino, basta tirare il tappo."

Un'ondata di gratitudine travolse Porchay al pensiero che non aveva mai abbandonato la vecchia abitudine di tenere le chiavi di casa nella tasca posteriore dei pantaloni. Con uno sforzo doloroso, incurvò la schiena il più possibile e infilò le dita nella tasca, cercando di non fare rumore. Sentì gli accessori attaccati al portachiavi e, finalmente, le sue dita si chiusero su ciò che stava cercando. Il coltellino. Era diverso dal resto, più lungo e sottile. Con un movimento rapido, staccò il tappo metallico e iniziò a segare la corda, muovendo le mani con piccoli, rapidi gesti. Sapeva che ci sarebbe voluto del tempo, ma il materiale alla fine avrebbe eventualmente ceduto.
La tensione aumentava mentre lavorava per liberarsi, e improvvisamente una voce interruppe il silenzio, facendo gelare Porchay sul posto. Il suono era lontano, ma abbastanza forte da fargli rizzare i peli sulla nuca.

It wasn't too late | kimchayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora