capitolo 4 Aiden

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Aiden

Getto direttamente in lavatrice i panni zuppi, l’irritazione per quello che è successo ancora è viva, se ripenso al povero sedile della mia auto tutto bagnato avrei voglia di strozzare quella pazza ragazza.
Apro l’anta della doccia in vetro trasparente, mi infilo all’interno e la richiudo, sono felice di poter sciacquar via il sale dalla mia pelle e dai capelli, ammetto di non essere un amante dell’oceano.
L’acqua fredda è un piacere addosso, sembra rigenerare i miei muscoli tesi, resto volentieri qui più del necessario, più del solito, perché la mia pelle è invasa da sensazioni che non riesco a decifrare e da interrogativi che affollano la mia testa.

Un pensiero fisso : le foto che ho scattato un’ora fa.

Chiudo la manopola dell’acqua e apro con troppa foga l’anta della doccia, esco da qui atterrando con i piedi zuppi sul tappetino, le dita corrono verso il mobiletto scuro alla ricerca di un telo che trovo senza neanche guardare, troppo impegnato a fissare il pavimento bianco e a vederci due occhioni tristi.
Non perdo tempo a rivestirmi, mi basta frizionare il mio corpo bagnato e ad avvolgere il telo sul bacino, mi maledico per non aver tamponato i capelli neri con un altro asciugamano, ma ormai è fatta, mi sto già dirigendo a piedi nudi nella mia amata camera oscura.

La porta è sempre chiusa a chiave, non che io abbia visite spesso,oltre la donna delle pulizie, ma questa stanza per me è importante, come se contenesse i tesori più rari a questo mondo, la fotocamera mi aspetta sul mobiletto noce proprio accanto.
Afferro la chiave che al momento giace nel primo cassetto e la infilo nella serratura, la porta si apre a fatica, serve un piccolo spintone, dico sempre di doverla sistemare ma non lo faccio mai, tasto il muro e trovo l’interruttore accendendo la luce.

«Ciao piccola.»
Saluto Susanne, o meglio, la sua fotografia posta in una cornice che mi aveva regalato proprio lei due mesi prima il suo incidente, con rifiniture barocche color oro, presa in un mercatino dell’usato durante il nostro viaggio in Marocco.

Ho sempre amato la fotografia analogica, amo il retrò, per lavoro ovviamente non posso utilizzare questo tipo di macchine, oggi è tutto digitale, tutto si può modificare al computer, ma nel tempo libero è qui che sviluppo le foto che ritengo valide.
Estraggo il rullino dalla macchina fotografica, lo apro e la pellicola emana un profumo di storia, di vita, di eternità, perché la fotografia è proprio questo, rubare al tempo un istante che rimarrà per sempre.
Quell’emozione che si vede negli occhi, quel sorriso sbilenco quando si è in imbarazzo, quell’abbraccio che ci ha cambiato la vita, quella spensieratezza ormai persa, quella persona che non c’è più, ma che in quel fotogramma è ancora con noi.
Inserisco la pellicola nel porta pellicole ed esamino le foto, una ad una, con la lente d’ingrandimento, quando arrivo a quella che voglio, mi fermo, inserisco la pellicola nell’ingranditore, cerco fra le scartoffie e gli attrezzi, la carta della dimensione che voglio .
Spengo la luce nella stanza e mi premuro che non ci sia nessuna luce, naturale o artificiale, solo una piccola lampadina rossa nell’angolo mi permette di vedere ciò che sto facendo.
Estraggo la carta fotografica dalla sua custodia nera e la posiziono con cura sotto l’ingranditore, questo macchinario emana un fascio di luce che proietta l’immagine sulla carta, per trasferirla devo attendere un tempo stabilito, ma poi è pronta.

Con in mano quella che ancora non è una fotografia a tutti gli effetti, almeno non per i prossimi minuti, mi sposto al tavolo accanto, davanti a tre vaschette contenenti diversi reagenti, controllo, attraverso un termometro apposito, che la temperatura sia idonea ai miei scopi e lascio scivolare dolcemente il tesoro grezzo che ho in mano nella prima vaschetta, quella di sviluppo.
La carta scura viene imbrattata dal liquido ed inizia la magia.
Afferro la pinza e con delicatezza muovo la carta fotografica, attendo il tempo necessario e la afferro estraendola dal reagente e immergendola nella seconda vaschetta, quella dell’arresto, stesso procedimento, i secondi passano e tocca alla vaschetta del fissaggio.
Le dita quasi fremono alla voglia di poter toccare la sagoma che appare davanti i miei occhi durante questi passaggi.
Finalmente tocca alla vaschetta del lavaggio, dove la fotografia dondola nel liquido ricordandomi ciò che è successo solo poche ore fa, quando appendo la foto al filo teso da una parte all’altra della parete, i miei occhi non riescono a non fissare delle iridi color cioccolato che fissano a loro volta me.

«Chi sei, cosa nascondi dietro questi occhi tristi?»
Come un idiota do voce ai miei pensieri, rivolgendomi ad una immagine, come se potesse rivelarmi questo mistero che mi tormenta dall’esatto istante in cui ho immortalato quell’angoscia straziante, più ci penso e più vorrei aiutarla, ma non so il perché.

Mi do del coglione e mi avvio verso la porta, la apro non curandomi più del pericolo della luce, esco dalla stanza richiudendomi la porta alle spalle.
A piedi nudi raggiungo la mia camera da letto e lancio sopra quest'ultimo l'asciugamano che avevo stretto in vita.
Indosso l'intimo e mi limito ad infilare un pantaloncino di cotone.
Il campanello di casa mi fa sbuffare e con passo lento raggiungo la porta, dopo aver guardato dallo spioncino ho voglia di far finta di non essere in casa, ci penso seriamente, a tal punto da far suonare il campanello altre due volte al primo idiota, mi rassegno quando l'idiota numero due batte il pugno con forza sulla porta gridando il mio nome.
"Aiden, forza apri!"

Spalanco il portoncino con aria seccata, i due coglioni sorridono ed entrano senza salutare o senza chiedermi se avessi altri impegni.
"Era ora, qui siamo in piena crisi."
Thomas si getta a peso morto sul mio divano di pelle nera, ed io impreco.
La sua faccia sembra interpretare la solita parte, quella di un povero ragazzo disperato per qualche bizzarro motivo in questa data, tutto, qualunque idiozia si inventano pur di distrarmi.
Lo so bene e una parte di me li ringrazia.
Ormai sembra stia diventando un rito.

Brian va alla ricerca di qualcosa da mangiare nella mia credenza e torna con in mano una busta di patatine.
Loro sono i miei amici più cari, ci conosciamo dai tempi del college, e con il biondo dagli occhi azzurri, che sta per imbrattare il divano di grasso di patatine, persino dal liceo.
Nei momenti più critici me li ritrovo intorno, anche quando non vorrei.
Come oggi, come in questo momento.

"Sentiamo, quale sarà mai il dramma di oggi?"
Prendo per il culo Thomas beccandomi uno sguardo feroce, i suoi occhi neri potrebbero far paura, ma lo conosco da anni e so che è un pezzo di pane, anche con chi non dovrebbe.
"La mia vita sessuale è pari a 0, è un lontano ricordo."
Afferra il cuscino bianco e lo stringe sul grembo.
"Sapete cosa significa avere sotto gli occhi tutti i giorni a lavoro Chloe, stupenda com è e sapere che è fidanzata?"
Alzo gli occhi al cielo nello stesso momento di Brian, credevo si fosse rassegnato e avesse superato l'infatuazione per la sua collega e, ormai, nostra amica.
"Sapete cosa significa non avere una fidanzata e non poter neanche spassartela con qualche bella ragazza?"
Ruba due patatine dalla busta che ha in mano il nostro amico.
"Puoi sempre spassartela con la tua mano sotto la doccia."
Imito il movimento per esser sicuro di aver reso l'idea, Brian scoppia a ridere e corre in aiuto di Thomas con due pacche possenti alla schiena, visto che si sta strozzando con il cibo.

Quando è fuori pericolo mi manda al diavolo ed io gli mando un bacio volante.
"Sono serio, ho bisogno di una..."
"Bella scopata, abbiamo capito."
Lo interrompo.
"No, stavo dicendo che ho bisogno di conoscere donne, sentirmi ancora apprezzato dal gentil sesso e desiderato, magari di una notte di fuoco o magari di un grande amore."
Passa una mano olivastra fra i capelli neri scompigliandoli, credo di non aver mai visto Thomas in disordine, persino quando abitavamo insieme tutti e tre o quando lavoravamo come baristi in un famoso Club.

"Dovete aiutarmi, la missione sarà conoscere nuove ragazze."
Brian alza subito le mani.
"Non contate su di me, Iris mi ammazzerebbe."

Quattro occhi si spostano sul sottoscritto.
Non mi piace il modo in cui mi guardano questi due, non mi piace per niente.

Non mi piace il modo in cui mi guardano questi due, non mi piace per niente

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