5.

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Gabriel

Mi rigiro nel letto, sembra fare più caldo del solito e un pensiero fisso, costante, mi rimbomba per la testa: ho bisogno d'acqua.
Controvoglia apro gli occhi, la silhouette della ragazza al mio fianco a malapena visibile nella penombra. Faccio uno sforzo immenso per portare alla mente il suo nome, ma tutto quello che mi ricordo è che comincia con la "V".
Dio, sto peggiorando.

Cercando di non svegliarla mi metto seduto, scoprendo con piacere di non avere la nausea nonostante ieri sera abbia bevuto molto più di quello che avrei voluto. Questa volta non è stata colpa mia, però: Cole sembrava deciso a non pensare al fatto che Hazel sarebbe stata via per tutto il weekend. Solo quando era abbastanza ubriaco da reggersi a malapena in piedi, ho capito cosa stesse succedendo.

«Non mi ha scritto per tutta la sera, Gabriel.» si è lamentato confuso, furioso, più arrabbiato di quanto l'abbia mai visto.

L'ho fissato per qualche secondo con la fronte corrugata. «Hai lasciato il cellulare a casa, Cole.» gli ho ricordato. Mi ha a malapena ascoltato prima di sparire di nuovo in mezzo alla folla.

Scuoto la testa, i ricordi di ieri sera sono confusi, ma non tanto da giustificare il fatto che non ricordi il nome della ragazza che sta dormendo nel mio letto.
Infilo i pantaloni del pigiama facendo più piano possibile per paura di svegliarla, poi mi avventuro in sala, aprendo la porta con una delicatezza che non mi appartiene.
Non appena arrivo in cucina, però, esattamente come ieri sera mi blocco: c'è una ragazza oltre il bancone.

La fisso confuso, mentre lei sorseggia un bicchiere d'acqua e sembra non accorgersi nemmeno della mia presenza. Per un attimo mi chiedo se l'abbia portata a casa io insieme alla ragazza con il nome che comincia con la "V", poi mi ripeto che non ero così ubriaco da dimenticarmi di essere andato a letto con due ragazze contemporaneamente.

O almeno credo.

Mi schiarisco la voce, all'istante il suo sguardo si concentra su di me, poco dopo impallidisce. «Stavo... stavo andando via.»

«Okay.» rispondo studiandola, possibile che per qualche motivo abbia dormito sul divano? «Noi due non abbiamo...»

«No.» risponde subito, prima di ripeterlo. «No.» basta un secondo, appena un attimo, perché i suoi occhi virino verso una stanza che non è la mia.

Mi blocco, i miei muscoli entrano in tensione e sono certo di non stare davvero respirando. «Cole?» chiedo in sussurro scioccato.

Lei sgrana gli occhi, lascia andare il bicchiere sul bancone e far per allontanarsi. «Non sono affari miei.» comincia evidentemente nervosa. «Ma forse dovresti parlargli, ha dato di matto non appena si è svegliato. E lo so che non è niente di personale, nonostante fosse in preda al panico è stato gentile, ma mi ha... Dio, mi ha cacciata via.».

Deglutisco, completamente incapace di rispondere mentre il mio cervello cerca di elaborare quello che mi sta dicendo, quello che evidentemente è successo ieri sera. Una sola immagine compare come un flash nella mia mente, fa più male di quanto sia normale: Hazel.

Dio.

«Devo andare.» continua la ragazza dopo minuti di silenzio interminabile. Si allontana verso la porta ed esce dall'appartamento, lasciando dietro di sé il gelo.

Scuoto la testa cercando di scacciare occhi color nocciola che sembrano decisi a farmi sentire sempre peggio.
Non mi sono mai considerato una persona empatica, ma al contrario di quello che si dice alla Rosings non sono nemmeno uno stronzo, e so perfettamente che cosa significa il fatto che Cole abbia portato una ragazza a casa ieri sera. So cosa comporta.
Riesco benissimo ad immaginare come reagirebbe Hazel se lo venisse a sapere, e per qualche motivo sono terrorizzato al pensiero.

Riscuotendomi dallo shock, muovo passi decisi verso la porta del mio coinquilino, non perdo nemmeno tempo a bussare prima di entrare. Ancora una volta, l'unico pensiero nella mia testa è che se ci fosse stata Hazel in camera sua e fossi entrato senza chiedere il permesso, a quest'ora sarei un uomo morto.
Ma Cole è da solo, seduto sul bordo del letto nella stanza ancora buia, i gomiti posato sulle ginocchia ed il viso abbandonato tra le mani.
Mi siedo accanto a lui, indeciso su cosa sia giusto fare. Dopo quelle che sembrano ore Cole inspira a fondo, abbassa le mani e le posa sulla sua bocca. Non importa quanto sia buio, riesco benissimo a vedere i suoi occhi lucidi e per la seconda volta oggi sembro bloccarmi.
Conosco Cole da quando avevamo sei anni, siamo cresciuti insieme e non l'ho mai, mai, visto piangere.

«Ho combinato un casino, Gabriel.» mormora con voce roca.

«Lo so.» rispondo non trovando di meglio da dire. «La ragazza era ancora in sala...»

«Nina.» mi corregge, perché da gentiluomo qual è ricorda sempre il nome di chi si porta a letto. Poco importa che abbia appena tradito quella che dovrebbe essere la sua futura moglie. «Cristo.» torna a coprirsi la faccia con le mani, mentre io poso il palmo sulla sua spalla e stringo forte, facendogli capire che ci sono.

Sappiamo entrambi come andrà a finire, non c'è bisogno di scambiarsi più parole di queste. Ne è dimostrazione il fatto che Cole sia letteralmente a pezzi, come il fatto che un leggero senso di panico mi attanagli lo stomaco, la gola.

Quando Hazel lo scoprirà, perché alla Rosings le voci girano in fretta, sarà tutto finito.

Sarà ferita.
Sarà delusa.
E da una parte, so che è anche colpa mia.

Like the DawnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora