8.

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Hazel

Sono le undici e mezza e non riesco ad alzarmi dal letto. Nonostante le temperature a Sonoma siano più alte che nello stato di Washington, le coperte mi avvolgono come una seconda pelle, creando un bozzolo impenetrabile da cui è impossibile uscire. Abbraccio il cuscino accanto a me, prima di premere il viso contro la federa e stringere gli occhi.

Un altro giorno.
L'ennesimo giorno.

Due colpi leggeri alla porta mi costringono a mettere il naso fuori dalle coperte, poco dopo qualcuno fa il suo ingresso nella stanza e dei passi leggeri mi raggiungono al letto. Vedo gli occhi castani di Sophie esaminarmi preoccupato e confusi.

«Ehi.» saluto mia sorella, la mia voce è incredibilmente roca. Credo di essermi addormentata piangendo, ma non ne sono sicura. Ero sfinita dopo il mio viaggio da Tacoma: dieci ore di auto in cui non ero davvero concentrata sulla strada. È un miracolo che sia arrivata qui illesa.

«Ehi.» risponde Sophie con una vocina minuscola. Indossa ancora il suo pigiama delle Superchicche, quello che le ho regalato l'anno scorso quando ha compiuto quattro anni. Mia mamma mi ha detto che non ha voluto toglierlo per settimane. 
Sposto le coperte ed il cuscino di modo che possa salire sul letto, mentre lei non perde un secondo e, non appena si sdraia, mi abbraccia premendo il viso contro la mia t-shirt.
«Scusa.» mormora all'improvviso.

«Per cosa?»

«La mamma ha detto di non disturbarti.» spiega, prima di stringermi ancora un po'. Ricambio il suo abbraccio e le lascio un bacio sulla testa: Sophie potrà sempre disturbarmi.

Sono consapevole del motivo per cui mia mamma le abbia detto di non entrare in camera mia. Il giorno dopo aver chiuso definitivamente con Cole l'ho chiamata per spiegarle tutto, ogni cosa. Mi ha chiesto di tornare in California all'istante, ma io l'ho convinta del fatto che sarei dovuta rimanere alla Rosings almeno per gli esami di fine anno. Sono state le due settimane più lunghe della mia vita: non è stato abbastanza che Kate, Mia ed Elija mi abbiano scortata ad ogni singola lezione, il loro spirito protettivo non mi ha fatto scudo dagli sguardi dispiaciuti e compassionevoli che ho ricevuto dovunque andassi. Per lo meno Cole ha afferrato il messaggio: mi sta lasciando tempo e spazio.

È sbagliato sperare in continuazione di ricevere un suo messaggio?
È sbagliato volerlo chiamare ogni mattina appena apro gli occhi e ogni sera prima di andare a dormire?
È sbagliato cercarlo ogni notte accanto a me ed aver deciso, invece, di abbracciare un cuscino per evitare di cadere a pezzi?

Chiudo gli occhi cercando di respirare a fondo, perché Sophie è qui e non ho intenzione di farle vedere quanto sto male, soprattutto non quando il tempo che passiamo insieme è prezioso, visto che tra una settimana dovrò tornare a Seattle per cominciare il mio stage estivo.
Da sola.

Sento dei passi salire le scale, so che è la mamma ancora prima che entri in camera e ci raggiunga sdraiandosi alle mie spalle. Mi lascia un bacio sulla testa come io ho fatto con Sophie, poi sospira. «Pancakes al cioccolato.»

«Cosa?» chiedo confusa.

«Voglio prepararti dei pancakes al cioccolato.»

«È quasi mezzogiorno...»

«Siamo due persone adulte, Hazel, possiamo mangiare quello che vogliamo quando vogliamo.» mi ammonisce. All'istante Sophie si allontana da me per guardare in faccia mia mamma, un'espressione di pura speranza in viso. «Per quanto riguarda te, invece...»

«Ho quasi cinque anni!» le ricorda indignata.

La mamma sospira, fingendosi sconfitta. «Se riesci a convincere tuo padre a lasciar stare quel rottame in garage e a preparare i pancakes, potrai averne uno...»

Like the DawnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora