12.

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Gabriel

Appena parcheggio la macchina mi rendo conto di non avere idea di dove sono. Almeno quaranta minuti lontano dal campus, ho seguito le indicazioni del navigatore sospettando per tutto il tempo che si stesse sbagliando, soprattutto quando la strada ha cominciato ad essere circondata da alberi e mi sono ritrovato nel bel mezzo di un bosco. Ho parcheggiato poco dopo davanti ad una tavola calda, sospirando di sollievo nel vedere che esisteva davvero, e preoccupandomi di nuovo al pensiero che Hazel fosse venuta qui da sola.
Il perché, un mistero.

Riporto alla mente la telefonata di poche ore fa, il numero che ho aspettato di vedere illuminare lo schermo del mio cellulare per mesi.
Certo, per tutta l'estate ho immaginato un "sto bene, Gabriel, e ora smettila di scrivermi", non una chiamata vera a propria.

«Hazel?»
«Ho bisogno di vederti.»

Chiudo gli occhi e sospiro, la sua voce tremante non era un buon segno, il fatto che mi abbia chiesto di venire fino a qui non è un buon segno. Prima di rendermene conto sono fuori dalla macchina, passo di fronte alla sua e cammino velocemente verso l'ingresso della tavola calda. La struttura è lunga e stretta, ci sono appena sei tavoli ed un bancone fatiscente. Sorprendentemente, tutte le sedie sono occupate.
Individuo Hazel all'istante, dietro a un gruppo di motociclisti. Sembra ancora più piccola qui dentro.
Guarda fuori dalla vetrata e, anche se deve avermi visto arrivare in macchina, sussulta non appena mi accomodo al divanetto di fronte al suo.

Concentra gli occhi castano chiari su di me, mi sorprende vederla tanto calma dopo la sua chiamata. Sono consapevole che deve essere stata davvero disperata per arrivare a contattare il sottoscritto, dopo aver passato tanto tempo ad evitarmi. «La scelta della location è interessante, te ne devo dare atto.» esordisco, guardandomi brevemente intorno.

«La Rosings è un villaggio Amish, non avevo intenzione di dar vita ad altre voci.» spiega con un'alzata di spalle. Annuisco, mentre lei abbassa per un attimo gli occhi e incrocia le braccia al seno. Mi distraggo per un attimo, solo un secondo, perché sono un uomo e la mia capacità d'attenzione è minima giá normalmente. Hazel nemmeno se ne accorge.
«Ho bisogno di un favore.»

«Okay.» rispondo con la fronte corrugata, incuriosito e preoccupato allo stesso tempo, dato che la ragazza di fronte a me è evidentemente in imbarazzo, e non perché ogni tanto il mio sguardo scivola sulla sua scollatura, benché minima. Cole mi ammazzerebbe se fosse qui, probabilmente si incazzerebbe anche solo nel sapere che sono con lei mentre lui è scappato a Vancouver. «Che tipo di favore?»

«Ho bisogno che... che mi insegni ad essere come te.»

«Affascinante? Intelligente? Carismatico?»

«Superficiale.» ribatte, tornando a guardarmi in faccia e azzittendomi in maniera ben più che definitiva. «Superficiale nei rapporti con l'altro sesso, per lo meno.»

«Oh.» sospiro, leggermente offeso e sempre più confuso.

«Ho bisogno che mi aiuti...» si morde il labbro inferiore, mi distraggo di nuovo mentre lei fissa lo sguardo sul bancone dall'altra parte della tavola calda. «Devo dormire con qualcuno.» completa, mentre io mi irrigidisco al mio posto. «Senza impegno. Ho bisogno di dormire con qualcuno senza impegno, ecco, l'ho detto.».

Potrei giurare che un paio di motociclisti si girino verso il nostro tavolo, dei ragazzi al tavolo dietro fanno lo stesso. Li guardo storto finché non la smettono, tanto impegnato ad intimidirli da non rendermi conto di quanto tempo è passato senza che abbia risposto ad Hazel.

«Gabriel?» mi chiama, battendo la mano destra sul tavolo di modo da attirare la mia attenzione.

Mi concentro su di lei, le sue parole mi girano in testa per qualche secondo prima che riesca a ribattere. «No.»

Like the DawnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora