capitolo due.

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Uscii di casa correndo. Ciuffi dei miei capelli rossi cadevano sugli occhiali neri e si rialzavano seguendo il ritmo della mia corsa. Ero in ritardo per l'apertura del negozio. Avevo lasciato la casa, che condividevo con altre due persone, letteralmente in disordine: il letto matrimoniale sfatto, l'armadio aperto, le scarpe buttate insieme ai vestiti sul letto. Menomale che Julia e Harry di solito non entravano in camera mia.
Arrivai alla fermata e altre quattro persone, alle quali diedi solo un'occhiata veloce, aspettarono con me fino a quando, con dieci minuti di ritardo, l'autobus si presentò. Salimmo e il caldo procurato dal respiro dei pendolari già presenti e il chiuso dell'autobus mi invase il corpo riscaldandomi all'istante. Nell'aria c'era profumo di caffè, latte e nocciola. Il mio stomaco si lamentò sentendo quei profumi visto che non ero riuscita a fare colazione. Rimasi in piedi aggrappandomi a un palo per non cadere e misi le cuffiette nelle orecchie. Partì subito 'Afire love' di Ed Sheeran ma quella canzone mi faceva rivivere un qualcosa che avrei voluto già da tempo dimenticare e sotterrare nella parte più segreta della mia testa, ma che ancora, nonostante gli anni riusciva a divorarmi. Cambiai canzone immediatamente ascoltandone una a caso: non la sentivo neanche visto che la mia attenzione era rivolta verso il fondo dell'autobus dove c'era un ragazzo che mi fissava. Lo riconobbi subito. I suoi occhi color mare mi squadravano dalla testa ai piedi.
La rabbia di una settimana prima mi ritornò tutt'a un tratto e decisi di raggiungerlo.
Il viaggio fino alla libreria era ancora lungo, avevo bisogno di far passare il tempo.
Lui impavido e sfacciato continuava a tenere fissi gli occhi su di me. Spensi la musica.
"Ti sembra giusto il fatto che tu sia entrato con prepotenza nella mia libreria mentre io stavo per chiudere e quando finalmente te ne stavi andando, non salutare o ringraziare neanche?"
Guardò fuori dal finestrino che rivelava il mercato di Covent Garden imbiancato e gelato dalla temperatura e dalla neve che non smetteva di scendere. Sorrise e girò nuovamente il viso verso il mio: "Ciao anche a te, piccola."
"Spero tu stia scherzando."
"Non prendertela dai, andavo di fretta."
"E io no, secondo te? Eppure ti ho permesso di entrare e di comprare il tuo cavolo di libro."
"Ci hai anche guadagnato, dai, finiscila di fare storie. Di questi tempi otto pound sono tantissimi."
"Preferisco la gentilezza a otto pounds, se permetti."
La differenza di altezza tra me e lui era assurda. Per guardare i suoi occhi dovevo alzare la testa almeno di cinque centimetri.
L'autobus si fermò e lui fece per andarsene; prima però si girò verso di me: "Se sei così tanto arrabbiata con me per la mia maleducazione, perché sei venuta a parlarmi?" Mi sorrise in modo beffardo e continuò: "Ciao piccola, ci si vede." E dicendo così scese dall'autobus, insieme alla maggior parte delle persone. Ero frustrata e mi sentivo un'idiota.
Le sue ultime parole mi ronzarono in testa per tutto il tragitto fino alla mia fermata: Kingston.
Indossai i guanti e mi incamminai verso la libreria.
Aveva ragione. Perché ero andata a parlargli?
Camminavo per il centro di Kingston senza guardare nessuno, pensavo solo a lui.
La neve mi cadeva sugli occhiali, appannandoli e rendendo la mia camminata incerta con alta probabilità di caduta davanti a tutti. Mi fermai per pulirli solo quando entrai da Niall's. Li sfilai asciugandoli con la maglietta rosa di lana che indossavo sotto il cappotto di cashmere e mi misi in fila. Non vedevo più niente. Una volta rimessi notai che il piccolo locale era pieno di gente: chi seduto al tavolo aspettava di andare a lavorare sorseggiando un cappuccino, chi sentiva la musica mentre mangiava un pezzo di torta e chi come me era in fila ma doveva scappare per andare a lavoro. Facile notare loro: sbuffavano per la troppa coda. Ma chi poteva rinunciare alla carica mattutina?
Le pareti erano blu scuro come la notte, i tavolini erano ricoperti da tovaglie semplici con ricami di pizzo, le poltrone e i divani sparsi per il locale erano di pelle nera, l'unica televisione che c'era trasmetteva MTV.
"Ciao, Niall. Come va, oggi? Mi dai il solito? grazie."
"Certo. Arriva subito."
Lasciai i soldi sul bancone, gli feci un occhiolino e corsi verso la porta.
"Sempre di fretta, eh. Attenta a non cadere." Mi urlò Niall ridendo mentre serviva la cliente dopo di me. Senza girarmi gli mostrai il dito medio ed uscii dal locale.

Svoltai a destra ed entrai nella galleria familiare che attraversavo ogni mattina da ventiquattro anni, contando anche quando da neonata i miei genitori mi portavano con loro a lavoro nella libreria. Il loro ricordo mi provocò un brivido.
Jace era seduto per terra di fronte alla libreria mentre divorava una ciambella al cioccolato che, a considerare dalla scatola vuota accanto a lui, non era la prima. La nostra libreria era buia, le luci non erano ancora state accese ma la scritta nera e in corsivo si riusciva a leggere comunque 'Alec & Charlotte'. Distolsi lo sguardo dalla scritta per rivolgerlo a mio fratello.
"Jace! Mi dispiace, mi dispiace. Da quanto sei qui?"
Non si era minimamente accorto della mia presenza e alle mie parole sussultò lanciando la ciambella che arrivò fino al negozio di abbigliamento di Denise dalla parte opposta della galleria.
Presi le chiavi dalla mia borsa nera, mentre mio fratello mi faceva la predica per essere arrivata in ritardo.
Varcai l'ingresso e accesi le luci sia dentro che fuori. Le ghirlande attorno alla porta e agli scaffali per l'arrivo di Natale vennero illuminate. Posai le chiavi sotto il bancone e accesi la cassa.
"Ti ho già detto che mi dispiace. Ora la finisci? E quante ciambelle hai mangiato?"
Jace mi rivolse uno sguardo fulminante mentre sistemava lo scaffale dei libri con la targhetta 'gialli'. Alzai le mani in mia difesa e ripresi a sistemare la cassa.
Jace era così diverso da me: i capelli erano biondi, gli occhi castano-verde, era testardo e riservato come mamma, dolce come papà. Io ero identica a mia nonna paterna, invece.
"Dovresti essere a dieta, sai?" Constatai continuando a guardare e a sistemare il bancone. Mi tolsi la giacca e presi da terra anche quella di Jace, che in precedenza aveva lanciato, portando entrambe nel ripostiglio posteriore. Riuscii a sentire lo stesso la risposta acida di mio fratello maggiore: "Fatti i cazzi tuoi, grazie."
Che simpatico.
Il ripostiglio era piccolo: aveva le pareti color panna con un appendiabiti appeso e vicino uno specchio ovale. All'angolo c'era una vecchia libreria di metallo dove tenevamo all'interno varie copie di libri in più che tenevamo nell'eventuale caso in cui quelli esposti terminassero. Mi guardai allo specchio togliendomi la neve dai capelli rossi e dai pantaloni di jeans chiari.
"Sofia, un cliente vuole te." Non avevo sentito neanche il piccolo campanellino che ci avvertiva della presenza di un acquirente.
Spensi la luce felice che qualcuno richiedesse il mio aiuto e tornai alla libreria col sorriso. Sorriso che scomparse non appena notai chi fosse il cliente.

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