capitolo quindici.

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"Jace. Hei sono Sofia. Ciao ti provo a chiamare ormai da due ore, dove sei? Senti volevo dirti che la libreria oggi è rimasta chiusa... non so se sei passato e... e non credo che riuscirò ad aprirla neanche domani o dopodomani. Sto bene è solo che... no, non sto bene ma lo starò giuro. Mi dispiace Jace e mi manchi idiota. Richiamami."

Mentre lasciavo un messaggio in segreteria a mio fratello una lacrima mi scese sul viso, andando ad aggiungersi alle mille altre piante in quelle quattro ore in ospedale.
"Sof, ti richiamerà, vedrai."
Alzai la testa rossa verso la voce che cercava di rassicurarmi in tutte le maniere possibili.
Louis era rimasto con me per tutto quel tempo e non avevamo parlato, eravamo solo stati uno vicino all'altro in silenzio.
Delle profonde e scure occhiaie gli segnavano il volto e i capelli erano tutti arruffati e con la mano libera dal telefono glieli sistemai istintivamente e lui lasciò un piccolo bacio sulla mia fronte. Appoggiai la testa sulla sua spalla mentre il vento di quel giorno sembrava non calmarsi mai neanche a quell'ora della sera.
Non indossavamo neanche il giubbotto, seduti uno accanto all'altro su quella panchina di fronte all'ospedale.
I lampioni iniziavano già ad accendersi per illuminare la notte che stava ormai per giungere.
Louis infilò una mano nella tasca dei jeans e tirò fuori una sigaretta: alla sola vista di quell'oggetto mi venne un conato di vomito e mi sollevai velocemente da lui e dalla panchina e corsi dentro l'edificio raggiungendo appena in tempo il bagno per rimettere tutto quello che non avevo mangiato nella giornata.
Quella sigaretta aveva ridotto in fin di vita Francesco, quella stupida cosa aveva tutto questo potere: il potere di portare via da me un'altra persona.
Dopo pochi secondi una mano grande e calda si posò sulla mia fronte sudata dallo sforzo mentre un'altra mi accarezzava la schiena. Piangevo mentre cercavo di vomitare; piangevo perché volevo che tutto finisse, questo dolore, questo malessere, questa vita.
"Sst, sst, Sofi, calmati, ci sono io... ci sono."
Mi sedetti sul pavimento bianco dell'ospedale vicino al gabinetto dove avevo appena rimesso qualcosa di indefinito e Louis fece lo stesso, sollevandomi per farmi appoggiare a lui.
"Louis." Uscì come un bisbiglio dalle mie labbra.
"Sono qui."
"Ti prego non fumare più. O almeno non farlo mai più davanti a me... ti prego..." Piansi di nuovo mentre Louis mi sussurrava: "Va bene, va bene, lo prometto."
La sua mano sul mio viso e sui miei capelli mi fece calmare e chiusi gli occhi a quel tocco e immaginai che al posto di Louis ci fosse mio padre. I suoi occhi su di me, le sue dita sul mio collo e sulla mia fronte mentre mi sussurrava che ero forte, che dovevo rialzarmi e che sarei stata bene. "Te lo prometto, Sole mio. Papà ti giura che starai bene."
E mi lasciai convincere mentre il viso di mio padre scompariva e riappariva il volto dagli occhi azzurri di Louis.

"Papà torna da me." Pensai.

"Sofi chiamo un'infermiera o ti senti meglio?" Mi lasciò un bacio sull'angolo della bocca e poi continuò: "Alziamoci dai, piccola."
Con la poca forza che mi era rimasta mi aggrappai alla mano tesa di Louis e insieme uscimmo dal bagno.

Verso le otto di sera ero seduta in camera di Joy. Louis non c'era. Se n'era andato quasi un'ora prima per prendere qualcosa da mangiare a entrambi. Mi aveva chiesto ripetutamente di andare con lui, di uscire un po' per prendere un po' d'aria, schiarirmi le idee. Ma non me la sentivo... anche se non potevo vedere Francesco, stare dentro l'ospedale mi faceva sentire come se fosse accanto a me, e avevo davvero bisogno di sentirlo vicino. Solo Alessandro era rimasto in sala d'attesa, vicino al padre, aspettando con ansia un suo segnale, un qualcosa che ci avrebbe fatto continuare a sperare.

"Ciao Joy." Dissi alla ragazza stesa sul lettino accanto alla mia sedia. Le strinsi la mano: era delicata e calda. "Mi chiamo Sofia, è un vero piacere conoscerti." Gli occhi erano chiusi, le labbra semiaperte, il viso coperto di lentiggini chiare e i capelli quasi biondi erano legati in due trecce. "Tuo fratello ed io siamo qualcosa... qualcosa che neanche io so definire... però siamo qualcosa che aiuta entrambi ad andare avanti, sai, con le difficoltà della vita... ce ne sono davvero tante in questo periodo, è bello sapere di poter contare su tuo fratello." La stanzetta era tutta per me e Joy: avevo chiuso la porta e spento la luce principale per accendere solo quella del comodino.
Sulla parete c'erano appesi diversi poster dei suoi cantanti preferiti e su una scrivania c'erano fogli con incisa la scrittura di Louis e uno stereo con appoggiati una serie di cd. Mi alzai e presi il primo della fila e lo inserii all'interno del lettore: partì una canzone di Bruno Mars che conoscevo molto bene. Me l'aveva dedicata Harry, dicendomi che era davvero la canzone perfetta per me: Just the way you are.
Il mio battito cardiaco accellerò leggermente insieme a quello di Joy dal momento che il bip continuo della macchina divenne un po' più veloce.
"Sono contenta che piaccia tanto anche a te Joy."
Canticchiavo a bassa voce mentre le mie mani curiose prendevano uno dei fogli sparsi per la scrivania per leggerlo.

La ragazza dai capelli color oro si avvicinò e tremò mentre chiedeva in un sussurro che cosa le fosse successo quella notte del ventidue marzo. Ma il ragazzo non le rispondeva, perché non le rispondeva? Lo toccò, aveva bisogno di sentire la mano del fratello, di sentire che lui c'era e che non doveva essere spaventata. "William" Urlò mentre la sua mano attraversava la spalla del fratello. Si osservò attentamente le mani terrorizzata. "Will, William... Will ti prego che è successo? Ho paura... aiutami." Ma il ragazzo aveva lo sguardo perso nel vuoto: non la guardava, non le rispondeva, non la vedeva e non la poteva aiutare. La sorella urlò a squarciagola e cadde a terra con le mani nei capelli biondi in preda a una furia che non la faceva smettere di tremare e piangere.

Con i brividi in tutto il corpo posai il foglio sulla scrivania e uscii velocemente dalla porta della stanza riservata a Joy. Le parole di Louis mi avevano scossa dentro: sembravano così veritiere. Sembrava che davvero tutto questo era quello che i due fratelli vivevano ogni giorno; sembrava che Louis stesse scrivendo di sé stesso e Joy; e molto probabilmente era così.
Non conoscevo la storia di Joy, non sapevo cosa le fosse successo il ventidue marzo di chissà quale anno, sapevo solo che era la sorella di Louis e che non si risvegliava da due anni ormai.
D'istinto recuperai il cellulare dalla tasca della felpa blu che indossavo e cercai nella rubrica il numero di Jace, non facendo caso alle numerose chiamate di Harry e di Julia, alle quali non avevo la forza di rispondere.
Due squilli, tre, quattro, cinque e al sesto stavo per chiudere quando udii finalmente la voce di mio fratello.
"Sofia, oh grazie a Dio, dove sei? Ho sentito il messaggio cinque minuti fa, ti stavo per chiamare."
"Jace... Jace oh stai tranquillo, sto bene ma tu, tu dove sei?" Dissi mentendo.
"Sono fuori città con alcuni amici ma... ma sento delle voci Sof dimmi dove sei."
Sospirai e allora gli raccontai tutto quello che era successo, tralasciando solo Louis e Joy, e poi lo pregai di non venire in ospedale, lo pregai di rimanere dove si trovava e di stare bene.
"Senti, Sofi, volevo dirti che mi dispiace per quella serata al ristorante, non ero in me e non riuscivo a pensare o ad agire. Ti spiegherò poi tutto con calma ma per ora hai già fin troppe altre cose a cui pensare. Sappi solo che sto bene e che mi manchi. Domani torno a Londra e faccio un salto in libreria, promesso. Buonanotte, Sofi, cerca di stare bene anche tu."
Ero sconvolta dalle sue parole e non sapevo bene come affrontare la situazione ma poi vidi Alessandro in lontananza che veniva verso di me correndo e tutte le parole che volevo dire a mio fratello svanirono all'improvviso e allora bisbigliai solo un: "Buonanotte J, ti voglio bene."

Raggiunsi Alessandro e lo abbracciai ancor prima che parlasse e solo dopo mi disse l'unica cosa che desideravo sentire: "Si è svegliato e chiede di te, Sofia."

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