Capitolo ventidue.

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Ciao Lou,
ehi, ti ricordi? Quel giorno mi avevi detto che per il mio venticinquesimo compleanno saremmo venuti in Italia. Eccomi, io sono qui... e tu? Tu dove sei? Mi pensi? Ti manco almeno un po' di quanto mi manchi tu? Sai quanto il non sentirti più sotto le dita mi fa impazzire? Quanto mi sento persa senza di te... E non so se riuscirei mai a dirti a voce queste parole perché sai quanto posso essere orgogliosa. Ma forse pronuncerei qualsiasi cosa se potessi rivedere il tuo viso. Potrei urlare al mondo quanto ti amo e quanto ho bisogno di te, se tenessi stretta la tua mano.

Mi sento così in colpa per tutto quello che ti ho detto, per tutto quello per cui ti ho incolpato. Sono stata una stronza, ma proprio tu avresti dovuto capire che non ero davvero io a parlare, avresti dovuto stringermi e calmarmi. Non sarebbe dovuta finire così. Non ti sto giudicando, lo giuro. Sto solo dicendo che se avessimo agito differentemente, ora non saremmo distanti miglia e miglia. Ma tutti siamo bravi con il senno di poi, vero?

Indovina dove sono.

Scommetto che hai indovinato. Non ti dirò la verità perché se ascolterai questo messaggio, voglio che tu pensi che non sbagliavi mai niente su di me. Il fatto è che tu sapevi già tutto prima ancora che aprissi bocca. E allora perché mi hai lasciata andare via quel lontano 3 febbraio? Perché mi hai permesso di rinunciare a noi? Non riesco ancora a darmi una risposta.

Jace è arrivato una settimana fa e passeggiamo insieme in silenzio, senza che nessuno parli... ci curiamo, sai? C'è una cosa che ho capito stando qui, Louis: nessuno si salva da solo.

Chissà se questo messaggio arriverà al tuo telefono, chissà se questo numero è ancora il tuo, chissà se ascolti la mia voce. Il suono della tua voce è una delle cose che più mi mancano di te. Ascolto quasi ogni giorno alcuni video che abbiamo girato insieme. Ma la tua voce non è così dal vivo: è migliore, è pura melodia.
Indovina qual è il video che guardo di più... sì, esatto, proprio quello. Quello in cui siamo sul nostro letto e io riprendo il tuo sonno sereno accanto al mio corpo. Quello in cui appena ti svegli apri gli occhi e la telecamera si colora di blu, quello dove mi baci la fronte e serio mi dici che mi odi quando ti riprendo così da vicino. Poi scoppi a ridere e mi fai il solletico e il telefono mi cade dalle mani finendo sul letto e non si vede più alcun volto ma solo il soffitto alto mentre mi sussurri: "Ti amo."

Ciao Louis, ti amo, torna.

"Sofi che fai?" Mio fratello si era seduto accanto a me sul divano di casa, dopo essere tornato da un'assenza di qualche ora.
Anche Jace stava male, anche lui non riusciva più a trovare sé stesso, perché aveva perso l'unica persona per la quale aveva lasciato tutto: Harry.
"Ehi, come stai? Non ti risponde?"
Indossavo solo una camicia leggera bianca dalla quale si poteva notare facilmente il seno scoperto e delle mutandine nere. Nient'altro. Ero nuda come lo era la mia anima.
"Ho provato centinaia di volte; ho chiamato anche Julia, ma neanche lei sa qualcosa: stava con Liam."
"Ah..." non parlavo con Julia da mesi, neanche con Harry, neanche con qualcuno. Mi vergognavo di questo. Mi vergognavo di averli lasciati completamente andare via, di averli abbandonati quando loro avevano tentato di rassicurarmi e di non farmi volare fino in Italia. Non li avevo ascoltati, non li avevo rispettati, non li avevo amati.
"Julia sta bene?" Chiesi, mentre giocavo con il bordo della maglietta di mio fratello richiamando la sua attenzione verso di me e non verso la televisione accesa. "Era... felice?"
Jace mi guardò e con un braccio mi strinse a sé. Appoggiò la testa sulla mia e nascose il naso tra i miei capelli. Sapevo che a minuti avrebbe capito tutto.
"C'è quello stronzo?" Chiese, alzandosi di scatto dal divano ricoperto di un lenzuolo verde. "È ancora qui in casa?" Jace aveva alzato la voce e aveva chiuso le dita delle mani in dei pugni stretti.
Gli corsi accanto e mi appesi alla sua spalla, toccandogli il viso e girandolo verso il mio. "Jace, ehi, ti prego, calmati. È sotto la doccia. Non cacciarlo."
Una lacrima mi scese dagli occhi, mentre Jace mi guardava rosso in viso, respirando velocemente.
Mi osservò infuriato e poi a bassa voce ma con rabbia sputò le parole che più mi avrebbero fatto male: "Smettila, Sofia, lui non è Louis!"
Rimasi senza parole, senza fiato, senza tutto. E caddi per terra rimanendo lì ferma con le ginocchia sul pavimento freddo, mentre Marco veniva spinto fuori da casa nudo con in mano i vestiti che gli avevo tolto qualche minuto prima, bestemmiando contro mio fratello e contro di me.
Non dissi niente.

Quando il silenzio tornò, Jace si avvicinò a me per terra, cercando di afferrarmi.
"Jace non mi toccare. Lasciami!"
E scappai lontana mezza nuda nel mio posto sicuro. Correndo a perdi fiato giù dalle scale di legno, continuando sulla sabbia fine e poi togliendomi la camicetta e lanciandola, buttandomi nel mare calmo; spogliandomi di tutta me stessa.

Più tardi ero nuda, indossavo solo le mutandine ormai bagnate e sedevo sopra la camicia bianca posata tra me e la sabbia. Il mare, che mi aveva avvolto, ora mi bagnava solo i piedi. I capelli erano sciolti e il viso distrutto dal dolore.
Sentii delle voci provenienti da casa e poi dei passi sulle scale e vidi mio fratello con in mano un accappatoio azzurro cielo venirmi incontro.
Non lottai quando mi face alzare e mi asciugò il corpo, senza tralasciare alcuna parte di esso. Mi baciò il collo e mi avvolse nell'accappatoio e poi nel suo abbraccio.
Lo strinsi a me e il silenzio ci divorò mentre il mare scorreva piano.
"Jace..."
"Sst."
"No senti, ti prego... hai ragione tu, scusami, scusami."
"Sst, Sofia, sst." Mi disse nell'orecchio.

Sembrava di tornare piccoli. Quando Jace si faceva male e io lo accudivo, lo abbracciavo, lo rassicuravo sul fatto che sarebbe andato tutto bene.
In quel momento le parti si erano invertite, chi possedeva la forza doveva usarla, chi non la possedeva doveva lasciarsi curare.
"È ancora il tuo compleanno, Sofi. La nonna prepara questa festa a sorpresa da giorni. Sono tutti in casa che ti aspettano."
"Jace..."
"Non ti chiedo di essere felice ma almeno vatti a mettere qualcosa addosso e poi fatti vedere dalla nonna e dalle sue amiche. Ti chiedo solo un sorriso, Sofi."
Mi levai dal suo abbraccio e lo guardai dritto negli occhi.
"Sei forte, sorellina."
Sorrisi e lui mi ricambiò e i suoi magnifici occhi castani diventarono sottili e piccoli, contornati da piccole rughe di espressione.
"Andiamo dalla nonna, dai." Dissi.
Jace senza pronunciare altro tornò in casa e dopo qualche minuto uscì, di nuovo sulla sabbia, con in mano un vestito corto, rosso che rimaneva comodo sulle gambe e stretto sul seno.
"Auguri di buon compleanno, Sofia." Disse a bassa voce dopo che mi fui cambiata.
Mi voltò afferrandomi dalle spalle e mi sistemò al collo un ciondolo d'oro.
Lo presi tra le mani abbassando il viso per osservarlo e scoppiai in lacrime quando mi ricordai che era appartenuto alla mamma. Lo indossava sempre quando doveva partecipare a qualche evento importante.
"La mamma diceva che le dava forza..." mi voltai verso di lui con le guance rigate. "È stato un regalo di papà quando sei nata. La conservava la nonna e ho pensato che ti avrebbe fatto piacere indossare qualcosa di così prezioso per la mamma. Sei una splendida e forte donna proprio come lei."
Strinsi mio fratello a me così forte che sembravamo un tutt'uno. Era assurdo il fatto che quel luogo lontano da tutto e da tutti mi avesse fatto ritrovare mio fratello. Quel luogo aveva un valore così potente che aveva fatto riunire la mia famiglia. Ed era così bello: sentirsi un po' meno soli, insieme.
"Grazie..." sussurai smettendo di piangere "Ti voglio così bene, Jace."
"Anche io, sorellina venticinquenne."
Poi mi spinse correndo via da me e per poco non persi l'equilibrio. Poi urlò: "Sei troppo lenta, Sofia!"
E io avevo di nuovo sette anni e Jace di nuovo nove e ci rincorrevamo sulla spiaggia mentre il mare ci scorreva accanto senza mai prenderci. E da lassù in casa i nostri genitori ci guardavano ridendo. Anche in quel momento stavano ridendo, un po' più su rispetto a casa di nonna, ne ero certa: erano felici di vedere i loro figli per nulla cambiati, per nulla scalfiti dalle difficoltà della vita, anche solo per quei pochi minuti. Era bello vederli finalmente per quello che erano insieme: due bambini pieni di gioia che fuori erano così diversi, ma avevano l'anima così simile da farsi quasi paura, tanto che, a volte bisticciavano. Ma loro erano così: uguali e indispensabili l'uno per l'altro.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 08, 2018 ⏰

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